Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2695 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L   Num. 2695  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
Oggetto: RAGIONE_SOCIALE
Collaboratore amministrativo Responsabile struttura semplice Svolgimento in fatto di mansioni superiori
R.G.N. 2886/2018
COGNOME.
ORDINANZA
Rep.
Ud. 11/01/2024
CC
rappresentante pro tempore dell’avvocato COGNOME, che la rappresenta e difende;
sul ricorso 2886-2018 proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale , domiciliata presso l’indirizzo PEC
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato  presso  l’indirizzo  PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME ;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 380/2017 della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 10/07/2017 R.G.N. 683/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
 La  Corte  di  Appello  di  RAGIONE_SOCIALE,  per  quanto  qui  rileva, confermava la sentenza di primo grado con la quale era stata parzialmente  accolta  la  domanda  di  NOME, dipendente  amministrativo  della  RAGIONE_SOCIALE  (di  seguito: RAGIONE_SOCIALE), volta ad ottenere il pagamento delle differenze retributive
maturate per effetto dello svolgimento in fatto dell’incarico di responsabile, con funzioni dirigenziali, della struttura semplice denominata  ‘stato  giuridico  e  trattamento  economico  dei professionisti convenzionati’.
1.1. La Corte territoriale rigettava gli appelli principale e incidentale proposti rispettivamente dall’ RAGIONE_SOCIALE e dal dipendente. Evidenziava, condividendo l’accertamento già compiuto dal giudice di primo grado, che NOME COGNOME aveva svolto mansioni dirigenziali, superiori a quelle di inquadramento, sotto il profilo qualitativo e quantitativo e, conseguentemente, affermava il suo diritto a percepire le differenze retributive, diritto che prescinde dall’esistenza e dalla legittimità di un provvedimento di assegnazione e conferimento delle mansioni superiori. Il giudice del gravame precisava, confermando anche in parte qua la decisione di prime cure, che lo svolgimento dell’incarico dirigenziale della struttura semplice innanzi indicata era avvenuto solo a decorrere dall’anno 2007, ossia dal momento in cui l’ufficio in tal senso era stato qualificato e graduato e non a far tempo dal 12.5.2003, data indicata nel ricorso ex art. 414 c.p.c.
Propone ricorso per cassazione, articolato in un solo motivo, la RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t.
Resiste con controricorso il lavoratore.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE deduce:
-la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 26, 27, 28, 29, 50, 51, 54, 55 e 58 del ccnl Area Dirigenza del RAGIONE_SOCIALE;
-la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, dell’art. 15 ter e ss. del d.lgs. n. 229/1999, degli artt. 24 e 31 del d.lgs. n. 29 del 1993.
1.1. Nel mezzo si rappresenta che:
 l’art.  26  del  d.lgs.  n.  165  del  2001  prevede  quale  unica modalità di accesso alla dirigenza del SSN, il pubblico concorso per titoli ed esami;
b) l’art. 13 del c .c.n.l. della Dirigenza del 2001 stabilisce che l’assunzione  dei  dirigenti  con  rapporto  di  lavoro  a  tempo indeterminato  ha  come  presupposto  l’espletamento  delle procedure concorsuali e selettive di cui ai decreti del Presidente della Repubblica n. 483 e 484 del 1997;
c) gli artt. 15 septies del d.lgs. n. 502 del 1992 e 16 del c.c.n.l. del 5.12.1996, come integrato del c.c.n.l. del 5.8.1997 anche per l’assunzione dei dirigenti con rapporto di lavoro a termine , del  pari  prevedono  il  necessario  espletamento  di  procedure selettive.
Sulla base di detti dati normativi si sostiene che l’incarico dirigenziale può essere conferito unicamente ad un soggetto che  abbia  superato  le  procedure  concorsuali  previste  dalle norme innanzi richiamate.
L’azienda rileva che a NOME RAGIONE_SOCIALE non è mai stato formalmente  conferito  alcun  incarico  dirigenziale,  non  sono stati  assegnati  i  relativi  obiettivi  e  conferite  le  correlate responsabilità, né è stato messo a disposizione un budget di spesa. Richiama, quindi, gli artt. 50, 51, 54, 55 del c.c.n.l. Area dirigenza del SSN, e ne trae la conclusione che i compiti svolti  non  potevano  che  essere  riconducibili  alla  qualifica  di inquadramento.
In ogni caso sostiene l’inapplicabilità dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, qualora si ritenga che le superiori mansioni svolte siano dirigenziali.
 La  censura  non  può  essere  accolta  in  alcuna  delle  sue articolazioni.
3.1. Va in primo luogo rilevato che il motivo confonde due piani assolutamente non sovrapponibili: quello del conferimento della qualifica e delle funzioni dirigenziali, sottoposto, come correttamente rilevato nel mezzo, alle procedure concorsuali ed ai vincoli, anche formali, innanzi indicati, con la diversa ipotesi dello svolgimento in fatto di mansioni superiori che, evidentemente, non è sottoposto ad alcuna procedura di formale di conferimento, come di qui a poco meglio si preciserà.
3.2.  Sempre  in  via  di  premessa,  va  del  pari  evidenziata l’irrilevanza, ai fini della decisione della presente controversia, della giurisprudenza di legittimità richiamata in ricorso – Cass. Sez. L. n. 21565/2018, rv. 650221-01 – che nega la possibilità di configurare lo svolgimento di mansioni superiori nell’ambito del  ruolo  e  del  livello  unico  della  dirigenza  sanitaria,  con conseguente inapplicabilità dell’art. 2103 c.c.
L’inconferenza dei principi della giurisprudenza di legittimità innanzi richiamati si desume dal rilievo che qui non viene in considerazione la posizione di un soggetto inserito nel ruolo unico  dirigenziale,  ma  invece  quella  di  un  collaboratore amministrativo  professionale  esperto,  cat.  D,  liv.  DS,  del c.c.n.l.  della  Sanità  pubblica,  quindi  di  un  dipendente  privo della  qualifica  dirigenziale,  che  assume  lo  svolgimento  –  in fatto – delle superiori mansioni dirigenziali.
3.3. L’insegnamento della S.C. cui intende il Collegio dare continuità, non essendo emerse ragioni che ne impongano una rimeditazione è quello di Cass. Sez. L. n. 30811/2018, rv. 65175201, alla cui motivazione si riporta anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in cui espressamente si afferma che ‘ l’assegnazione di fatto del funzionario non dirigente ad una posizione dirigenziale, prevista dall’atto aziendale e dal provvedimento di graduazione delle funzioni, costituisce espletamento di mansioni superiori, rilevante ai fini e per gli effetti previsti dall’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, la cui applicazione non è impedita dal mancato espletamento della procedura concorsuale, dall’assenza di un atto formale e dalla mancanza della previa fissazione degli obiettivi, che assume rilievo, eventualmente, per escludere il diritto a percepire anche la retribuzione di risultato ‘.
3.4.  Ne  consegue  l’infondatezza  del  motivo  di  ricorso  per cassazione sia quanto alla asserita inapplicabilità dell’art. 52 del  d.lgs.  n.  165  del  2001,  sia  quanto  all’impossibilità  di configurare lo svolgimento di mansioni dirigenziali in assenza dello  svolgimento  di  apposita  procedura  concorsuale  e  di formale conferimento dell’incarico.
3.5. Sul punto basti qui richiamare i passaggi salienti della già ricordata Sez. L, n. 30811/2018, per rendere chiaro il percorso motivazionale, qui integralmente condiviso, che ha condotto la RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. all’affermazione dei principi innanzi indicati:
‘ in materia di pubblico impiego contrattualizzato l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost., che deve trovare integrale applicazione, senza sbarramenti temporali di alcun genere (Cass. S.U. n. 25837/2007; Cass. 23 febbraio 2009, n. 4367); il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 della Costituzione (Cass. n. 19812/2016; Cass. n. 18808/2013), sicché il diritto va escluso solo qualora l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento (Cass. n. 24266/2016); (…) detti principi operano anche in relazione allo svolgimento di fatto di funzioni dirigenziali ( Cass. S.U. n. 3814/2011), a condizione che il dipendente dimostri di averle svolte con le caratteristiche richieste dalla legge, ovvero con l’attribuzione in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di tali mansioni (Cass. n. 752/2018 e Cass. . n. 18712/2016); a tal fine, quindi, è innanzitutto necessario che l’ente abbia provveduto ad istituire
la posizione dirigenziale ( Cass. n. 350/2018) perché, sulla base delle previsioni del d.lgs. n. 165/2001, la valutazione sulla rilevanza degli uffici, sulle risorse umane e finanziare da assegnare agli stessi ed in genere sull’organizzazione è rimessa al potere discrezionale della P.A. che non può essere sindacato nel merito in sede giudiziale; per le aziende RAGIONE_SOCIALE locali rilevano, quindi, l’atto aziendale di cui all’art. 3 d.lgs. n. 502/1992 nonché l’individuazione e la graduazione delle funzioni dirigenziali, come disciplinata dalla contrattazione collettiva di area ( art. 50 CCNL 5.12.1996, art. 26 CCNL 8.6.2000, I biennio economico, art. 6 CCNL 17.10.2008), che tiene conto delle peculiarità proprie della dirigenza sanitaria, già poste in rilievo dal d.lgs. n. 502/1992 (…); in linea con la previsione normativa l’art. 27 del CCNL 8.6.2000 per la dirigenza non medica del servizio RAGIONE_SOCIALE prevede che al dirigente possono essere conferite quattro diverse tipologie di incarico ossia: incarico di direzione di struttura complessa, incarico di direzione di struttura semplice, incarichi di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio e ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo, incarichi di natura professionale conferibili ai dirigenti con meno di cinque anni di attività; la posizione dirigenziale, pertanto, non implica necessariamente la responsabilità della struttura, perché la dirigenza sanitaria può essere solo di tipo professionale, e diviene anche gestionale qualora al dirigente siano conferite funzioni di direzione delle strutture semplici o complesse; 4.9. questa Corte ha anche affermato che, ove la posizione dirigenziale sia stata istituita ed assegnata di fatto a dipendente privo della qualifica dirigenziale, il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori non può essere escluso valorizzando la mancata formale assegnazione degli obiettivi (Cass. n. 6068/2016), che incide unicamente sul trattamento accessorio spettante, perché mentre la retribuzione di posizione retribuzione riflette «il livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione» (Cass. n. 10558/2013),
quella di risultato, che corrisponde all’apporto del dirigente in termini  di  produttività  o  redditività  della  sua  prestazione, presuppone  la  positiva  verifica  del  raggiungimento  degli obiettivi,  previamente  determinati,  cui  la  stessa  è  correlata (Cass. n. 8084/2015; Cass. n. 20976/2011).
A tutti i principi innanzi esposti, si è conformata la Corte territoriale nella pronunzia della sentenza qui impugnata.
5.1. Conclusivamente il ricorso va rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo per la  parte  ricorrente  di  versare  l’ulteriore  importo  a  titolo  di cont ributo  unificato  pari  a  quello  dovuto  per  l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite alla parte controricorrente, che liquida in € 5.000,00 per compenso, € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
dà atto che sussiste l’obbligo per la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il  comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Roma, così  deciso  nella  camera  di  consiglio  dell’11 gennaio