Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25664 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 25664 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/09/2025
SENTENZA
sul ricorso N. 11254/2023 R.G. proposto da:
MOBILIA COGNOME difeso da sé stesso ex art. 86 c.p.c., domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE
– intimata – avverso la sentenza del Tribunale di Messina recante il n. 1933/2022 e pubblicata in data 17.11.2022;
udita la relazione sulla causa svolta nella pubblica udienza del 3.7.2025 dal consigliere dr. NOME COGNOME
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale dr.ssa NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito l’ avv. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Giudice di pace di Messina, con sentenza n. 463/18 dell’8.3.2018, rigettò
l’opposizione ex art. 615, comma 1, c.p.c., promossa da RAGIONE_SOCIALE – Agente della Riscossione per la Provincia di Messina (poi divenuta Agenzia delle Entrate-Riscossione, di seguito AdER) , condannando l’opponente alla rifusione delle relative spese processuali in favore dell’avv. NOME COGNOMEprecettante in proprio quale procuratore distrattario dell’originaria parte assistita nel giudizio presupposto), liquida te in € 870,00 oltre accessori di legge. L’avv. COGNOME, in data 24.4.2018, notificò quindi ulteriore atto di precetto in forza del detto titolo esecutivo per l’importo complessivo di € 1.669,37, avverso il quale l’AdER propose nuova opposizione all’esecuzione, cui resistette l’intimante opposto. L’adito Giudice di pace di Messina, con ordinanza del 23.7.2019, accolse l’eccezione preliminare sollevata dall’opposto, dichiarando la pro pria incompetenza per materia, ed assegnando alle parti il termine di mesi tre dalla sua comunicazione per la riassunzione del giudizio dinanzi al Tribunale di Messina, tuttavia compensando integralmente le spese processuali. Il Mobilia propose dunque appe llo e il Tribunale di Messina, nella resistenza dell’AdER, lo accolse parzialmente, riformando l’ordinanza impugnata e condannando l’appellata alla rifusione delle spese del doppio grado. Osservò il Tribunale che la compensazione disposta dal primo giudice non era giustificata da nessuna delle ipotesi di cui al vigente art. 92, comma 2, c.p.c., e che esse andavano
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liquidate secondo il parametro minimo della tariffa, in particolare dovendo escludersi, per entrambi i gradi di giudizio, la liquidazione per la fase istruttoria, perché non effettuata.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME sulla scorta di un unico motivo, illustrato da memoria. L ‘AdER non ha resistito. Il P.G. ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con l’unico motivo si denuncia la ‘ Violazione degli artt. 91 c.p.c. e 2233 c.c., nonché degli artt. 1, 4 e 28 del D.M. 10/3/2014 n° 55 (come da ultimo modificato dal D.M. 13/8/2022 n° 147), recanti i parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per la professione forense (ai sensi del sesto comma dell’art. 13 della L. 31/12/2012 n° 247), a cagione dell’insufficiente liquidazione delle spese processuali per ciascuno dei due gradi di merito, operata in misura inferiore agli importi (pur ridotti nella misura massima prevista) di cui alla Tabelle n° 1 e 2 allegate al detto D.M. n° 55/2014, come da ultimo modificato dal D.M. 147/2022 cit.. Motivazione inesistente ed omessa su un punto decisivo del giudizio, e conseguente violazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. (art. 360, nn° 3 e 4, c.p.c.) ‘. Si censura la decisione d’appello perché, pur avendo correttamente regolato le spese del doppio grado secondo soccombenza, il Tribunale avrebbe tuttavia errato nella relativa liquidazione, avuto riguardo al valore della controversia (compreso tra € 1.101,00 ed € 5.200,00): anche ad applicare il minimo tabellare, come affermato dal Tribunale, i compensi per il giudizio di primo grado avrebbero dovuto liquidarsi in misura pari ad € 633,00 per fase di studio, fase introduttiva,
fase istruttoria e/o trattazione e fase decisionale (anziché, come liquidato, € 436,00), e per il secondo grado in misura pari ad € 1.276,00 (anziché € 852,00) , per le stesse fasi, oltre accessori. Erronea, infatti, sarebbe l’affermazione per cui la fase istruttoria non era liquidabile perché non era stata svolta attività istruttoria, posto che in essa rientra anche l’esame degli scritti avversari e dei provvedimenti del giudice ed è quindi ineludibile, anche se l’avversario non si sia costituito. Avrebbe inoltre errato il Tribunale nel liquidare le spese di entrambi i gradi al lume del D.M. n. 55/2014, anziché del D.M. n. 147/2022, modificativo del primo, e vigente all’atto della liquidazione stessa . Detti errori, poi, ridondano – secondo il ricorrente – anche sul piano motivazionale, posto che la relativa liquidazione si pone al di sotto dei minimi tabellari, senza che se ne siano esplicitate le ragioni, così rendendosi lesive del decoro della professione.
2.1 Il ricorso è solo parzialmente fondato, nei termini di cui appresso.
2.2.1 Iniziando dal tema della liquidazione delle spese del giudizio di primo grado, la Corte ritiene di non poter condividere la valutazione del Procuratore Generale secondo cui il Tribunale, nell’indicare lo scaglione di valore fino ad € 1.100,00, sarebbe incorso in errore di diritto, non censurato dall’odierno ricorrente.
In realtà, lo scaglione corretto , avuto riguardo all’importo precettato (€ 1.669,37) e dunque al valore della causa, è sempre stato ben chiaro al giudice d’appello, tanto è vero che esso è stato correttamente considerato proprio per la liquidazione del giudizio di secondo grado, come inequivocamente emerge dalla motivazione della sentenza impugnata. Insomma, il primo riferimento è semplice frutto di lapsus calami , come peraltro dimostrato sia dal fatto che la
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liquidazione in effetti operata (€ 436,00 per compensi) discende dalla applicazione dei parametri minimi di cui al D.M. n. 55/2014 rispetto al valore effettivo (appunto, compreso tra € 1.101,00 ed € 5.200,00), con l’esclusione (erronea, come si dirà subito appresso) della sola fase istruttoria, sia dal fatto che, diversamente opinando, la suddetta liquidazione si rivelerebbe ben superiore ai minimi tabellari, in palese contraddizione con le premesse esternate dal Tribunale.
2.2.2 Venendo ora al tema della debenza della fase istruttoria per il giudizio di primo grado, la censura coglie nel segno, perché è assolutamente consolidato, quanto al primo grado di lite, l’orientamento di questa Corte di legittimità secondo cui il d.m. n. 55/2014 prevede un compenso unitario per la fase di trattazione e/o istruttoria complessivamente considerata, sicché l’importo rimane in ogni caso riferibile anche solo alla diversa fase della trattazione a prescindere dall’effettivo svolgimento di attività istruttoria (si veda, ex multis, Cass. n. 28627/2023, resa con riguardo al procedimento sommario di cognizione; ma v. anche Cass. n. 29184/2023, che ha negato la valenza derogatoria a i protocolli d’intesa siglati tra ordini professionali e Autorità giudiziarie locali, in relazione alla non riconoscibilità dei compensi per detta fase istruttoria, perché in violazione del combinato disposto degli artt. 12 e 13 del d.m. n. 55/2014, che costituiscono espressione dei valori costituzionali dell’effettività retributiva dell’attività lavorativa).
D’altra parte, s’è anche condivisibilmente precisato che ‘ In materia di spese di giustizia, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore per la fase istruttoria, ai sensi dell’art. 4, comma 5, lett. c), del d.m. n. 55 del 2014,
rileva anche l’esame dei provvedimenti giudiziali pronunciati nel corso e in funzione dell’istruzione, compresi quelli da cui può desumersi la non necessità di procedere all’istruzione stessa, tra i quali, in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, deve annoverarsi il medesimo decreto opposto ‘ (Cass. n. 20993/2020) ; e ancora: ‘ In materia di spese di giustizia, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore per la fase istruttoria, rilevano non solo l’espletamento di prove orali e di ctu, ma anche le ulteriori attività difensive che l’art. 4, comma 5, lett. c), del d.m. n. 55 del 2014 include in detta fase, tra cui pure le richieste di prova e le memorie illustrative o di precisazione o integrazione delle domande già proposte ‘ (Cass. n. 4698/2019). Ben si comprende, dunque, la consolidata affermazione per cui ‘ nel computo dell’onorario deve essere compreso anche il compenso spettante per la fase istruttoria, a prescindere dal suo concreto svolgimento ‘ (Cass. n. 8561/2023).
Ha dunque errato il Tribunale peloritano, quanto al giudizio di primo grado, allorché ha negato la liquidazione dei compensi per detta fase, nonostante il manifesto espletamento delle attività sopra ricordate come riconducibili ad essa.
2.2.3 Sempre con riguardo alla liquidazione delle spese di primo grado, ritiene la Corte che – in linea con quanto anelato dal ricorrente – essa debba essere effettuata sulla scorta del d.m. n. 55/2014, nel testo vigente al tempo della liquidazione (quindi, come adeguato con d.m. n. 147/2022), ossia non già con riguardo all’epoca di cui l’attività defensionale venne effettuata , bensì a quella della effettiva liquidazione, perché disposta dal giudice dell’impugnazione .
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Infatti, questa Corte – consolidando un orientamento dal quale non si rilevano elementi per discostarsi ed al quale occorre, quindi, assicurare continuità, anche per l’opportunità della massima stabilità possibile dell’ermeneutica delle norme processuali ha più volte affermato che ‘ In tema di spese processuali, i parametri introdotti dal d.m. n. 55 del 2014, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorché la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purché a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata. Ne consegue che, qualora il giudizio di primo grado si sia concluso con sentenza prima della entrata in vigore del detto d.m., non operano i nuovi parametri di liquidazione, dovendo le prestazioni professionali ritenersi esaurite con la sentenza, sia pure limitatamente a quel grado; nondimeno, in caso di riforma della decisione, il giudice dell’impugnazione, investito ai sensi dell’art. 336 c.p.c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d’appello, atteso che l’accezione omnicomprensiva di “compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera prestata nella sua interezza ‘ (così, Cass. n. 19989/2021; conf. Cass. n. 31884/2018).
Rapportando il detto insegnamento alla fattispecie, discende dunque che la nuova liquidazione delle spese di primo grado, resasi necessaria per effetto dell’accoglimento dell’appello, non avrebbe dovuto effettuarsi ‘ora per allora’ (come in concreto disposto dal Tribunale peloritano), perché – pur riferendosi ad
una attività pacificamente già esauritasi, per quel grado – bensì applicando la disciplina vigente al tempo della nuova liquidazione, occorrendo a tal punto riferirsi all’attività defensionale prestata nella sua interezza.
2.3.1 Quanto invece al giudizio d’appello, questa Corte ha già affermato che ‘ In tema di liquidazione delle spese processuali in base al d.m. n. 55 del 2014, l’effettuazione di singoli atti istruttori e, segnatamente, la produzione di documenti, in altre fasi processuali (come quella introduttiva e/o quella decisionale) non equivale allo svolgimento della fase istruttoria e/o di trattazione che, per quanto riguarda il giudizio di appello, può dare luogo al riconoscimento della relativa voce di tariffa unicamente qualora sia effettivamente posta in essere, nel corso della prima udienza di trattazione, una o più delle specifiche attività previste dall’art. 350 c.p.c. ovvero sia fissata un’udienza a tal fine o, comunque, allo scopo di svolgere altre attività istruttorie e/o di trattazione, ma non nel caso in cui alla prima udienza di trattazione sia esclusivamente e direttamente fissata l’udienza di precisazione delle conclusioni, senza il compimento di nessuna ulteriore attività, e questo anche ove siano prodotti nuovi documenti in allegato all’atto di appello ovvero, successivamente, con gli scritti conclusionali ‘ (Cass. n. 10206/2021).
In proposito, è ben vero (come evidenziato dal ricorrente in memoria) che, nella giurisprudenza di legittimità, si registrano pronunce di segno dissonante (oltre alla invocata Cass. n. 28325/2022, si vedano anche: Cass. n. 21743/2019; Cass. n. 20993/2020; Cass. n. 8870/2022; Cass. n. 15182/2022), ma ritiene la Corte di dover qui dare continuità all’indirizzo più rigoroso, di recente ribadito da Cass. n. 29077/2024 e Cass. n. 7343/2025 (entrambe non massimate sul punto), che
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del tutto condivisibilmente ne hanno fondato le ragioni sulla specifica peculiarità del giudizio d’appello e delle correlative attività descritte dall’art. 350 c.p.c. , le sole il cui effettivo svolgimento può giustificare la liquidazione dei compensi per la fase in parola.
Il che è del tutto ragionevole, perché, da un lato, nel giudizio d’appello – in base all’id quod plerumque accidit – al l’udienza di cui all’art. 350 c.p.c. segue il rinvio all’udienza di precisazione delle conclusioni , ove la causa viene assegnata a sentenza , e dall’altro eventuali istanze istruttorie, com’è intuitivo, devono essere articolate già negli atti introduttivi, non essendo previsto, per il giudizio di secondo grado, le scansioni ‘a valle’ dell’udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c. (si fa riferimento, ovviamente, alla disciplina antecedente al d.lgs. n. 149/2022, anche se le considerazioni mutatis mutandis – restano analoghe).
Se il processo d’appello, dunque, si svolge secondo il riportato schema essenziale – sicché non viene in rilievo una effettiva fase istruttoria, né di vera e propria trattazione – da tanto discende che le attività defensionali lato sensu finalizzate a richieste istruttorie (come, ad es., la rinnovazione dell’istanza di ammissione di richieste denegate dal primo giudice, la produzione di documenti, ecc.) rientrano nella liquidazione dei compensi relativa alla specifica fase in cui si verificano (ossia: nella fase di studio, se affidate agli atti introduttivi; in quella decisionale se effettuate successivamente, sempre che dette attività siano ammissibili, com’è ovvio ) e non dànno diritto alla liquidazione dei compensi di cui all’art. 4, comma 5, lett. c), del d.m. n. 55/2014, come modificato dal d.m. n. 147/2022.
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2.3.2 Ebbene, come risulta dall’esame del fascicolo d’ufficio , nel giudizio d’appello in parola, dopo la costituzione di AdER, all’udienza del 27. 2 .2020 l’avv. COGNOME si limitò a chiedere la trasmissione del fascicolo al Presidente del Tribunale affinché venisse designato un giudice togato; tanto disposto, il G.I. dopo alcuni differimenti d’ufficio – con decreto del 25.2.2022 fissò l’udienza di discussione del 24.3.2022, con decisione contestuale, in modalità cartolare, ai sensi dell’art. 221 del d.l. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020, assegnando alle parti termine per il deposito di note conclusive (depositate dalle parti); con ulteriore decreto del 24.3.2022, il G.I. (non essendo stato acquisito il fascicolo di primo grado) rinviò la causa all’udienza del 17.11.2022 per la precisazione delle conclusioni e la decisione ex art. 281sexies c.p.c., assegnando un nuovo termine per il deposito di note conclusive e con successivo decreto ne dispose la trattazione cartolare, ut supra ; depositate nuove note conclusive da entrambe le parti, finalmente in data 17.11.2022 la causa venne decisa. Pertanto, risulta evidente come non si sia svolta nessuna delle attività previste dall’art. 350 c.p.c., ovvero quelle sole riconducibili alla previsione dall’art. art. 4, comma 5, lett. c), del d.m. n. 55/2014.
La censura in esame va quindi rigettata, perché infondata.
3.1 In definitiva, il ricorso è accolto, per quanto di ragione. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., con la parziale riforma della sentenza di primo grado e la condanna di Agenzia delle Entrate-Riscossione al pagamento delle spese processuali del giudizio di primo grado, liquidate in € 633,00 per compensi, oltre
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rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge e con conferma dell’impugnata decisione nel resto.
L’accoglimento solo parziale del ricorso giustifica la compensazione per metà delle spese del giudizio di legittimità, che nel resto seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa in relazione la sentenza gravata e, decidendo nel merito, in corrispondente parziale riforma della sentenza di primo grado, condanna Agenzia delle Entrate-Riscossione al pagamento delle spese processuali del giudizio di primo grado, liquidate in € 633,00 per compensi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge; conferma nel resto l’impugnata decisione. Compensa per metà le spese del giudizio di legittimità, condannando l’intimata alla rifusione della restante parte, che liquida in tale proporzione in € 350,00 per compensi, oltre € 100,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza Sezione Civile della Corte di cassazione, il giorno 3.7.2025.
Il Consigliere est. NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME