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Malattia professionale OSS: riconosciuta la discopatia

Una Operatrice Socio Sanitaria (OSS) ha ottenuto il riconoscimento della discopatia lombare come malattia professionale. Il Tribunale del Lavoro ha accolto il ricorso, basandosi sulle testimonianze che descrivevano le pesanti mansioni di movimentazione manuale dei pazienti e sulla consulenza tecnica d’ufficio (CTU) che ha confermato il nesso causale tra l’attività lavorativa e la patologia. All’operatrice è stata riconosciuta un’invalidità dell’8%, con condanna dell’ente al pagamento delle relative prestazioni e delle spese legali.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Malattia Professionale OSS: Quando la Discopatia Lombare è Riconosciuta

Il riconoscimento di una malattia professionale per gli Operatori Socio Sanitari (OSS) rappresenta un tema di grande attualità e rilevanza. Una recente sentenza del Tribunale del Lavoro di Venezia ha fatto luce sulla correlazione tra le mansioni tipiche di questa professione e l’insorgenza di patologie a carico della colonna vertebrale, come la discopatia lombare. Il caso analizzato offre spunti fondamentali per comprendere quali elementi siano decisivi per ottenere la tutela previdenziale.

I Fatti del Caso: La Carriera di un’Operatrice Socio Sanitaria

La vicenda riguarda un’Operatrice Socio Sanitaria che ha lavorato per decenni in diverse strutture, occupandosi dell’assistenza a persone non autosufficienti, tra cui anziani in stato quasi vegetativo, bambini con sindrome di Down e pazienti con gravi problemi comportamentali. Le sue mansioni quotidiane includevano la movimentazione manuale dei pazienti per l’igiene, la vestizione e gli spostamenti letto-carrozzina. Per anni, queste operazioni sono state eseguite senza l’ausilio di sollevatori meccanici adeguati, o con strumenti che richiedevano comunque un notevole sforzo fisico. A queste attività si aggiungevano la spinta di pesanti carrelli, il trasporto di sacchi di biancheria e rifiuti e, in alcuni periodi, anche la pulizia dei reparti.

A seguito dell’insorgenza di una ‘discopatia lombare multipla da L4 a S1’, la lavoratrice ha chiesto il riconoscimento della malattia professionale e delle relative prestazioni economiche, ma l’ente previdenziale si è opposto, negando la sussistenza di un nesso causale.

Le Prove in Giudizio: Il Ruolo delle Testimonianze e della CTU

Il processo si è fondato su due pilastri probatori: le testimonianze di ex colleghi e la Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) medico-legale. Le deposizioni hanno confermato in modo univoco la gravosità del lavoro svolto. I testimoni hanno descritto nel dettaglio le procedure di mobilizzazione manuale dei pazienti, spesso eseguite in due persone ma sempre con un carico fisico elevato, e l’introduzione solo tardiva di ausili come i sollevatori a manovella, il cui utilizzo comportava comunque uno sforzo significativo.

La CTU ha avvalorato questo quadro, accertando la sussistenza della patologia e, soprattutto, la sua riconducibilità all’attività lavorativa. L’esperto ha evidenziato come le patologie da sovraccarico del rachide siano tipiche del personale di assistenza, a causa dei carichi fisici sostenuti per movimentare pazienti non collaboranti, spesso in condizioni ergonomiche sfavorevoli e con spazi di movimento limitati. Il CTU ha quantificato il danno biologico permanente nella misura dell’8%.

La Decisione del Tribunale sulla Malattia Professionale

Il Giudice del Lavoro ha accolto integralmente il ricorso della lavoratrice. La decisione si fonda sulla piena coerenza tra le risultanze testimoniali e le conclusioni scientifiche della CTU. Secondo il Tribunale, è stato ampiamente dimostrato che le mansioni svolte dall’operatrice l’hanno esposta a un rischio specifico e significativo per la colonna vertebrale, tale da causare la discopatia diagnosticata.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni del provvedimento sono chiare e lineari. Il giudice ha ritenuto le testimonianze pienamente attendibili, in quanto provenienti da persone che avevano condiviso le medesime condizioni lavorative della ricorrente. Queste descrizioni, dettagliate e concordanti, hanno permesso di ricostruire un quadro di costante sovraccarico biomeccanico. La CTU è stata definita ‘puntuale e approfondita’, in grado di spiegare scientificamente come le specifiche attività (sollevare, sostenere, spostare pazienti, spesso in posizioni flesse o ruotate) siano la causa diretta dell’usura discale e dell’ernia. L’analisi dell’esperto ha sottolineato che fattori come la fatica di fine turno, il lavoro notturno e lo stress psico-fisico tipico dell’assistenza a persone sofferenti aggravano ulteriormente la tensione muscolare, favorendo l’insorgenza di patologie. Pertanto, il nesso causale tra lavoro e malattia è stato ritenuto provato oltre ogni ragionevole dubbio.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: la tutela della salute dei lavoratori, in particolare in settori ad alto rischio fisico come quello socio-sanitario, è prioritaria. La pronuncia conferma che la discopatia lombare non è una patologia generica, ma può e deve essere riconosciuta come malattia professionale quando le prove dimostrano che è stata causata o aggravata dalle condizioni di lavoro. Per gli operatori del settore, ciò significa che è possibile ottenere tutela e indennizzo, a patto di poter documentare, tramite testimoni e perizie medico-legali, la natura gravosa delle proprie mansioni. Per i datori di lavoro, invece, la decisione funge da monito sull’importanza di adottare tutte le misure di prevenzione necessarie, inclusi ausili meccanici efficaci e una corretta organizzazione del lavoro, per ridurre il rischio di sovraccarico biomeccanico.

Una discopatia lombare può essere riconosciuta come malattia professionale per un’OSS?
Sì, la sentenza conferma che una ‘discopatia lombare ed ernia discale L5-S1’ può essere riconosciuta come malattia di origine professionale per un’Operatrice Socio Sanitaria, a condizione che venga provato il nesso causale tra la patologia e le mansioni lavorative svolte, caratterizzate da un significativo sovraccarico della colonna vertebrale.

Quali prove sono state decisive per il riconoscimento della malattia professionale?
Le prove decisive sono state le testimonianze delle colleghe della ricorrente, che hanno descritto in dettaglio le pesanti attività di movimentazione manuale dei pazienti, e la consulenza tecnica d’ufficio (CTU) medico-legale, che ha scientificamente collegato tali attività all’insorgenza della patologia lombare.

A quanto ammonta il danno biologico riconosciuto alla lavoratrice?
La sentenza ha accertato una menomazione dell’integrità psico-fisica, ovvero un danno biologico permanente, nella misura dell’8%.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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