Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 566 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 566 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso iscritto al NRG 26663 del 2022 promosso da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente – contro
MINISTERO DELL’INTERNO ; UFFICIO TERRITORIALE DI GOVERNO -PREFETTURA DI REGGIO CALABRIA; AGENZIA DEL DEMANIO; tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio presso la sede dell’Istituto in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti –
R.G. 26663/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 21/11/2023
Consiglio di Stato
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , in proprio e quale mandataria del costituendo r.t.i. con RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Paolo, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato, Terza Sezione, n. 8969/2022, pubblicata il 20 ottobre 2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. -La Prefettura -Ufficio territoriale del Governo di Reggio Calabria, in data 10 novembre 2021 , emanava un’informativa interdittiva antimafia nei confronti della sRAGIONE_SOCIALE, a causa della presenza di possibili situazioni di infiltrazioni mafiose, ai sensi dell’art. 91 del d.lgs. n. 159 del 2011, tendenti a condizionare l’attività di impresa della società, operante nel settore del soccorso stradale.
A seguito dell’emanazione dell’interdittiva, la Prefettura adottava, il 12 novembre 2021, il consequenziale provvedimento di cancellazione della società dall’elenco dei custodi giudiz iari e, in data 29 novembre 2021, revocava l’aggiudicazione della gara , da essa indetta unitamente all’Agenzia del Demanio, avente ad oggetto l’affidamento del servizio di recupero, custodia e acquisto dei veicoli oggetto dei provvedimenti di sequestro amministrativo, fermo o confisca.
Su ricorso della società RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria -sede di Reggio Calabria ha annullato i provvedimenti suindicati, per la mancata osservanza della nuova disciplina di legge sul contraddittorio istruttorio (decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152), ritenuta ratione temporis applicabile, essendo il provvedimento di informativa interdittiva intervenuto successivamente alla sua entrata in vigore.
-Hanno proposto appello le Amministrazioni.
Si è costituita l’originaria controinteressata, RAGIONE_SOCIALE associandosi alle ragioni di parte appellante.
-Con sentenza resa pubblica mediante deposito in segreteria il 20 ottobre 2022, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’appello interposto dal Ministero dell’interno -Ufficio territoriale del Governo di Reggio Calabria e dall’Agenzia del Demanio.
Il Consiglio di Stato ha evidenziato che la corretta instaurazione del contraddittorio è in realtà avvenuta grazie alle interlocuzioni occorse fra la Prefettura e la società interessata a seguito della comunicazione, in data 23 marzo 2021, del preavviso di rigetto dell’istanza di iscrizione alla white list e che, in ogni caso, un ‘ ulteriore fase di contraddittorio sarebbe stata pleonastica e, comunque, non suscettibile di indurre l’Amministrazione all’adozione di misure alternative all’interdittiva . Secondo il giudice amministrativo d’appello, infatti, l’unica novità nel frattempo intervenuta era rappresentata da una informativa della Polizia relativa alla frequentazione tra il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e un soggetto controindicato ai fini antimafia, episodio non deponente a favore della parte ricorrente e comunque marginale rispetto al complesso indiziario già acquisito.
Inoltre, il Consiglio di Stato ha osservato che l’art. 92, comma 2 -bis , del d.lgs. n. 159 del 2011, invocato dalla società a sostegno delle
proprie ragioni, sebbene astrattamente applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, era entrato in vigore pochi giorni prima dell’adozione del provvedimento impugnato, quando la fase istruttoria si era ormai conclusa secondo la disciplina previgente.
– Per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso, con atto notificato il 4 novembre 2022, sulla base di due motivi.
Il Ministero dell’interno Ufficio territoriale del Governo di Reggio Calabria e l’Agenzia del Demanio hanno resistito con controricorso.
Ha resistito, con controricorso, anche la RAGIONE_SOCIALE
-La Prima Presidente ha proposto la definizione accelerata del ricorso, ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., avendo ravvisato l’inammissibilità dell’impugnazione per cassazione.
Chiesta la decisione da parte della ricorrente RAGIONE_SOCIALE del Sole, la causa è stata fissata in camera di consiglio.
In prossimità dell’adunanza camerale, il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Entrambe le società hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso, viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm. (d.lgs. n. 104 del 2010), per violazione del termine concesso dalla legge all’appellato per il deposito di memoria con riproposizione dei motivi non scrutinati dal giudice di primo grado.
Ad avviso della ricorrente, infatti, il Consiglio di Stato avrebbe omesso di osservare e rispettare il termine dalla norma evocata concesso alla società appellata per la riproposizione, mediante il deposito
di memoria entro il termine per la costituzione in giudizio, dei motivi dichiarati assorbiti dal giudice di primo grado.
In particolare, essendo la notifica dell’appello intervenuta il 28 settembre 2022 (per assenza del destinatario in data 21 settembre 2022), la società ricorrente avrebbe avuto il diritto di depositare le proprie memorie entro sessanta giorni, ossia, al più tardi, il 28 novembre 2022.
La sentenza del Consiglio di Stato, essendo stata emessa a seguito della camera di consiglio del 13 ottobre 2022, avrebbe violato tale diritto spettante all’appellata, comprimendo, per l’effetto, il più ampio diritto di accesso alla tutela giurisdizionale e impedendo il corretto dispiegamento dell’attività difensiva.
-Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 55, comma 5, cod. proc. amm.
Tale norma, prevedendo che la camera di consiglio debba essere fissata, in ipotesi di richiesta di sospensione cautelare della sentenza impugnata, non prima che siano decorsi venti giorni dalla notifica dell’atto di appello, avrebbe imposto al Consiglio di Stato di riunirsi non prima del 18 ottobre 2022. Per tale ragione, la fissazione della camera di consiglio in data 13 ottobre 2022 rappresenterebbe una negazione in radice dell’accesso alla tutela giurisdizionale e, in ultima analisi, configurerebbe un diniego di giustizia.
-L’uno e l’altro motivo possono essere esaminati congiuntamente.
-Essi sono, entrambi, inammissibili.
-Occorre premettere che le pronunce del Consiglio di Stato sono escluse dal ricorso per cassazione per violazione di legge, contro di esse essendo deducibili, secondo l’assetto definito dalla Costituzione (art. 111 Cost.), i soli motivi inerenti alla giurisdizione.
La nomofilachia esercitata dalla Corte di cassazione quale giudice del vizio di violazione di legge non si estende al Consiglio di Stato (Cass., Sez. Un., 13 ottobre 2023, n. 28550).
I motivi inerenti alla giurisdizione -in relazione ai quali soltanto è ammesso il sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato -vanno identificati con le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (che si verifica quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale) o di difetto relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici) ( Cass., Sez. Un., 4 febbraio 2021, n. 2605).
I motivi inerenti alla giurisdizione concernono il limite esterno della giurisdizione, vale a dire la spettanza del potere decisionale.
Nei confronti delle decisioni del Consiglio di Stato, l’esame da parte della Corte di cassazione non si estende al controllo del cattivo esercizio della giurisdizione: non coinvolgendo il limite interno della giurisdizione, il sindacato non può cadere sugli errores in iudicando o in procedendo (Cass., Sez. Un., 30 giugno 2023, n. 18539).
È esclusa dal sindacato sulla giurisdizione la verifica sul rispetto da parte del giudice amministrativo dei limiti interni, delle norme, cioè, che danno contenuto alla giurisdizione attraverso modalità e forme con le quali il potere giurisdizionale deve essere esercitato.
Corollario di questa impostazione è, appunto, l’insindacabilità in cassazione degli errores in iudicando o in procedendo , legati alla violazione delle norme sostanziali e processuali da parte del giudice amministrativo.
E’ naturale che qualsiasi erronea interpretazione o applicazione di norme ovvero qualsiasi vizio di attività processuale in cui il giudice possa incorrere nell’esercizio della funzione giurisdizionale, ove incida sull’esito della decisione, può essere lett o in chiave di lesione della pienezza della tutela giurisdizionale cui ciascuna parte legittimamente aspira, perché la tutela si realizza compiutamente se il giudice interpreta ed applica in modo corretto le norme destinate a regolare il caso sottoposto al suo esame e se esamina e valuta tutti i punti essenziali della controversia.
Non per questo, però, ogni errore di giudizio o di attività processuale imputabile al giudice è qualificabile come eccesso di potere giurisdizionale assoggettabile al sindacato della Corte di cassazione, quale risulta delineato dall’art. 111, ottavo comma, Cost. e dagli artt. 362 cod. proc. civ. e 110 cod. proc. amm. Ne risulterebbe altrimenti del tutto obliterata la distinzione tra limiti interni ed esterni della giurisdizione e il sindacato di questa Corte sulle sentenze del giudice amministrativo verrebbe di fatto ad avere una latitudine non dissimile da quella che si esercita sui provvedimenti del giudice ordinario: ciò che la norma costituzionale e le disposizioni processuali dianzi richiamate non sembrano invece consentire (Cass., Sez. Un., 14 settembre 2020, n. 19085; Cass., Sez. Un., 13 gennaio 2023, n. 963).
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 6 del 2018, ha sottolineato che la tesi del concetto di giurisdizione in senso dinamico, nella misura in cui riconduce ipotesi di errores in iudicando o in procedendo ai motivi inerenti alla giurisdizione, comporta una più o meno completa assimilazione dei due tipi di ricorso, ai sensi del settimo e dell’ottavo comma dell’art. 111 Cost., e si pone in contrasto con tale disposizione costituzionale e con l’assetto plural istico delle giurisdizioni stabilito dalla Carta fondamentale che, appunto per questo, ha sottratto le sentenze del Consiglio di Stato al controllo nomofilattico della Corte di
cassazione, stabilendo una riserva di nomofilachia in favore dell’organo di vertice della giurisdizione speciale.
-Il ricorso, in entrambi i suoi motivi, deduce violazioni in tema di ‘termine concesso all’appellato per il deposito di memoria con riproposizione dei motivi non scrutinati dal giudice di primo grado ‘ e ‘ per la fissazione della camera di consiglio sulla richiesta di misura cautelare ‘ .
-La questione posta dal ricorrente è se una sentenza del Consiglio di Stato, emessa in sede cautelare prima del termine previsto dalla legge per la costituzione dell’appellato, integri gli estremi della manifesta denegata giustizia e come tale costituisca diniego di giurisdizione.
-Può prescindersi, in questa sede, dai rilievi delle parti controricorrenti attinenti al fondo della complessiva doglianza, ossia dall’osservazione sulla non configurabilità della lamentata violazione processuale, prospettata tanto dalla difesa delle Amministrazioni (secondo cui sarebbe stato rispettato il termine previsto per la fissazione della camera di consiglio, tenuto conto che l’atto di appello è stato avviato alla notifica in data 16 settembre 2022, l’avviso è stato consegnato all’indirizzo del destinatario per temporanea assenza il 21 settembre 2022 e l’udienza fissata il 13 ottobre 2022), tanto dalla difesa della controinteressata RAGIONE_SOCIALE (che fa leva sulla circostanza che la camera di consiglio cautelare è stata celebrata oltre il termine di dieci giorni decorrenti dal 28 settembre 2022).
-E’ assorbente la considerazione che la società ricorrente deduce errores in procedendo che, inerendo ai limiti interni della giurisdizione amministrativa, sono incensurabili dalle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 111, ottavo comma, Cost.
-La società ricorrente, pervero, ritiene che non si verterebbe nell’ipotesi di violazione di norme processuali, ma in uno sconfinamento della potestà giurisdizionale. Le censure rientrerebbero in una dinamica evolutiva del concetto di giurisdizione, al fine di garantire il canone dell’effettività della tutela giurisdizionale e il rilievo cos tituzionale del
principio del giusto processo. Non si tratterebbe di interpretazione di norme, ma di omessa applicazione delle regole processuali che hanno impedito la possibilità alla parte deducente di difendersi e, quindi, di un evidente caso di denegata giustizia. Saremmo di fronte, nella prospettazione della ricorrente, alla violazione di norme attinenti all’esercizio della giurisdizione, dato che la sentenza risulta essere stata emessa prima del termine riconosciuto all’appellato per richiedere uno ius dicere sulla domanda non scrutinata dal giudice di primo grado.
11. -La tesi della ricorrente non appare al Collegio condivisibile.
L’articolata doglianza prospetta, sostanzialmente, una violazione di legge commessa dal Consiglio di Stato, relativa alla deliberazione della sentenza in camera di consiglio prima della scadenza del termine per la costituzione dell’appellato.
I motivi restano estranei al controllo ed al superamento dei limiti esterni della giurisdizione.
La tesi, sostenuta dalla difesa della ricorrente, della giurisdizione dinamicamente intesa è suscettibile di generare uno slittamento, costituzionalmente problematico, del sindacato sull’eccesso di potere giurisdizionale verso forme di controllo sulla violazione di legge, per loro natura sottratte al giudizio della Corte di cassazione.
Nell’errore interpretativo ed applicativo denunciato dalla ricorrente è ravvisabile una censura per violazione di legge, non conoscibile dalle Sezioni Unite per motivi inerenti alla giurisdizione, quale che sia la gravità dell ‘ errore che si ipotizza essere stato commesso dal giudice.
La tesi sostenuta dalla ricorrente aprirebbe il varco alla possibilità di legittimare il ricorso per cassazione in relazione alla violazione di qualunque norma giuridica rilevante ai fini della risoluzione della controversia, senza distinzione tra i profili relativi all’ an della tutela e quelli relativi, invece, al quomodo , schiudendo in questo modo l’ingresso a un modello non sintonico col rapporto tra regola e eccezione voluto dall’art. 111, settimo e ottavo comma, Cost.
L’ effettività della tutela e il giusto processo vanno senz’altro garantiti, ma a cura degli organi giurisdizionali a ciò deputati dalla Costituzione e non in sede di controllo sulla giurisdizione.
-Il ricorso è dichiarato inammissibile.
-Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
-Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, ricorrono i presupposti processuali per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
15. -La decisione da parte del Collegio è conforme alla proposta di definizione accelerata formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
La conformità è integrale: riguarda non solo l’esito del ricorso, inteso come dispositivo o formula terminativa della deliberazione, ma anche le ragioni che tale esito sostengono.
Anche nella proposta di definizione accelerata della Prima Presidente, infatti, l’inammissibilità del ricorso è prefigurata sul rilievo che tutti e due i motivi di ricorso si risolvono nella prospettazione di errori in procedendo incensurabili ai sensi dell’art. 111, ottavo comma, Cost., in quanto inerenti ai limiti interni della giurisdizione amministrativa.
16. -Avendo la Corte definito il giudizio in conformità alla proposta ex art. 380bis cod. proc. civ., trova applicazione la previsione di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., come testualmente previsto dal citato art. 380bis , ultimo comma (“Se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la Corte procede ai sensi dell’articolo 380bis .1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica l’articolo 96, terzo e quarto comma”).
L’art. 96, terzo comma, a sua volta, così dispone: “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. Il quarto comma aggiunge: “Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000”.
Trattasi di una novità normativa (introdotta dal d.lgs. n. 149 del 2022) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore delegato, della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000 (art. 96, quarto comma, ove, appunto, il legislatore usa la locuzione “altresì”).
In tal modo, risulta codificata un’ipotesi di abuso del processo, peraltro già immanente nel sistema processuale (da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale). Non attenersi ad una valutazione del Presidente che poi trovi conferma nella decisione finale lascia certamente presumere una responsabilità aggravata.
Quanto alla disciplina intertemporale sull’applicazione ai giudizi di cassazione delle disposizioni di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, per effetto del rinvio operato dall’art. 380bis , rileva la Corte che la predetta normativa è immediatamente applicabile a seguito dell’adozione di una decisione conforme alla proposta, sebbene per giudizi già pendenti alla data del 28 febbraio 2023 (Cass., Sez. Un., 27 settembre 2023, n. 27433).
Ed infatti la norma di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. è destinata a trovare applicazione anche nei giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio (come, appunto, quello in esame).
Una diversa interpretazione (volta ad applicare la normativa di cui si discute ai giudizi iniziati in data successiva al 28 febbraio 2023) finirebbe, a ben vedere, per depotenziare fortemente la funzione stessa della norma e contrastare con la sua ratio , che mira ad apprestare uno strumento di agevolazione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi ex post prive di giustificazione, e quindi idonee a concretare ipotesi di abuso del diritto di difesa.
Sottrarre proprio la condanna al pagamento di una somma in favore della controparte e di una ulteriore somma in favore della Cassa delle ammende al corredo di incentivi e di fattori di dissuasione contenuti nella norma in esame (che sono finalizzati a rimarcare limitatezza della risorsa giustizia, essendo giustificato che colui che abbia contribuito a dissiparla, nonostante una prima delibazione negativa, sostenga un costo aggiuntivo) verrebbe a limitare fortemente la portata applicativa della norma, che dovrebbe attendere verosimilmente diversi anni per vedere riconosciuta la sua piena efficacia, in palese contrasto con il chiaro intento del legislatore di offrire nell’immediato uno strumento di agevole e rapida definizione dei ricorsi che si palesino inammissibili, improcedibili ovvero manifestamente infondati, e consentendo alla Corte di cassazione di concentrarsi su quelli che invece si presentino meritevoli di un intervento nomofilattico o che, all’inverso, meritino accoglimento, o comunque un attento e approfondito esame.
Se pure va esclusa una interpretazione della norma che conduca ad automatismi non compatibili con una lettura costituzionalmente
compatibile del nuovo istituto, dovendo l’applicazione, in concreto, delle predette sanzioni rimanere affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso di specie, nondimeno, nell’ipotesi in esame, non si rinvengono ragioni per discostarsi dalla suddetta previsione legale.
Sulla scorta di quanto esposto, ed in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma, la parte ricorrente va condannata al pagamento della somma di euro 4.000 (valutata equitativamente) in favore delle Amministrazioni controricorrenti, di euro 3.000 in favore della società RAGIONE_SOCIALE e di una ulteriore somma di euro 2.500 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Ministero e della Prefettura controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito, ed in favore della società controricorrente, che liquida in euro 3.000 per compensi, oltre a euro 200 per esborsi, spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Condanna la ricorrente al pagamento della somma di euro 4.000 in favore delle Amministrazioni controricorrenti, della somma di euro 3.000 in favore della società RAGIONE_SOCIALE e di una ulteriore somma di euro 2.500 in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara che ricorrono i presupposti processuali per dare atto della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dell a ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 21 novembre 2023.