Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 783 Anno 2024
Oggetto
Civile Ord. Sez. L Num. 783 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
R.G.N. 24129/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 14/12/2023
CC
ORDINANZA
sul ricorso 24129-2019 proposto da:
COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 671/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 07/02/2019 R.G.N. 713/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/12/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
Con sentenza del 7.2.2019, n. 671, la Corte d’appello di Torino accoglieva il gravame proposto dall’Inps avverso la sentenza del tribunale di Cuneo che aveva accolto la domanda proposta da COGNOME NOME e COGNOME NOME volta alla ricostituzione della pensione, lamentando che nel relativo calcolo l’Istituto aveva erroneamente applicato il limite massimo di 40 anni di anzianità contributiva, mediante la decurtazione delle settimane di maggiorazione contributiva ricadenti nella più favorevole quota A della pensione, anziché su quelle di contribuzione effettiva di cui alla quota B.
Il Tribunale, muovendo dal rilievo che in fatto erano pacifici i periodi di esposizione all’amianto riconosciuti a ciascuno dei ricorrenti, ha accolto il relativo ricorso, sul presupposto della rilevanza della maggiorazione, di cui all’art. 13 comma 8 della legge n. 257/92 , ai fini del diritto alla pensione e del suo ammontare, sicché non vi era motivo di restringere il beneficio ai fini del calcolo; riteneva applicabili, nella specie, i principi in tema di cumulo dei contributi di gestioni diverse, con riferimento alla necessità che il limite massimo delle 2080 settimane, ai fini del calcolo della pensione, valesse non solo nell’ambito di ciascuna delle gestioni presso cui sono versati i contributi, ma anche complessivamente, considerando che il tetto opera quale limite dei benefici che ordinariamente arreca al lavoratore il sistema retributivo di calcolo delle pensioni, con la sua valorizzazione, tendenzialmente, dei livelli di retribuzione (o di reddito) degli anni più
favorevoli anche con riferimento ai periodi iniziali o, comunque, meno fortunati dell’attività lavorativa.
La Corte d’appello, in accoglimento del gravame dell’Inps, ha escluso che coloro che avessero già raggiunto la massima anzianità contributiva, in virtù della contribuzione effettiva e figurativa già accreditata, possano far valere un ulteriore incremento di anzianità per periodi di esposizione ad amianto, e ciò anche solo al fine di ottenere una riliquidazione dell’importo della pensione.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, COGNOME Dario e COGNOME Carlo ricorrono per cassazione, sulla base di un motivo, mentre l’Inps ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Il Collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della presente decisione in camera di consiglio.
Considerato che:
Con il motivo di ricorso, i ricorrenti deducono il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 13 comma 8 della legge n. 257/92, in combinato disposto con l’art. 4 comma 1 del DM n. 27.10.04 e dell’art. 13 del d.lgs. n. 503/92, perché erroneamente, la Corte del merito aveva ritenuto che i lavoratori i quali avessero raggiuto la massima anzianità contributiva utilmente valutabile, non potessero comunque giovarsi dell’apporto della rivalutazione contributiva per esposizione all’amianto , al fine di migliorare la misura del trattamento pensionistico, in conformità alla legge n. 257/92, con eliminazione del numero di
settimane di beneficio pensionistico eccedenti a partire da quelle meno favorevoli per l’interessato.
Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il diritto alla rivalutazione, ai fini pensionistici, dei contributi relativi al periodo di esposizione ad amianto, di cui all’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, non spetta a chi, avendo già raggiunto l’anzianità contributiva massima nel regime pensionistico di appartenenza, non otterrebbe comunque, dall’applicazione del coefficiente moltiplicatore, un concreto vantaggio né ai fini dell’anticipazione della pensione, né dell’incremento della misura della stessa (Cass. n. 13870/15; v. Cass. n. 528/2023 secondo cui la maturazione del diritto alla rivalutazione pensionistica, dovuta all’esposizione all’amianto non rende possibile la riliquidazione della pensione sulla base di una contribuzione superiore al limite di legge di quarant’anni di contribuzione massima utile ).
Nella specie, la Corte d’appello ha correttamente rilevato che la maggiorazione contributiva, che non comporta l’applicazione di meccanismi di neutralizzazione, può operare, in coerenza con la precipua funzione del beneficio, solo in aumento e non in sostituzione, totale o parziale, della contribuzione già accreditata, ossia nei limiti necessari a colmare le ‘scoperture’ contributive fino al conseguimento della massima anzianità conseguibile, senza che sia possibile, una volta conseguite le 2080 settimane di anzianità massima contributiva, aggiungere l’ulteriore incremento derivante da esposizione ad amianto, o
procedere al ricalcolo con esclusione della contribuzione meno favorevole.
I ricorrenti, pertanto, potevano beneficiare dell’incremento contributivo dovuto ai periodi di esposizione qualificata all’amianto solo per colmare eventuali scoperture per consentire il raggiungimento del tetto massimo delle 2080 settimane contributive ma non per sostituire periodi contributivi meno favorevoli (secondo Cass. n. 30639/2022, la maturazione del diritto alla rivalutazione non comporta che la pensione debba essere riliquidata sulla base di una contribuzione che vada oltre il limite di legge, estraneo a quell’oggetto del contendere; anche la condanna dell’Istituto nel pregresso contenzioso ha un contenuto generico limitato all’ “an”, per cui l’accertamento del “quantum” rimane autonomo rispetto al primo, con la conseguenza che il passaggio in giudicato della sentenza di condanna generica non determina effetti vincolanti, per il giudice del “quantum”, sulla effettiva misura del credito – cfr. Cass. n. 9290 del 2014; Cass. n. 19453 del 2008).
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, rispetto a quello già versato a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti a pagare all’Inps le spese di lite che liquida nell’importo
di € 3.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale del