Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23710 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23710 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/08/2025
Oggetto: dirigente medico -maggiorazione ex art. 40, comma 8, c.c.n.l. sanità -giudizio di rinvio
Dott. NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25660/2021 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME DI NOME NOME e NOME, quali eredi di NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende, con diritto di ricevere le comunicazioni all ‘ indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
– ricorrente –
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE ROMA 1 (subentrata all ‘ AZIENDA RAGIONE_SOCIALE ROMA A e all ‘ AZIENDA RAGIONE_SOCIALE ROMA E, quest ‘ ultima succeduta all ‘ AZIENDA RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME), in persona del legale rappresentante pro tempore ,
elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende, con diritto di ricevere le comunicazioni all ‘ indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2309/2021 della CORTE D ‘ APPELLO di ROMA, depositata il 04/06/2021 R.G.N. 334/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. La Corte d ‘ Appello di Roma, con la sentenza n. 7106 del 2013, depositata il 20 settembre 2013, rigettava l ‘ impugnazione proposta dall ‘ Azienda Complesso Ospedaliero S. Filippo Neri nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione alla sentenza del Tribunale di Roma, emessa tra le parti in data 21 maggio 2009, con la quale era stata respinta l ‘ opposizione proposta dall ‘ Azienda avverso i decreti ingiuntivi emessi in favore dei suddetti lavoratori per importi a titolo di maggiorazione del 35%, che gli sarebbe spettata ai sensi dell ‘ art. 40, comma 8, del c.c.n.l. Comparto sanità (periodo dal 3 agosto 2001-2006).
Il giudice di secondo grado affermava che risultava incontroverso che i lavoratori ricoprivano incarichi di Capo dipartimento e fruivano della maggiorazione di cui all ‘ art. 40, comma 8, c.c.n.l. Comparto sanità, allorché l ‘ Azienda con delibera 156/01 aveva proceduto a ristrutturazione aziendale, azzerando tutti gli incarichi in atto.
All ‘ atto del conferimento di nuovi incarichi ai ricorrenti non veniva attribuita la maggiorazione del 35% della retribuzione di cui al comma 9 dell ‘ art. 40 del c.c.n.l.
Tanto premesso, dopo avere richiamato il contenuto delle disposizioni convenzionali in questione, la Corte d ‘ Appello affermava che il comma 8 del citato art. 40, aveva lo scopo di garantire il
mantenimento del trattamento economico, ivi compreso quello accessorio, sub specie di retribuzione di posizione, goduto in relazione al precedente incarico nell ‘ ipotesi specifica di perdita dell ‘ incarico stesso a seguito di ristrutturazione aziendale.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorreva il Complesso Ospedaliero INDIRIZZO, prospettando quattro motivi di impugnazione.
Resistevano con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME
Questa Corte con sentenza n. 26273 del 7 novembre 2017 cassava la decisione impugnata.
Rilevava che la retribuzione di posizione riflette ‘il livello di responsabilità attribuito con l ‘incarico di funzione’, e la retribuzione di risultato corrisponde all ‘ apporto del dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione.
Evidenziava che la retribuzione di posizione denota, quindi, attraverso il collegamento al livello di responsabilità, lo specifico valore economico di una determinata posizione dirigenziale.
Riteneva che dall ‘ art. 40, comma 8, del c.c.n.l. Comparto sanità, non discendesse, come erroneamente ritenuto dalla Corte d ‘ Appello, il diritto a maggiorazioni che sono riferite dal suddetto c.c.n.l. al conferimento effettivo di incarichi di struttura complessa.
Decidendo in sede di rinvio, la Corte d ‘ Appello di Napoli, accoglieva l ‘ impugnazione dell ‘ AUSL di Roma (succeduta all ‘ Azienda Complesso Ospedaliero San Filippo Neri) e revocava i decreti ingiuntivi opposti.
Rilevava che prima della ristrutturazione aziendale il COGNOME e la COGNOME rivestivano l ‘ incarico di Dirigente di struttura complessa per il quale, come accertato con sentenze del Tribunale, poi confermate con sentenza di questa Corte passata in giudicato, percepivano la
maggiorazione del 35% sulla parte variabile della retribuzione di posizione.
Richiamava il principio della sentenza rescindente secondo cui il comma 8 dell ‘ art. 40 non determina il trascinamento del trattamento già in godimento in caso di attribuzione di un diverso incarico a seguito di ristrutturazione aziendale, ma attribuisce il diritto all ‘ assegnazione di altro incarico di pari valore economico, con diritto al risarcimento del danno in caso di inadempimento qualora ricorrano tutte le condizioni richieste, fra cui le valutazioni positive del dirigente.
Riteneva che con riferimento ai nuovi incarichi ricoperti di Responsabile dell ‘ Area Provveditorato del COGNOME e di Responsabile dell ‘ Area Personale della Seripa, a seguito di riorganizzazione aziendale, non fosse mai stata contestata dall ‘ azienda l ‘ esistenza di valutazioni positive.
Rilevava che, essendo stato riconosciuto, con sentenza passata in giudicato, il loro diritto a fruire della maggiorazione del 35% ai sensi del comma 9 dell ‘ art. 40 del c.c.n.l. doveva tuttavia escludersi la fondatezza della pretesa di pagamento della suddetta maggiorazione in relazione ad incarichi diversi da quelli previsti dal citato comma 9.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (gli ultimi tre quali eredi di NOME COGNOME) hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo, illustrato da memoria.
L ‘ Azienda Sanitaria Locale Roma 1 ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con l ‘ unico articolato motivo il ricorso denuncia, v iolazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, con particolare riguardo all’art. 40, commi 7, 8 e 9, del c.c.n.l. 1998 -2001 dell’area della dirigenza sanitaria professionale tecnica ed amministrativa (all. 9) -Eccezione di giudicato esterno ed interno, in merito al concetto di ‘pari valore economico’ del nuovo
incarico conferito ai sensi dell’art. 40, comma 8, c.c.n.l. citato -Violazione e/o falsa applicazione art. 394 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza della Corte d’Appello impugnata è illegittimamente andata oltre il principio di diritto affermato dalla Cassazione.
Sostengono i ricorrenti che la Corte d’Appello -esorbitando indebitamente, da un lato, dalle statuizioni della Corte di Cassazione (la quale, sostanzialmente, aveva richiesto solamente una corretta e motivata valutazione in merito alla sussistenza dei presupposti applicativi dell’art. 40, comma 8, c.c.n.l., in quanto tale previsione non rappresentava una clausola automatica di trascinamento del trattamento economico già in godimento) e, dall’altro, soprattutto, ponendosi in palese contrasto con un giudicato sia esterno che interno formatosi in merito alla nozione di pari valore economico -abbia sostanzialmente (ed illegittimamente) affermato che ‘la maggiorazione del 35% della retribuzione di posizione, parte variabile, prevista dal comma 9 dell’art. 40, pur incidendo nella retribuzione di posizione, non rientra tra i parametri per la determinazione del valore complessivo dell’incarico’, negando in tal modo pertanto che tale maggiorazione rientri nel concetto di ‘pari valore economico’ garantito dall’art. 40, comma 8, c.c.n.l. e, quindi, escludendo ‘la fondatezza della pretesa di pagamento’ azionata dalla dott.ssa COGNOME e dal dott. COGNOME con gli originari decreti ingiuntivi, che venivano, pertanto, revocati’.
Il motivo è infondato.
2.1. Si osserva innanzitutto che il rilievo non confuta l’affermazione della Corte territoriale secondo cui ‘la questione del giudicato è stata già decisa dalla S.C. e non può essere riproposta in questa sede, in cui la cognizione del Collegio è limitata alle questioni devolute’.
Il riferimento è alla sentenza n. 1223/2009 rispetto alla quale questa Corte, nella pronuncia rescindente, ha escluso il giudicato esterno così affermando: ‘con riguardo al presente giudizio, le statuizioni della sentenza n. 1223/09, non riguardano solo un diverso
arco temporale, come assumono i ricorrenti, ma incarichi diversi, in ordine ai quali veniva chiesta l’applicazione dell’art. 40, comma 9, c.c.n.l. (che recita: « Nel conferimento dell’incarico di direttore di dipartimento ovvero di incarichi che, pur non configurandosi con tale denominazione, ricomprendano -secondo l’atto aziendale -più strutture complesse -per la retribuzione di posizione -parte variabile -del dirigente interessato è prevista una maggiorazione fra il 35 ed il 50%, calcolato sul valore massimo della fascia di appartenenza come rideterminato dal comma 10 »), rispetto agli incarichi ricoperti nel periodo oggetto del presente giudizio (agosto 2001 -2006), in ordine ai quali veniva chiesta l’applicazione dell’art. 40, comma 8 (che recita: « Nel caso di attribuzione di un incarico diverso da quello precedentemente svolto, a seguito di ristrutturazione aziendale, in presenza di valutazioni positive riportate dal dirigente, allo stesso sarà conferito, ai sensi degli artt. 28 e 29, un altro incarico di pari valore economico »). La Corte d’Appello con la sentenza n. 1223/09, chiamata a riconoscere l’indennità di posizione ex art. 40, comma 9, nel suddetto arco temporale 1998 -31 luglio 2001, accoglie la domanda perché afferma che la corresponsione di tale indennità era stata riconosciuta dall’Azienda con proprie determinazioni. Rileva, quindi, solo ad abundantiam , che ciò era in linea con il disposto dell’art. 40, comma 8, del c.c.n.l., limitandosi a richiamarne, in parte, il contenuto, senza procedere ad alcun vaglio delle ricadute applicative nella specie’.
Sempre la pronuncia rescindente ha anche escluso il giudicato interno così statuendo: ‘2.2. Non sussiste, altresì, giudicato interno. Nella sentenza di appello oggetto del ricorso per cassazione in esame, si fa riferimento alla sentenza della medesima Corte d’Appello di Roma n. 1223/09, depositata il 30 novembre 2009, divenuta irrevocabile, affermando: «Osserva la Corte che -a prescindere dal fatto che il mantenimento di tale maggiorazione è già stato accertato per il periodo immediatamente precedente a quello per cui è giudizio con sentenza n.
1223/09 divenuta irrevocabile -l’interpretazione della norma collettiva proposta nell’atto di gravame non può essere recepita». Il tenore della suddetta affermazione e il successivo sviluppo dell’ iter argomentativo logico giuridico pongono in evidenza che la Corte d’Appello, con la sentenza oggetto del presente ricorso per cassazione, ha deciso la questione sottopostagli con un distinto e autonomo ragionamento decisorio rispetto alle statuizioni della precedente sentenza. È la stessa Corte d’Appello ad escludere, con l’espressione “a prescindere”, che la sentenza di appello richiamata e gli argomenti nella stessa enunciati, costituiscano ratio decidendi della controversia in esame, procedendo il giudice di secondo grado ad una autonoma statuizione sulla questione devolutagli, con la conseguenza che il riferimento alla sentenza n. 1223/09 non doveva essere impugnato per cassazione Il richiamo alla pronuncia della Corte d’Appello Roma n. 1223/09 nella sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 7106 del 2013 non concorre a sostanziare le ragioni della decisione di quest’ultima e pertanto la mancata impugnazione per cassazione dello stesso non dà luogo a giudicato interno su quanto statuito con la sentenza 1223/09′.
Ed allora, senza censurare la statuizione del giudice del rinvio riguardante l’avvenuta definizione già da parte della pronuncia rescindente della questione del giudicato esterno ed interno, i ricorrenti si limitano a riproporre tale questione. Ma ciò è inammissibile.
2.2. Per il resto il motivo è infondato.
Sostengono i ricorrenti che nella nozione di ‘pari valore economico’ dovesse essere ricompresa anche la maggiorazione dal 35% al 50% di cui al comma 9, facendo parte, tale maggiorazione, della retribuzione di posizione.
In realtà la suddetta maggiorazione, come è pacifico, era stata riconosciuta con riguardo ad incarichi di Direttore di Dipartimento.
A seguito della ristrutturazione gli incarichi conferiti erano di direttore di (unica) struttura complessa.
Correttamente è stato ritenuto dalla Corte territoriale che la maggiorazione del 35% della retribuzione di posizione, parte variabile, prevista dal comma 9 dell’art. 40, pur incidendo sulla retribuzione di posizione, non rientra fra i parametri per la determinazione del valore complessivo dell’incarico, essendo riconnessa all’assegnazione di particolari incarichi e cioè quello di direttore di dipartimento o incarichi che ricomprendono più strutture complesse.
Ed infatti il comma 7 dell’art. 40 definisce il valore economico complessivo dell’incarico come « la risultante della somma del minimo contrattuale del comma 5 e della quota aggiuntiva variabile definita aziendalmente ».
Dunque, il valore complessivo dell’incarico è la somma fra il minimo contrattuale della retribuzione di posizione (parte fissa e parte variabile) e la quota aggiuntiva variabile definita aziendalmente in base alla graduazione delle funzioni.
Poiché, come statuito dalla S.C., il comma 8 dell’art. 40 del c.c.n.l. non determina il trascinamento del trattamento economico già in godimento e non attribuisce il diritto a maggiorazioni previste solo in caso di conferimento effettivo di incarichi di struttura complessa, deve escludersi il diritto del COGNOME e della Seripa all’erogazione della maggiorazione per cui è processo.
Il principio già affermato è stato ribadito da Cass. n. 4983/2025 evidenziandosi che la previsione di cui all’art. 40, comma 8, del c.c.n.l. 1998 -2001 non integra una clausola di garanzia per il trascinamento del trattamento economico già in godimento, ma attribuisce il diritto ad altro incarico di pari valore economico, con conseguente tutela risarcitoria in caso di inadempimento in presenza di tutte le condizioni a ciò richieste, tra cui le valutazioni positive riportate dal dirigente.
Come bene evidenziato nella sentenza rescindente il trattamento retributivo del dirigente si compone ex d.lgs. n. 165 del 2001 (artt. 19 e 24) di una retribuzione fissa, o di base, collegata alla qualifica
rivestita dal dirigente e determinata dai contratti collettivi, e di una retribuzione accessoria consistente: a) nell’indennità di posizione che varia, secondo le funzioni ricoperte e le responsabilità connesse, in base ad una graduazione operata da ciascuna amministrazione; b) nell’indennità di risultato finalizzata a remunerare la qualità delle prestazioni e gli obiettivi conseguiti.
La delineata struttura del trattamento accessorio rivela che la retribuzione di posizione riflette ‘il livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione’, e la retribuzione di risultato corrisponde all’apporto del dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione. La retribuzione di posizione denota, quindi, attraverso il collegamento al livello di responsabilità, lo specifico valore economico di una determinata posizione dirigenziale (Cass., Sez. L, n. 24396 del 17 novembre 2014; Cass., Sez. L, n. 2459 del 2 febbraio 2011; Cass., Sez. L, n. 11084 del 15 maggio 2007).
Indennità di posizione e indennità di risultato, rappresentano, quindi, strumenti di differenziazione e di flessibilità del trattamento economico con funzione incentivante. Pertanto, dall’art. 40, comma 8, del c.c.n.l. Comparto sanità, non discende, nel caso di attribuzione di un incarico di (unica) struttura complessa, il diritto a maggiorazioni che, come quelle di cui al comma 9 dell’art. 40, sono riferite agli incarichi di Direttore di Dipartimento ovvero di direttore di più strutture complesse.
Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.
La regolamentazione delle spese segue la soccombenza, escluso il risarcimento del danno per responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ. non risultando che i ricorrenti abbiano proposto un ricorso caratterizzato da temerarietà o da mala fede e/o colpa grave tali da giustificare la sanzione prevista dall’indicata disposizione.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 6.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro