Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16943 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 16943 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 595/2021 R.G. proposto da:
Comune di Sant’Angelo a Fasanella, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, presso l’Avv. NOME COGNOME, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 217/2020 pubblicata il 26 giugno 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto ingiuntivo n. 316/2016 del Tribunale di Salerno è stato ingiunto al Comune di S. Angelo a Fasanella di pagare a NOME COGNOME nella qualità di collaboratore esterno a tempo determinato, a suo tempo nominato dal Sindaco del detto Comune, € 22.571,46, quale importo residuale vantato a titolo di maggiori spettanze in linea con la categoria economica D1 del vigente CCNL Regioni ed enti locali, e non con quella C1 pagata in costanza di rapporto, per l’attività lavorativa svolta dal 2008 al 2011.
La P.A. ha proposto opposizione, con domanda riconvenzionale finalizzata a ottenere l’accertamento dell’indebita percezione, da parte del lavoratore, della somma di € 8.148,30 versata in eccesso, previa declaratoria di nullità del contratto di lavoro a tempo determinato.
Il Tribunale di Salerno, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 561/2018, ha rigettato l’opposizione e la domanda riconvenzionale.
La P.A. ha proposto appello che la Corte d’appello di Salerno, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 217/2020, ha rigettato.
Il Comune di Sant’Angelo a Fasanella ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
L’intimato si è difeso con controricorso e ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo parte ricorrente contesta la contraddittorietà, carenza e ingiustizia della motivazione della sentenza, il travisamento e l’omessa valutazione delle risultanze istruttorie, la violazione e falsa applicazione degli artt. 90 e 191 del d.lgs. n. 267 del 2000, degli artt. 2, 35, 36 e 51 del d.lgs. n. 165 del 2001, del CCNL Regioni enti locali, del proprio regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi e dell’art. 97 Cost. in quanto
la corte territoriale avrebbe errato nel non dare rilievo alla circostanza che vi era stato, nella specie, un solo contratto a termine stipulato per iscritto, nel 2008, non potendo equipararsi al formale contratto i provvedimenti giuntali che lo avevano prorogato.
Pertanto, negli anni 2009, 2010 e 2011 (per la prima metà) non vi sarebbe stato un valido contratto scritto, non sarebbe stato seguito il corretto iter procedimentale e non vi sarebbe stata copertura finanziaria.
Inoltre, controparte non avrebbe neppure dimostrato di avere effettivamente svolto prestazioni in favore dell’ente nel periodo in esame.
Lo stesso regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi avrebbe prescritto che i contratti in esame fossero redatti per iscritto e firmati dal Segretario/Direttore Generale.
Inoltre, il giudice di appello non avrebbe considerato che la normativa vigente avrebbe vietato, per i collaboratori esterni, la costituzione di rapporti esorbitanti rispetto a un singolo mandato sindacale.
Con il secondo motivo parte ricorrente contesta, in aggiunta ai precedenti vizi, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, l’assenza di un contratto scritto per gli anni 2009, 2010 e 2011 e l’impossibilità di contestare un arricchimento senza causa.
Sostiene che la corte territoriale avrebbe errato nell’applicare l’art. 90, comma 3, TUEL , in quanto questa disposizione non avrebbe potuto consentire l’inquadramento del controricorrente nella categoria D, nonostante fosse sprovvisto del necessario titolo di studio. Nel caso in esame, il lavoratore avrebbe dovuto essere classificato nella categoria C.
In ogni caso, sottolinea che non avrebbe potuto assumere rilievo la buona fede del lavoratore e che non vi sarebbe stata prova dello svolgimento delle attività in questione.
Infine, afferma che, pur in presenza di svolgimento di mansioni superiori, nessun diritto a una maggiore retribuzione avrebbe potuto
essere riconosciuto in presenza di un contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento.
Le censure, che possono essere trattate insieme, stante la stretta connessione, sono infondate.
L’art. 90 d.lgs. n. 267 del 2000, nel testo ratione temporis rilevante, prescrive che:
‘
Dalla disposizione appena riportata si evince che, in linea di principio, i rapporti di lavoro in esame sono qualificabili come subordinati a tempo determinato. In particolare, nella specie, la natura subordinata di tale rapporto si ricava anche dal fatto che è stato applicato il CCNL Regioni ed autonomie locali, come rilevato nella sentenza e nel ricorso. Peraltro, a sostegno di questa ricostruzione, può richiamarsi la giurisprudenza concernente i rapporti di lavoro costituiti ex art. 110 d.lgs. n. 267 del 2000, la cui
natura subordinata è ormai assodata e che sono molto simili a quelli qui valutati, trattandosi di incarichi speciali, attribuiti a tempo determinato al di fuori della dotazione organica e giustificati da esigenze temporanee ed eccezionali (Cass., Sez. L, n. 12837 del 10 maggio 2024; Cass., Sez. L, n. 32492 del 14 dicembre 2018).
A questa affermazione consegue che la vicenda è regolata, come correttamente sostenuto dalla Corte d’appello di Salerno, dal principio secondo il quale ‘Nel pubblico impiego contrattualizzato, l’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 – in difetto di diverse disposizioni di legge o della contrattazione collettiva riferite a determinate categorie di lavoratori – deve interpretarsi nel senso che il lavoratore assegnato a mansioni appartenenti alla categoria superiore, ferma la nullità dell’assegnazione, ha diritto (per il periodo di svolgimento di tali mansioni in modo prevalente, ai sensi del comma 3 del medesimo art. 52) al pagamento della differenza tra il trattamento economico iniziale previsto per la categoria superiore cui corrispondono le mansioni espletate e quello iniziale della categoria di inquadramento, in aggiunta a quanto percepito per la posizione economica di appartenenza ed, eventualmente, a titolo di retribuzione individuale di anzianità’ (Cass., Sez. L, n. 229 58 del 20 agosto 2024).
Inoltre, si evidenzia che, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nell ‘ art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, né all ‘ operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all ‘ intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all ‘ art. 36 Cost. (Cass., Sez. 6-L, n. 2102 del 24 gennaio 2019).
Questi principi sono ormai consolidati, come si evince dall’ordinanza di questa Sezione n. 12868 del 10 maggio 2024, per la quale ‘ In tema di pubblico impiego contrattualizzato, la domanda di condanna della P.A. al pagamento delle retribuzioni dovute sul presupposto dello svolgimento di un rapporto di lavoro regolare può condurre, allorché emerga la nullità del contratto o il suo contrasto con divieti inderogabili, alla condanna della parte datoriale ex art. 2126 c.c. in ragione della natura non risarcitoria, ma corrispettiva, della retribuzione prevista dalla citata norma, sulla cui base può essere proposta domanda per la prima volta in grado di appello o che può essere posta d ‘ ufficio a fondamento della decisione ‘ .
Indubbiamente, in tema di impiego pubblico contrattualizzato, il diritto a percepire la retribuzione commisurata allo svolgimento, di fatto, di mansioni proprie di una qualifica superiore a quella di inquadramento formale, ex art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla legittimità, né all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico, e trova un unico limite nei casi in cui l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudole nta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento (Cass., Sez. L, n. 24266 del 29 novembre 2016).
Peraltro, la portata di questo principio va intesa nel senso che non ogni violazione del d.lgs. n. 165 del 2001 o, in generale, della normativa o della contrattazione collettiva che regola un rapporto di lavoro è di gravità tale da impedire l’applicazione dell’art. 52 citato.
Al contrario, come chiarito da Cass., Sez. L, n. 8690 del 9 aprile 2018, detta violazione deve essere così importante da precludere il sorgere del diritto al compenso, come avviene nell’ipotesi di svolgimento di fatto di mansioni superiori nell ‘ ambito di professioni sanitarie, in carenza del titolo abilitativo specifico e della relativa
iscrizione all ‘ albo, la quale non fa sorgere il diritto alla corrispondente maggiore retribuzione ai sensi dell ‘ art. 2126 c.c., poiché l ‘ assenza di titolo non integra – a differenza che per altre professioni a rilevanza pubblicistica – una forma di illegalità derivante dalla carenza di un requisito estrinseco, ma produce la totale illiceità dell ‘ oggetto e della causa dell ‘ obbligazione, risultando l ‘ attività del personale infermieristico regolata da specifiche norme di legge attinenti a profili di ordine pubblico, attesa l ‘ incidenza dell’attività sanitaria sulla salute e sicurezza pubblica, nonché sulla tutela dei diritti fondamentali della persona.
Priva di pregio è, poi, la contestazione relativa alla prova delle attività svolte.
A prescindere dal fatto che l’inquadramento nella categoria D è formalizzato nel contratto, la corte territoriale ha espressamente affermato, con un accertamento di fatto e una valutazione di merito non contestabili, nella presente sede, come tali, che lo svolgimento del rapporto era stato provato nella sua esistenza ed entità.
Per quel che concerne il profilo della forma della proroga, peraltro non decisivo, alla luce di quanto sopra esposto, si osserva che, indubbiamente, i rapporti di lavoro con una P.A. devono risultare, a pena di nullità, in forma scritta.
Parte ricorrente, però, non considera che, nella specie, un contratto scritto vi è ed è quello concluso tra le parti nel 2008, la regolarità del quale non è stata contestata.
Da quel che hanno riferito concordemente le medesime parti, a un primo contratto, del 2008, sarebbero seguite proroghe dello stesso disposte con delibere della giunta municipale.
Pertanto, il problema da affrontare non concerne tanto l’esistenza di un titolo scritto sul quale fondare il rapporto di lavoro, ma la legittimità di sue proroghe non tradotte nella stipula di nuovi appositi contratti scritti a termine.
In pratica, è in questione non una successione di differenti rapporti di lavoro con la P.A., solo il primo dei quali tradotto in forma
scritta, ma la validità della proroga del primo (e unico) contratto, avvenuta senza rispettare la procedura prevista per concludere nuovi contratti di lavoro.
Stando così le cose, la censura non ha pregio in quanto, se anche volesse affermarsi l’obbligo di un atto scritto per la proroga in sé, nessuna norma imporrebbe di redigere un nuovo contratto.
Neppure potrebbe richiamarsi il d.lgs. n. 368 del 2001 come riferimento.
A prescindere dalla non applicabilità di questa disciplina nella specie, la giurisprudenza ha chiarito che l’art. 4 del d.lgs. n. 368 del 2001, ratione temporis applicabile, non impone la forma scritta per la proroga del contratto a tempo determinato, fermo, in ogni caso, l’onere per il datore di lavoro di provare le ragioni obiettive che giustifichino la proroga (Cass., Sez. L, n. 8443 del 4 maggio 2020).
Neanche potrebbe rilevare la natura di P.A. dell’ente interessato, considerato che, in realtà, la possibilità di proroga era stata prevista nel contratto e la manifestazione di volontà dell’ente è stata espressa con delibere della giunta.
D’altronde, la giurisprudenza ha chiarito che gli incarichi a tempo determinato alle dipendenze degli enti locali di cui all’art. 90 del d.lgs. n. 267 del 2000 (cosiddetti uffici di staff) hanno una durata rapportata a quella dell’organo politico a cui sono collegati, perché hanno carattere fiduciario e di diretta collaborazione con il vertice istituzionale nell’elaborazione dell’indirizzo politico -amministrativo (Cass., Sez. L, n. 22325 del 7 agosto 2024).
Pertanto, è coerente con la natura dell’incarico che esso sia prorogato in relazione alla detta durata senza necessità di concludere nuovi contratti.
Al riguardo, poi, si sottolinea che l’avvenuta successione di un nuovo Sindaco a quello che avrebbe concluso il primo contratto non risulta essere stata allegata fra i motivi di appello.
Infine, estremamente generiche sono le contestazioni concernenti la mancanza di copertura finanziaria, che non risulta accertata dalla corte territoriale.
2) Il ricorso è rigettato, in applicazione del seguente principio di diritto:
‘I collaboratori assunti a tempo determinato ai sensi dell’art. 90, comma 1, TUEL, il cui rapporto è regolato dal CCNL degli enti locali, sono lavoratori subordinati e, pertanto, nell’ipotesi in cui siano assegnati a mansioni appartenenti alla categoria superiore, ferma la nullità dell’assegnazione, hanno diritto, in applicazione dell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 e per il periodo di svolgimento di tali mansioni in modo prevalente, ai sensi del comma 3 del medesimo art. 52, al pagamento della differenza tra il trattamento economico iniziale previsto per la categoria superiore alla quale corrispondono le mansioni espletate e quello iniziale della categoria di inquadramento, in aggiunta a quanto percepito per la posizione economica di appartenenza e, eventualmente, a titolo di retribuzione individuale di anzianità’;
‘Gli incarichi a tempo determinato alle dipendenze degli enti locali di cui all’art. 90 del d.lgs. n. 267 del 2000 (cosiddetti uffici di staff) hanno una durata rapportata a quella dell’organo politico cui sono collegati, atteso il loro carattere fiduciario, e, qualora ne sia previsto il termine dopo un anno, per la loro proroga non sono imposte né la forma scritta né la stipula di un nuovo contratto’;
‘Il diritto a percepire la retribuzione commisurata allo svolgimento, di fatto, di mansioni proprie di una qualifica superiore a quella di inquadramento formale, ex art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla legittimità o all’esi stenza di un provvedimento del superiore gerarchico, e trova un unico limite nei casi in cui l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi nella quale si
riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento. In particolare, tale diritto non può essere ritenuto esistente qualora l’ordinamento vieti in radice che la prestazione, se resa senza rispettare determinate regole, sia ricompensata, perché illecitamente eseguita, ma non può essere negato solo ove al lavoratore sia stato attribuito un incarico per il quale sia previsto un particolare titolo di studio del quale egli s ia privo’.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo, con distrazione in favore del difensore del controricorrente, dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in € 3.500,00 per compenso professionale ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%, con distrazione in favore dell’Avv. NOME COGNOME dichiaratosi antistatario;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione