Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24312 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 24312 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8970/2019 R.G. proposto da
NOME COGNOME , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall ‘ AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE
NOME , in persona del Commissario Straordinario legale rappresentante pro tempore , domiciliata in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 43/2018 de lla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 27.9.2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4.7.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente si rivolse al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle differenze retributive asseritamente maturate per avere egli svolto funzioni superiori di dirigente dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di quella città nel periodo compreso tra il 1998 e il 2006 (ma anche precedentemente, a decorrere dal 1980).
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale accolse la domanda, condannando l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento dell’importo capitale di € 275.644,53.
La sentenza di primo grado venne impugnata dall’RAGIONE_SOCIALE e la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in accoglimento del gravame, rigettò la domanda del lavoratore.
Contro la sentenza della Corte d’Appello il lavoratore ha quindi proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi.
L ‘RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso.
La causa è trattata in camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.».
Il ricorrente imputa alla Corte territoriale di non avere considerato il fatto che, nel suo caso, all’origine dello svolgimento delle mansioni superiori c’era stato un formale
conferimento d’incarico di reggenza risalente al 1980, che avrebbe dovuto essere provvisorio, ma che -confermato e ribadito nel 2000 -rimase in vigore ininterrottamente fino al 2006.
Il secondo motivo censura «violazione o falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
Questo motivo critica la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice d’appello ha ritenuto carenti le allegazioni indispensabili ai fini del riconoscimento del diritto alle differenze retributive.
Il terzo motivo è rubricato «violazione o falsa applicazione dell’art. 52 d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.» .
Anche questo motivo censura la parte della sentenza in cui si afferma che «il ricorso originario era effettivamente carente delle allegazioni indispensabili ai fini del riconoscimento di differenze retributive per asserito svolgimento di mansioni superiori». Il ricorrente rileva che anche nel pubblico impiego lo svolgimento di mansioni superiori dà diritto al pagamento della retribuzione prevista per le mansioni effettivamente svolte, anche se il lavoratore non acquisisce il diritto all’inquadramento superiore.
Il ricorso è inammissibile, perché i tre motivi non mirano a colpire quella che -sia pure con il contorno di altre affermazioni, alcune delle quali non corrette -costituisce l’unica e sufficiente ratio decidendi della sentenza impugnata.
La Corte d’Appello ha rilevato che «è vaga la stessa descrizione dei compiti svolti a partire dal 1980 ( diretto e
organizzato l’ufficio e l’attività dello stesso anche a rilevanza esterna, sorvegliando ogni attività, adottando i provvedimenti di competenza relativi al personale subordinato ), in tali termini confermati dall’unico teste escusso» .
Con tale rilievo la Corte territoriale ha inteso contrastare l’impostazione sottesa alla domanda del ricorrente , secondo cui una più precisa indicazione delle mansioni svolte non sarebbe stata necessaria, in ragione del fatto che egli era stato formalmente incaricato, nel 1980, di reggere l’RAGIONE_SOCIALE e altrettanto formalmente confermato nell’incarico nel 2000, con delibera del Commissario straordinario.
4.1. Posta la questione in questi termini, non coglie nel segno il primo motivo di ricorso per cassazione, perché il giudice d’appello non ha omesso di esaminare il fatto del conferimento dell’incarico di reggenza, ma, esaminatolo, lo ha ritenuto non decisivo, in mancanza di una descrizione delle mansioni svolte in esecuzione dell’incarico conferito, tale da giustificare la pretesa del ricorrente che si trattasse effettivamente di mansioni dirigenziali.
4.2. Ma anche il secondo motivo non è pertinente rispetto al decisum , perché la Corte d’Appello non ha dichiarato la nullità della domanda, avendola invece rigettata nel merito, sicché non può sussistere la violazione dell’art. 414 c.p.c.
Sicuramente ha errato, la Corte calabrese, nell’addebitare al ricorrente la mancata produzione dei contratti collettivi contenenti le declaratorie delle mansioni corrispondenti alle varie categorie di inquadramento, perché i CCNL del pubblico impiego contrattualizzato, in considerazione del peculiare procedimento formativo e del regime di pubblicità cui sono sottoposti, sono conosciuti dal giudice alla stregua delle norme
di diritto e senza necessità di deposito (v. Cass. S.U. n. 23329/2009 ed altre successive conformi).
Del pari errato è il riferimento alla mancanza di allegazione e prova degli importi percepiti a titolo di retribuzione (da sottrarre alla maggiore retribuzione pretesa, al fine di determinare le differenze retributive dovute), essendo onere del datore di lavoro provare di avere estinto la sua obbligazione pagando al lavoratore quanto a lui dovuto in base alle mansioni effettivamente svolte.
Ma rimane il rilievo, sufficiente a giustificare il rigetto della domanda, della mancata descrizione, in termini concreti, delle caratteristiche dell’«ufficio» retto dal ricorrente, di quelle dell’«attività» in esso svolta, della sua «rilevanza esterna», dei «provvedimenti di competenza» adottati e del «personale subordinato» gestito.
La stessa sentenza n. 3317/2018 di questa Corte, più volte citata nel ricorso, confermò una sentenza di merito che aveva « escluso il diritto del lavoratore a percepire il trattamento economico proprio delle mansioni dirigenziali esercitate sul fondante e decisivo rilievo che non era risultato provato che l’ufficio fosse stato costituito come ufficio di livello dirigenziale e che ad esso dovesse essere preposto personale dipendente rivestente la qualifica dirigenziale » (punto 26 della motiva zione). Nel caso qui in esame, la Corte d’Appello ha rilevato addirittura la mancanza della descrizione delle caratteristiche oggettive dell’ufficio diretto e delle mansioni svolte per dirigerlo, non solo della sua formale costituzione « come ufficio di livello dirigenziale ».
Con ciò la Corte territoriale è giunta al rigetto nel merito -e non alla dichiarazione della nullità della domanda -perché quest ‘ultima non era priva dell’esposizione dei fatti ritenuti
fondanti la pretesa creditoria, ma era basata su un’allegazione alternativa ( conferimento dell’incarico di reggenza) cui era connessa una tesi in diritto (irrilevanza, in tal caso, di ulteriori descrizioni delle mansioni svolte) non condivisa dal giudice del merito.
4.3. Inammissibile è, infine, anche il terzo motivo, perché la Corte d’Appello non ha interpretato e applicato l’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 in maniera diversa da quanto prospettato dal ricorrente e conforme al consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità.
Nessun dubbio che al pubblico impiegato assegnato in modo illegittimo a mansioni superiori spetti, «per il periodo di effettiva prestazione», il «diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore». Il giudice d ‘appello ha semplicemente ritenuto non correttamente allegato, e non provato, lo svolgimento di mansioni superiori, il che esclude -per l’interpretazione da tutti condivisa dell’art. 52 che possa essere sorto il diritto al pagamento di differenze retributive.
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio , sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 5.500 per compensi, oltre alle spese generali al 15%, a d € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
si dà atto che sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4.7.2024.