LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Mansioni superiori: quando non spetta la retribuzione

Un Ufficiale di Polizia Municipale ha richiesto la retribuzione per mansioni superiori di tipo dirigenziale. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione di merito. È stato decisivo che il ruolo apicale non fosse più classificato come dirigenziale nell’organico comunale e che il dipendente non avesse provato l’effettivo e prevalente svolgimento di tali compiti.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Mansioni Superiori: Non Basta Svolgerle, Bisogna Provarle Correttamente

Il riconoscimento economico per lo svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego è una questione complessa, che richiede non solo l’effettivo espletamento di compiti di livello più elevato, ma anche una rigorosa prova in giudizio. Un’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, offre importanti chiarimenti su quali elementi siano decisivi per vedersi riconosciuto tale diritto, sottolineando il ruolo cruciale della classificazione del personale e dell’onere della prova.

I Fatti del Caso

Un dipendente di un Comune, inquadrato come Ufficiale di Polizia Municipale in categoria D, ha agito in giudizio per ottenere il pagamento delle differenze retributive maturate per aver svolto, a suo dire, mansioni superiori di natura dirigenziale per determinati periodi tra il 2014 e il 2015.

A sostegno della sua domanda, il lavoratore ha elencato una serie di attività di alta responsabilità, quali:
– Presidenza di commissioni di gara
– Responsabilità di procedure di appalto e sottoscrizione di contratti
– Gestione finanziaria e del personale
– Rilascio di autorizzazioni e concessioni
– Partecipazione a conferenze dei dirigenti

In primo grado, il Tribunale ha rigettato la sua domanda. Successivamente, anche la Corte di Appello ha respinto il suo ricorso, accogliendo invece l’appello incidentale del Comune e condannando il dipendente al pagamento delle spese di primo grado.

La Valutazione della Corte di Appello sulle Mansioni Superiori

La Corte territoriale ha fondato la sua decisione su due pilastri principali.

In primo luogo, ha ritenuto dirimente una circostanza emersa dalla documentazione: a partire dal 2011, a seguito di una modifica del Regolamento Comunale, la posizione di Comandante di Polizia Municipale non era più inquadrata come dirigenziale, bensì rientrava nella categoria D. Questa riorganizzazione, confermata da successive delibere, escludeva in radice che le funzioni svolte potessero essere qualificate come dirigenziali.

In secondo luogo, la Corte ha stabilito che, anche a prescindere dalla qualificazione formale del ruolo, il dipendente non aveva fornito la prova di aver espletato in via prevalente compiti manageriali. Dalle testimonianze era infatti emerso che egli svolgeva funzioni di responsabile in turnazione con altri colleghi di pari qualifica, il che indeboliva la tesi di un incarico esclusivo e di livello superiore.

Il Ricorso in Cassazione

Il lavoratore ha impugnato la sentenza di appello davanti alla Corte di Cassazione, basando il suo ricorso su due motivi:
1. Vizio procedurale: La presunta inammissibilità di una delibera comunale decisiva, prodotta dal Comune solo in prossimità dell’udienza di discussione in appello e non con l’atto di costituzione.
2. Violazione di legge: L’errata applicazione delle norme sull’organizzazione degli enti locali e sul pubblico impiego, sostenendo che altri atti (decreti sindacali) confermavano il suo incarico dirigenziale.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le censure.

Sul primo punto, i giudici hanno ribadito un principio consolidato: nel rito del lavoro, il giudice ha poteri officiosi e può ammettere documenti prodotti tardivamente se li ritiene indispensabili per la decisione. Questo potere serve a contemperare il principio dispositivo con la ricerca della verità materiale, un cardine del processo del lavoro.

Sul secondo punto, la Corte ha osservato che il ricorrente stava, in realtà, tentando di ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti e dei documenti, un’attività preclusa al giudice di legittimità. La Cassazione non può sostituire il proprio giudizio a quello del giudice di merito sull’interpretazione delle prove.

Inoltre, e questo è l’aspetto cruciale, il ricorso non si confrontava affatto con la seconda ratio decidendi della sentenza d’appello: la mancata prova dell’espletamento prevalente di mansioni superiori. Anche se il ruolo fosse stato teoricamente dirigenziale, il lavoratore avrebbe dovuto dimostrare di aver svolto in modo continuativo e predominante tali compiti, prova che la Corte di merito ha ritenuto non raggiunta. La mancata contestazione di questa autonoma ragione di rigetto ha reso il ricorso intrinsecamente inammissibile.

Le Conclusioni

La pronuncia conferma che per ottenere il riconoscimento del diritto alla retribuzione per mansioni superiori non è sufficiente elencare una serie di compiti complessi. È necessario dimostrare due elementi fondamentali: primo, che tali mansioni appartengano effettivamente a una qualifica superiore secondo l’organizzazione dell’ente; secondo, che siano state svolte in modo prevalente e non occasionale o in turnazione. La decisione evidenzia anche la flessibilità del rito del lavoro in materia di prove documentali, ma ribadisce l’impossibilità di trasformare il giudizio di Cassazione in un terzo grado di merito.

Svolgere compiti complessi garantisce il diritto alla retribuzione per mansioni superiori?
No. Secondo la sentenza, non è sufficiente svolgere compiti di responsabilità. È necessario dimostrare che tali compiti appartengono a una qualifica formalmente superiore nell’organigramma dell’ente e che sono stati svolti in modo prevalente e continuativo.

È possibile produrre documenti in ritardo nel processo del lavoro?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che, nel rito del lavoro, il giudice può ammettere il deposito di documenti non prodotti tempestivamente se li ritiene indispensabili per la decisione, in virtù dei suoi poteri officiosi finalizzati alla ricerca della verità.

Perché il ricorso del lavoratore è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente per due ragioni. Primo, perché mirava a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. Secondo, e in modo decisivo, perché non ha contestato una delle due autonome ragioni della decisione della Corte d’Appello (la cosiddetta ratio decidendi), ovvero la mancata prova dello svolgimento prevalente delle mansioni dirigenziali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati