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Mansioni superiori pubblico impiego: no anzianità

Un’assistente amministrativa a tempo indeterminato ha svolto per anni mansioni superiori a quelle di DSGA. Ha richiesto il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata nel ruolo superiore. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che lo svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego non equivale a un contratto a tempo determinato e non dà diritto alla progressione economica legata all’anzianità, ma solo a un’indennità differenziale.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Mansioni Superiori nel Pubblico Impiego: Spetta la Piena Retribuzione?

L’assegnazione di mansioni superiori nel pubblico impiego è una prassi comune per far fronte a esigenze organizzative, ma solleva importanti questioni sul trattamento economico del dipendente. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione chiarisce se un lavoratore a tempo indeterminato che svolge incarichi di livello più elevato abbia diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio e alla relativa progressione di stipendio. L’analisi della Corte offre una distinzione cruciale tra incarico temporaneo e contratto a tempo determinato, con significative conseguenze per i dipendenti pubblici.

I Fatti del Caso: un Incarico di Rilievo

Il caso esaminato riguarda un’assistente amministrativa di ruolo, assunta a tempo indeterminato presso il Ministero dell’Istruzione. Per numerosi anni, le sono state assegnate le funzioni di Direttore dei Servizi Generali ed Amministrativi (DSGA), una posizione gerarchicamente e retributivamente superiore.

Nonostante lo svolgimento continuativo di tali compiti, l’Amministrazione le ha negato il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata nel ruolo di DSGA e le relative differenze retributive. La lavoratrice ha quindi agito in giudizio, sostenendo che tale diniego costituisse una discriminazione vietata dalla normativa europea (Direttiva 1999/70/CE) sui contratti a tempo determinato. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto la sua domanda, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della lavoratrice, confermando le decisioni dei giudici di merito. I giudici hanno stabilito che l’incarico di svolgere mansioni superiori, conferito a un dipendente già a tempo indeterminato, non può essere equiparato a un contratto di lavoro a tempo determinato. Di conseguenza, le tutele previste dalla normativa europea per prevenire la discriminazione dei lavoratori precari non sono applicabili a questa fattispecie.

Le Motivazioni: la distinzione tra incarico superiore e contratto a termine

La Corte ha fondato la sua decisione su un ragionamento giuridico preciso, basato sulla natura del rapporto di lavoro del dipendente pubblico. Le motivazioni principali possono essere così sintetizzate:

1. Natura del Rapporto di Lavoro: La ricorrente non è una lavoratrice precaria o a termine. È una dipendente pubblica con un contratto a tempo indeterminato. L’assegnazione delle funzioni di DSGA non ha creato un nuovo rapporto di lavoro, ma ha rappresentato una modifica temporanea delle mansioni all’interno del rapporto già esistente.

2. Inapplicabilità della Direttiva Europea: La Direttiva 1999/70/CE mira a proteggere i lavoratori a tempo determinato, prevenendo l’abuso di contratti successivi e garantendo parità di trattamento rispetto ai colleghi a tempo indeterminato. Poiché la lavoratrice era già a tempo indeterminato, non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva. Non si tratta di discriminare un lavoratore a termine, ma di regolare la retribuzione di un dipendente di ruolo che svolge temporaneamente compiti più elevati.

3. Disciplina Nazionale: Il trattamento economico per lo svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego è specificamente regolato dalla legge italiana (in particolare, la Legge n. 228/2012). Questa normativa prevede che al dipendente spetti una retribuzione commisurata all’anzianità di servizio maturata nel proprio ruolo, oltre a un’indennità per le mansioni superiori svolte. Questo meccanismo, secondo la Corte, è costituzionalmente legittimo e non crea una discriminazione ingiustificata.

4. Esclusione del Rinvio Pregiudiziale: La Corte ha respinto la richiesta di sottoporre la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La controversia, infatti, non riguarda l’interpretazione di una norma europea, ma la qualificazione giuridica dell’incarico secondo il diritto interno italiano.

Conclusioni: Implicazioni per i Dipendenti Pubblici

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: l’assegnazione di mansioni superiori a un dipendente pubblico di ruolo non dà diritto alla piena ricostruzione di carriera e al riconoscimento dell’anzianità maturata nel ruolo superiore. Il lavoratore ha diritto a una compensazione economica (indennità), ma non può pretendere la stessa progressione salariale di un dipendente assunto sin dall’inizio in quella posizione.

La decisione sottolinea la distinzione fondamentale tra la tutela dei lavoratori precari, al centro della normativa europea, e la gestione interna del personale a tempo indeterminato nella Pubblica Amministrazione. Per i dipendenti pubblici, questo significa che, sebbene lo svolgimento di incarichi di maggiore responsabilità venga riconosciuto economicamente, tale riconoscimento è limitato a un compenso differenziale e non si estende agli scatti di anzianità legati alla qualifica superiore.

Un dipendente pubblico a tempo indeterminato che svolge mansioni superiori ha diritto alla stessa anzianità di servizio di un dipendente di ruolo in quella posizione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’incarico di svolgere mansioni superiori non trasforma il rapporto di lavoro in un contratto a termine per la qualifica superiore. Pertanto, al dipendente spetta un’indennità specifica, ma non la progressione economica legata all’anzianità di servizio maturata in quel ruolo.

L’incarico annuale di DSGA per un assistente amministrativo è considerato un contratto a tempo determinato ai sensi della normativa europea?
No. La Corte ha stabilito che non si tratta di un contratto a tempo determinato, ma di un’assegnazione temporanea di funzioni diverse e superiori a un dipendente già a tempo indeterminato. Di conseguenza, non si applicano le tutele contro la discriminazione previste dalla Direttiva 1999/70/CE per i lavoratori a termine.

Perché la Corte ha rigettato la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea?
La Corte ha ritenuto che la questione non riguardasse l’interpretazione della direttiva europea, ma la qualificazione giuridica dell’incarico secondo il diritto interno italiano. Essendo un problema di applicazione del diritto nazionale, non era necessaria una pronuncia della Corte di Giustizia UE.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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