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Limite 36 mesi contratto a termine: la Cassazione decide

Un lavoratore ha contestato la legittimità di una serie di contratti a termine con una società di gestione stradale. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 9537/2024, ha stabilito un principio fondamentale sul calcolo del limite 36 mesi contratto a termine. Pur ritenendo legittime le causali stagionali, ha affermato che nel computo della durata massima di 36 mesi devono essere inclusi anche i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 368/2001, al fine di prevenire l’abuso nella reiterazione dei contratti. La Corte ha quindi cassato la sentenza d’appello e rinviato la causa per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Limite 36 mesi contratto a termine: la Cassazione fissa un paletto cruciale

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è intervenuta su un tema centrale del diritto del lavoro: il calcolo del limite 36 mesi contratto a termine. Questa decisione chiarisce come debba essere calcolata la durata massima dei rapporti a tempo determinato successivi, specificando che anche i contratti stipulati sotto la vigenza di leggi precedenti devono essere conteggiati. La sentenza analizza il caso di un lavoratore impiegato stagionalmente da una grande società di gestione stradale, fornendo un’interpretazione fondamentale per prevenire l’abuso di contratti precari.

I Fatti di Causa: Assunzioni Stagionali e Ricorso in Tribunale

Un lavoratore era stato assunto ripetutamente, tra il 1998 e il 2011, da una società nazionale per la manutenzione delle strade con una serie di contratti a tempo determinato. Le mansioni variavano in base alla stagione: autista di mezzi sgombraneve e spargisale durante l’inverno e cantoniere per gestire l’aumento del traffico durante l’esodo estivo.
Il lavoratore ha adito il tribunale chiedendo di accertare l’illegittimità dei termini apposti ai contratti e la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato. Mentre il tribunale di primo grado aveva accolto parzialmente la domanda, la Corte d’Appello l’aveva respinta integralmente. Secondo i giudici di secondo grado, le ragioni stagionali (neve, gelo, esodo estivo) giustificavano pienamente il ricorso ai contratti a termine. Inoltre, la Corte d’Appello aveva escluso dal calcolo del limite massimo di 36 mesi i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 368/2001.

La Decisione della Corte d’Appello e i Motivi del Ricorso

La Corte d’Appello aveva ritenuto legittime le causali dei contratti, considerandole giustificate da esigenze stagionali intrinseche all’attività della società. Aveva inoltre sostenuto che, anche in assenza di neve, il lavoratore potesse essere adibito a mansioni ordinarie di manutenzione, senza che ciò inficiasse la validità del contratto. Infine, aveva stabilito che la verifica del superamento del limite 36 mesi contratto a termine dovesse riguardare solo i contratti stipulati dopo il D.Lgs. 368/2001. Insoddisfatto, il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su quattro motivi, tra cui la violazione delle norme sul calcolo del periodo massimo di durata.

La Posizione della Cassazione sul Limite 36 Mesi Contratto a Termine

La Suprema Corte ha rigettato i primi due motivi del ricorso, confermando che le esigenze stagionali, pur rientrando nell’ordinaria attività del datore di lavoro, possono legittimare un’assunzione a termine se generano picchi di operatività non gestibili con l’organico normale. Tuttavia, la Corte ha accolto il quarto motivo, assorbendo il terzo, e ha ribaltato la decisione della Corte d’Appello sul punto decisivo del calcolo del limite massimo di durata.

Le motivazioni

La Cassazione ha affermato un principio di diritto cruciale, in linea con la Direttiva Europea 1999/70/CE, volta a prevenire l’abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato. Secondo la Corte, la finalità della norma che impone un limite massimo di durata è proprio quella di impedire la reiterazione abusiva di contratti a termine.

Di conseguenza, escludere dal calcolo i periodi di lavoro svolti prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 368/2001 sarebbe privo di fondamento normativo e contrario allo spirito della legge. Non si tratta di valutare la legittimità dei vecchi contratti secondo le norme dell’epoca, ma di considerare la durata complessiva del rapporto di lavoro precario per verificare se sia stato superato il tetto massimo fissato dalla legge per prevenire l’abuso. Questa “interpretazione conforme” al diritto europeo rafforza la tutela del lavoratore.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione. Il nuovo giudice dovrà riesaminare il caso applicando il principio secondo cui, nel calcolo del limite 36 mesi contratto a termine, devono essere computati tutti i periodi di lavoro a termine, anche quelli antecedenti al D.Lgs. 368/2001. Questa ordinanza rappresenta un importante precedente per tutti i casi di precariato prolungato, riaffermando che la lotta all’abuso dei contratti a termine richiede una visione complessiva di tutta la storia lavorativa del dipendente presso lo stesso datore di lavoro.

I contratti a termine stipulati prima del D.Lgs. 368/2001 si contano per il raggiungimento del limite massimo di 36 mesi?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che, al fine di prevenire l’abuso nella reiterazione dei contratti a termine, nel calcolo del limite massimo di 36 mesi devono essere considerati anche i periodi di lavoro svolti con contratti stipulati sotto il regime normativo precedente.

L’assunzione a termine per far fronte a picchi di lavoro stagionali è sempre legittima?
Sì, è legittima se le ragioni sono connesse a un’intensificazione dell’attività che, pur rientrando nel ciclo produttivo ordinario, genera picchi di operatività non fronteggiabili con il normale organico. Le ragioni devono essere specificate in modo sufficientemente dettagliato nel contratto.

Cosa succede se un datore di lavoro supera il limite di 36 mesi con contratti a termine successivi?
Il superamento del limite massimo di durata dei contratti a termine, salvo specifiche eccezioni, comporta la conversione del rapporto di lavoro in un rapporto a tempo indeterminato, come misura sanzionatoria per l’abuso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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