LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Mansioni superiori pubblico impiego: la Cassazione

Un gruppo di dipendenti di un ente pubblico, operanti nell’ufficio stampa, ha richiesto il riconoscimento di un inquadramento superiore. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2885/2025, ha annullato la decisione di merito, stabilendo che per il riconoscimento di mansioni superiori nel pubblico impiego non è sufficiente svolgere compiti più complessi all’interno della stessa categoria contrattuale, ma è necessario dimostrare di aver svolto mansioni tipiche di una categoria superiore. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione basata su questo principio.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Mansioni Superiori nel Pubblico Impiego: La Cassazione e il Caso dei Giornalisti degli Uffici Stampa

L’ordinanza n. 2885/2025 della Corte di Cassazione offre un’importante chiave di lettura sul tema delle mansioni superiori pubblico impiego, specificamente nel contesto dei dipendenti degli uffici stampa degli enti locali. La pronuncia chiarisce la distinzione fondamentale tra progressione economica all’interno di una stessa categoria e il reale svolgimento di mansioni appartenenti a una categoria superiore, delineando i criteri che il giudice deve seguire per un corretto inquadramento professionale.

I Fatti di Causa: La Richiesta di Riconoscimento Professionale

La vicenda trae origine dal ricorso di alcuni dipendenti di un’amministrazione comunale, adibiti all’Ufficio Stampa con funzioni di giornalisti. I lavoratori chiedevano il riconoscimento del loro diritto all’inquadramento nella categoria D, posizione economica D3, e il pagamento delle relative differenze retributive. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano, in varia misura, accolto le loro richieste, basandosi principalmente sul riconoscimento dello stabile svolgimento di funzioni giornalistiche. L’ente pubblico, tuttavia, ha proposto ricorso in Cassazione, contestando l’interpretazione della normativa contrattuale fornita dai giudici di merito.

La Decisione della Corte di Cassazione sulle Mansioni Superiori nel Pubblico Impiego

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’ente, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa per un nuovo esame. Il cuore della decisione risiede nell’errata interpretazione, da parte della corte territoriale, del sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva. La Cassazione ha stabilito che, all’interno di una medesima categoria (nel caso di specie, la categoria D), tutte le mansioni sono da considerarsi professionalmente equivalenti. Di conseguenza, non si può parlare di ‘mansioni superiori’ per un dipendente in posizione D1 che svolge compiti riconducibili alla posizione D3, poiché entrambe rientrano nella stessa categoria D. La progressione da D1 a D3 è puramente economica e non funzionale.

L’Onere della Prova e il Procedimento Trifasico

Un punto cruciale della pronuncia riguarda la metodologia che il giudice deve adottare per valutare una richiesta di inquadramento superiore. La Cassazione ha ribadito la necessità di un procedimento logico-giuridico trifasico, che la Corte d’Appello aveva omesso. Questo procedimento consiste in:
1. Accertamento in fatto: Analisi dettagliata delle attività lavorative concretamente svolte dal dipendente.
2. Individuazione delle declaratorie: Esame delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria.
3. Raffronto: Comparazione tra le attività svolte e le declaratorie contrattuali per determinare la corretta categoria di appartenenza.

La Corte ha inoltre specificato che la semplice iscrizione all’ordine dei giornalisti o lo svolgimento di generica ‘attività redazionale’ non sono, di per sé, sufficienti a provare il diritto a un inquadramento superiore.

La Figura dell’Addetto Stampa Pubblico

L’ordinanza offre anche un’importante distinzione tra la figura del giornalista tradizionale e quella dell’addetto all’ufficio stampa di un ente pubblico. Sebbene per quest’ultimo l’iscrizione all’albo sia un requisito di professionalità, il suo ruolo è inserito in una struttura gerarchica e non gode della stessa autonomia e diritto di critica che caratterizzano l’attività giornalistica disciplinata dalla legge n. 69/1963. Questa figura professionale, pertanto, deve essere valutata secondo i profili specifici previsti dalla contrattazione collettiva per l’addetto all’ufficio stampa pubblico.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano sull’interpretazione sistematica delle norme del CCNL Comparto Regioni e Autonomie Locali e dell’art. 52 del D.Lgs. 165/2001. Con l’abolizione del sistema delle qualifiche funzionali e l’introduzione delle categorie (A, B, C, D), il legislatore contrattuale ha inteso creare aree omogenee di mansioni equivalenti. Il diritto al riconoscimento delle mansioni superiori nel pubblico impiego sorge solo quando un lavoratore, inquadrato in una data categoria (es. C), si trovi a svolgere in modo prevalente e continuativo compiti propri di una categoria superiore (es. D). In tal caso, ha diritto alla differenza tra il trattamento economico iniziale della categoria superiore e quello della propria categoria di inquadramento. La Corte d’Appello ha errato nel considerare la posizione D3 come una sub-categoria funzionalmente superiore alla D1, mentre si tratta solo di una diversa posizione economica all’interno della medesima area di equivalenza professionale.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza della Cassazione ha rilevanti implicazioni pratiche per tutti i lavoratori del pubblico impiego. Ribadisce che, per ottenere il riconoscimento di mansioni superiori, non è sufficiente dimostrare di svolgere compiti complessi o di maggiore responsabilità, se questi rientrano comunque nella declaratoria della propria categoria di appartenenza. È indispensabile provare, attraverso un’analisi concreta e dettagliata, di aver svolto mansioni riconducibili a una categoria contrattuale formalmente superiore. Per gli addetti stampa, in particolare, la sentenza sottolinea la necessità di far riferimento ai profili professionali specifici definiti dalla contrattazione, senza automatiche assimilazioni alla figura del giornalista tradizionale. La decisione impone quindi un approccio rigoroso sia per i lavoratori che intendono agire in giudizio, sia per i giudici chiamati a decidere su queste delicate controversie.

È sufficiente svolgere compiti più complessi all’interno della stessa categoria contrattuale per ottenere il riconoscimento di mansioni superiori nel pubblico impiego?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che lo svolgimento di mansioni superiori si configura solo quando un dipendente svolge, in modo prevalente, compiti appartenenti a una categoria contrattuale superiore a quella di appartenenza (es. da categoria C a D), non a una posizione economica più elevata all’interno della stessa categoria (es. da D1 a D3).

Quale procedura deve seguire un giudice per accertare il diritto a un inquadramento superiore?
Il giudice deve seguire un procedimento logico-giuridico “trifasico”: 1) accertare in fatto le attività lavorative concretamente svolte; 2) individuare le qualifiche e i gradi previsti dal contratto collettivo; 3) confrontare i risultati delle prime due indagini per determinare la corretta classificazione.

Il ruolo di addetto all’ufficio stampa di un ente pubblico è equiparabile a quello di un giornalista tradizionale?
No. Sebbene richieda l’iscrizione all’albo dei giornalisti come requisito di professionalità, la figura dell’addetto stampa pubblico non è assimilabile a quella del giornalista ai sensi della legge n. 69 del 1963. L’addetto stampa è inserito in una linea gerarchica, è sottoposto a direttive e non possiede la stessa autonomia nell’acquisizione delle notizie e nell’esercizio del diritto di critica che caratterizzano l’attività giornalistica tradizionale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati