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Liquidazione spese legali: inderogabili i minimi

Una cittadina, dopo aver vinto una causa contro un ente comunale e l’agenzia di riscossione per sanzioni amministrative, ha impugnato la decisione per l’insufficiente liquidazione delle spese legali. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che la liquidazione spese legali deve inderogabilmente rispettare i minimi tariffari previsti dalla legge, come modificati dal D.M. 37/2018. La Corte ha inoltre precisato che il compenso per la fase istruttoria è dovuto se è stata svolta attività pertinente, cassando la sentenza e rinviando al Tribunale per un nuovo calcolo.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Liquidazione spese legali: la Cassazione ribadisce l’inderogabilità dei minimi

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in materia di liquidazione spese legali: i minimi tariffari previsti per gli avvocati sono inderogabili. Questa decisione chiarisce che il giudice non può scendere al di sotto di tali soglie, neanche con una motivazione specifica, e deve riconoscere il compenso per tutte le fasi processuali effettivamente svolte. Analizziamo insieme questa importante pronuncia e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso: una vittoria parziale

La vicenda ha origine da un’opposizione promossa da una cittadina contro alcune cartelle di pagamento relative a sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada. Il Giudice di Pace accoglieva l’opposizione, annullando gli atti e condannando l’ente comunale e l’agenzia di riscossione al pagamento delle spese di lite, liquidate in 300 euro per compensi e 43 euro per esborsi.

Ritenendo l’importo insufficiente e non remunerativo dell’attività svolta, la cittadina, pur risultando vincitrice nel merito, decideva di appellare la sentenza proprio su questo punto. Tuttavia, il Tribunale confermava la decisione di primo grado, spingendo la ricorrente a rivolgersi alla Corte di Cassazione.

La corretta liquidazione spese legali secondo la Corte

Il fulcro del ricorso in Cassazione si basava sulla violazione e falsa applicazione delle norme che regolano i compensi professionali, in particolare il D.M. 55/2014, come modificato dal D.M. 37/2018. La ricorrente lamentava due errori principali: la violazione dei minimi tariffari e il mancato riconoscimento del compenso per la fase istruttoria del giudizio.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso fondato, accogliendolo integralmente. I giudici hanno chiarito due aspetti cruciali.

In primo luogo, hanno ribadito che, a seguito delle modifiche introdotte dal D.M. 37/2018, i parametri minimi per la liquidazione spese legali hanno carattere inderogabile. Ciò significa che il giudice, in assenza di un accordo diverso tra le parti, non può liquidare un compenso inferiore ai valori minimi stabiliti dalle tabelle ministeriali. L’affermazione del Tribunale secondo cui sarebbe possibile derogare a tali limiti con adeguata motivazione è stata giudicata non conforme al diritto vigente.

In secondo luogo, la Corte ha affrontato la questione del mancato compenso per la fase istruttoria. Ha precisato che tale compenso è dovuto anche quando l’attività svolta consiste semplicemente nell’esame della documentazione prodotta dalla controparte, attività espressamente prevista dalla normativa. Nel caso di specie, essendo state prodotte delle prove documentali, la fase istruttoria si era di fatto svolta e doveva essere retribuita, almeno nella misura minima.

Le conclusioni: cosa cambia per avvocati e cittadini

L’ordinanza in esame rappresenta un importante punto fermo a tutela della professione forense e del diritto alla difesa. La Corte, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa al Tribunale di Roma in diversa composizione, ha sancito che il lavoro dell’avvocato deve essere sempre equamente retribuito secondo parametri normativi non discrezionali.

Questa decisione rafforza la certezza del diritto, garantendo che la parte vittoriosa in un giudizio ottenga un rimborso delle spese legali che sia effettivamente commisurato all’attività difensiva prestata, senza riduzioni arbitrarie. Si tratta di una garanzia non solo per gli avvocati, ma anche per i cittadini, che possono così contare su una più trasparente e prevedibile gestione dei costi legati a un contenzioso.

È possibile per un giudice liquidare le spese legali al di sotto dei minimi previsti dalla legge?
No. Secondo la Corte di Cassazione, a seguito delle modifiche introdotte dal D.M. 37/2018, i valori minimi dei parametri forensi hanno carattere inderogabile. Il giudice non può scendere al di sotto di tali soglie, salvo diverso accordo tra le parti.

Il compenso per la fase istruttoria è sempre dovuto?
Il compenso per la fase istruttoria è dovuto laddove risulti svolta un’attività pertinente a tale fase. La Corte ha specificato che anche il solo esame della documentazione prodotta dalla controparte costituisce attività istruttoria e, pertanto, deve essere retribuita almeno nella misura minima.

Cosa succede se un giudice liquida le spese in modo errato, violando i minimi tariffari?
La decisione può essere impugnata. Come dimostra il caso in esame, la parte che ritiene di aver subito un’errata liquidazione delle spese può ricorrere ai gradi di giudizio superiori. La Corte di Cassazione, se riconosce l’errore, può cassare la sentenza e rinviare la causa a un altro giudice per una nuova e corretta liquidazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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