Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18877 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 18877 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
Oggetto: Pubblico impiego – Mansioni
superiori
Dott.
NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9105/2021 R.G. proposto da:
NOME COGNOME domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni agli indirizzi pec dei Registri ;
– ricorrente –
contro
AZIENDA REGIONALE RAGIONE_SOCIALE (ARES 118), in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio
dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende, con diritto di ricevere le comunicazioni agli indirizzi pec dei Registri;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1718/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/09/2020 R.G.N. 174/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME dipendente ARES 118, inquadrato in categoria BS5, agiva per ottenere differenze retributive, ritenendo di aver svolto mansioni proprie della categoria superiore C.
Il Tribunale di Frosinone, con sentenza n. 949/2015, riconosceva lo svolgimento di mansioni superiori della categoria C di autista di ambulanza e pronunciava condanna generica al pagamento delle differenze retributive in favore del COGNOME, senza statuizione sul quantum .
Tale sentenza veniva confermata dalla Corte d’Appello (sent. n. 4048/2018), senza che fossero mai affrontati i criteri di liquidazione delle spettanze.
Il COGNOME ricorreva a decreto ingiuntivo, ottenendo la liquidazione del credito in euro 11.500,00, sulla base dell’art. 28 c.c.n.l. Sanità 1999.
RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione e successivo appello, accolto con sentenza n. 1718/2020, che revocava il decreto ingiuntivo.
Rilevava la Corte territoriale che il COGNOME era stato assegnato a svolgere le mansioni della superiore categoria C senza alcun provvedimento formale ed in assenza della previa procedura destinata ad accertare la ricorrenza di una delle due ipotesi di legittima attribuzione delle mansioni superiori (vacanza del posto in organico o assenza di dipendente con diritto alla conservazione del posto).
Riteneva che l’art. 28 del c.c.n.l. non regolasse le conseguenze dell’esercizio delle mansioni superiori svolte di fatto e conferite al di fuori delle due ipotesi previste dalla norma contrattuale.
Assumeva che nello specifico doveva trovare applicazione solo l’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001 e dovesse alla luce di tale norma verificarsi che la retribuzione corrisposta fosse sufficiente e proporzionata ex art. 36 Cost.
Rilevava che il trattamento economico del Bs era in concreto superiore a quello del della prima fascia della categoria C così da non contrastare con l’rt. 36 Cost.
Riteneva irrilevante l’intervenuta condanna generica che non escludeva l’accertamento, nel successivo giudizio, dell’insussistenza in concreto del credito.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME con due motivi cui l’ARES 118 ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 28 del c.c.n.l. sanità e dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001.
Censura la sentenza impugnata per aver escluso l’applicabilità della specie del trattamento economico corrispondente all’esercizio di fatto delle mansioni superiori della categoria D per essere ostativa la previsione di cui all’art. 28 del c.c.n.l. richiedente il conferimento formale.
2. Il motivo è fondato.
Deve darsi continuità ai consolidati indirizzi interpretativi di questa Corte, secondo cui: a) “in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di
legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, né all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.’ (vedi, per tutte: Cass. 18 giugno 2010, n. 14775; Cass. 7 agosto 2013, n. 18808; Cass. 24 gennaio 2019, n. n. 2102; Cass. 10 luglio 2020, n. 14808 ); b) ‘il diritto a percepire la retribuzione commisurata allo svolgimento, di fatto, di mansioni proprie di una qualifica superiore a quella di inquadramento formale, ex art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla legittimità, né all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico, e trova un unico limite nei casi in cui l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento’ (Cass. 29 novembre 2016, n. 24266).
Il suddetto orientamento è stato di recente ribadito da Cass. 20 agosto 2024, n. 22958.
L’art. 28 del c.c.n.l. sanità del 7 aprile 1999 prevede, al comma 6, che « Il dipendente assegnato alle mansioni superiori indicate nel comma 2 ha diritto alla differenza tra i trattamenti economici iniziali previsti per la posizione rivestita e quella corrispondente alle relative mansioni nella tabella 9 e 9 bis, fermo rimanendo quanto percepito a titolo di retribuzione individuale di anzianità, di fascia retributiva nella propria posizione nonché di indennità specifica professionale ove spettante per il profilo ma non prevista per la posizione superiore. Ove questa sia prevista, il relativo importo è assorbito per la durata delle mansioni dall’indennità attribuita al profilo di riferimento ».
La disposizione (non diversamente da quella di cui all’art. 8, comma 5, del c.c.n.l. del Comparto Regioni e Autonomie locali siglato il 14.9.2000, che rileva nel precedente di questa Corte da ultimo richiamato) è chiara nel prevedere che al lavoratore adibito a mansioni superiori rispetto al suo inquadramento spetta la differenza tra i trattamenti iniziali delle due categorie, ferma rimanendo la posizione economica di appartenenza e quanto percepito a titolo di retribuzione individuale di anzianità.
La più recente pronuncia Cass. 20 agosto 2024, n. 22958 ha esaminato la previsione della norma pattizia che lì rilevava alla luce della egualmente richiamata disposizione g enerale dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001.
Il Collegio condivide tale orientamento e le motivazioni della anzidetta decisione.
Come si legge nel comma 7 dell’indicato art. 28 del c.c.n.l. « Per quanto non previsto dal presente articolo resta ferma la disciplina dell’art. 56 del d.lgs. 29/1993 ».
Anche nel caso di tale previsione contrattuale qui in esame vi è un rimando alla disciplina generale del T.U.
Il testo dell’art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993 venne riprodotto, pressoché invariato, nell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, al quale deve quindi intendersi ora riferito il rinvio contenuto nella disposizione contrattuale.
L’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, così come prima l’art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993, disciplina due diverse ipotesi di espletamento di mansioni superiori: la prima (comma 2) legittima, perché temporanea e giustificata da « obiettive esigenze di servizio »; la seconda (comma 5), non consentita, perché avvenuta « al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2 ». Di questo secondo tipo di assegnazione a mansioni superiori la disposizione di legge sancisce la nullità, ma con diritto del lavoratore al pagamento della « differenza di trattamento economico
con la qualifica superiore » (e con responsabilità erariale del dirigente che abbia disposto l’illegittima assegnazione a mansioni superiori « con dolo o colpa grave »). L’ipotesi qui in esame è chiaramente la seconda (comma 5), perché il ricorrente venne illegittimamente assegnate a mansioni corrispondenti alla categoria superiore per un lungo periodo pluriennale, sicuramente al di fuori delle temporanee esigenze di servizio previste e consentite dal comma 2.
Da ciò consegue che l’invocato art. 28 comma 6 non trova diretta applicazione nel caso di specie, perché quella disposizione contrattuale completa la disciplina delle mansioni prevista dall’art. 56, commi 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 29/1993 (ora art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001). Non viene richiamato il comma 5 dell’art. 56 e ciò coerentemente con il fatto che la disciplina contrattuale integra quella della legge statale «per la parte demandata alla contrattazione». E nel comma 6 dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 (così come prima nell’analogo comma 6 dell’art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993) si legge che « i … contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4». La questione si pone, quindi, direttamente al livello della interpretazione dell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, il quale dispone sinteticamente che «al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore», con implicito riferimento -in mancanza di altre indicazioni -al medesimo trattamento già menzionato nel precedente comma 4, ove si legge, non meno sinteticamente, che «il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore ».
Ebbene, l’interpretazione proposta dal ricorrente -sia pure attraverso la valorizzazione della disposizione del contratto collettivo che non è direttamente applicabile al suo caso -è quella più corretta, perché è aderente al concetto di differenza di trattamento economico tra qualifiche, e quindi tra previsioni normative astratte, e non tra quanto normativamente previsto per una qualifica e quanto
concretamente versato a titolo di retribuzione a un determinato lavoratore.
Inoltre, la diversa interpretazione fatta propria dalla Corte d’appello di Roma porterebbe a una sostanziale legittimazione dell’attribuzione in via di fatto di mansioni di categoria superiore a dipendenti che, per l’anzianità maturata nella categoria inferiore, non avrebbero diritto ad alcuna differenza retributiva, aggirando così l’obbligo di avviare tempestivamente le procedure per la copertura dei posti vacanti, come voluto dallo stesso art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, e senza alcun rischio di responsabilità patrimoniale dei dirigenti che assegnano in questo modo le mansioni superiori (non essendoci danno da risarcire, in mancanza di maggiori per impegni di spesa per la pubblica amministrazione).
Né vi è ragione di ravvisare, nel riconoscimento del diritto alla differenza tra i trattamenti economici iniziali delle due categorie, una «ingiustificata locupletazione», come paventato nella sentenza impugnata. Infatti, la maggiorazione retributiva rispetto al reddito percepito si giustifica proprio perché quel reddito sarebbe stato dovuto anche per lo svolgimento di mansioni corrispondenti al proprio inquadramento; sicché lo svolgimento, invece, di mansioni riconducibili alla categoria superiore rappresenta, di per sé, una valida giustificazione per un pagamento ulteriore. Con il che non si intende dire che un pagamento ulteriore sia, in questi casi, imposto dall’art. 36 della Costituzione, ovverosia richiesto per assicurare al lavoratore una «retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro». In senso contrario, infatti, si è più volte espressa la Corte costituzionale con riferimento alla diversa, specifica disciplina di legge riservata agli assistenti amministrativi del settore scolastico incaricati di svolgere le mansioni superiori di direttore dei servizi generali e amministrativi (DSGA) (v. Corte cost. ord. n. 78/2024, che richiama e ribadisce quanto statuito nella sentenza n. 71/2021). Semplicemente si deve
constatare l’assenza di una disposizione analoga a quella ritenuta costituzionalmente legittima -di cui all’art. 1, comma 45, della legge n. 228 del 2012 (« La liquidazione del compenso per l’incarico di cui al comma 44 è effettuata ai sensi dell’articolo 52, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in misura pari alla differenza tra il trattamento previsto per il direttore dei servizi generali amministrativi al livello iniziale della progressione economica e quello complessivamente in godimento dall’assistente amministrativo incaricato »), che proprio in quanto norma speciale, dettata per una particolare categoria di lavoratori e di incarichi per mansioni superiori, dimostra che la regola generale non può che essere un’altra.
In definitiva, il motivo di ricorso è fondato, anche se non esattamente per la violazione dei parametri normativi indicati dalla ricorrente, bensì per violazione dell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, interpretato in conformità a quanto disposto dall’art. 28, comma 7, del c.c.n.l. Sanità con riferimento all’analoga fattispecie del comma 2 del medesimo art. 52.
Il motivo va, dunque, accolto con assorbimento del secondo motivo di ricorso sull’intervenuto giudicato (violazione del 2909 cod. civ. e dell’art. 324 cod. proc. civ.).
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., con la condanna dell’ARES 118 al pagamento in favore di NOME COGNOME della somma di euro 11.536,06 oltre accessori come per legge.
Il diverso esito dei giudizi di merito consente di compensare tra le parti le spese processuali relativi ai gradi di merito del processo.
La regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità segue la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna l’ARES
118 al pagamento in favore di NOME COGNOME della somma di euro 11.536,06 oltre accessori come per legge; compensa tra le parti le spese dei gradi di merito e condanna l’ARES 118 al pagamento in favore del ricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%, da attribuirsi all’avvocato NOME COGNOME antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione