Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29577 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 29577 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/11/2025
SENTENZA
sul ricorso 16257-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 17/2024 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 09/05/2024 R.G.N. 191/2023;
Oggetto
Somministrazione lavoro tempo determinato -d.lgs. 81/2015 come modificato dal decreto-legge 87/2018, convertito dalla L. 96/2018.
R.G.N. 16257/2024 Cron. Rep. Ud. 24/09/2025 PU
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/09/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIO COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME; udito l’avvocato NOME COGNOME.
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Brescia ha accolto l’appello di NOME COGNOME e, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato costituito tra il predetto e la società RAGIONE_SOCIALE un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con inquadramento nel secondo livello del c.c.n.l. dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e decorrenza dal 28 gennaio 2019; ciò sul presupposto della illegittimità dei contratti di somministrazione a tempo determinato sottoscritti con la RAGIONE_SOCIALE e delle relative proroghe per superamento del limite massimo di 24 mesi, in base al disposto degli artt. 31 e 38 del d.lgs. n. 81/2015; per l’effetto, la Corte ha condannato la società a riammettere in servizio l’appellante e al pagamento in suo favore dell’indennità prevista dall’art. 32, della legge n. 183/2010, liquidata nella misura di tre mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto; infine, ha respinto l’appello incidentale della società.
In punto di fatto, la Corte territoriale è partita dal presupposto (pacifico) che il lavoratore avesse prestato lavoro in somministrazione presso la società RAGIONE_SOCIALE dal 15.4.2015 al 13.4.2019, assunto dalla RAGIONE_SOCIALE sulla base di 47 contratti a termine e relative proroghe, che l’avevano visto impiegato per un totale di 37
mesi e due giorni; per tutto il periodo il lavoratore aveva rivestito la qualifica di operaio comune, inquadrato nel secondo livello del c.c.n.l. RAGIONE_SOCIALE e addetto alle mansioni di operatore di fonderia. Nondimeno, i giudici di merito hanno ritenuto decaduto il lavoratore dal diritto di impugnare tutti i contratti ad eccezione degli ultimi tre, relativi ai periodi 29.1.2019-29.3.2019, 1.4.20196.4.2019 e 8.4.2019-13.4.2019.
In punto di diritto, la Corte territoriale ha richiamato gli artt. 38, comma 2, e 31, comma 1, del d.lgs. 81/2015, nel testo vigente alla data del 28.1.2019 (data di conclusione del primo dei contratti per i quali non era maturata la decadenza); ha precisato che per somministrazione a tempo indeterminato deve intendersi, al fine di garantire l’effettività delle norme ed evitarne l’elusione, l’utilizzo del lavoratore sia tramite missioni senza apposizione di termine e sia tramite missioni eccedenti un limite tale da potersi definire ragionevolmente temporaneo; ha individuato questo limite nel tetto dei 24 mesi, all’epoca previsto dall’art. 19, comma 2, del d.lgs. 81/2015 novellato; ha ritenuto tale termine applicabile anche alla somministrazione a tempo determinato in base all’art. 34, comma 2, nel testo all’epoca vigente, a prescindere dal tipo di causale (quindi anche per l’ipotesi di causale sostitutiva di lavoratori assenti); ha ritenuto che l’interpretazione adottata trovasse conferma nelle previsioni del decreto-legge 104/2020, convertito dalla legge 126/2020 (non applicabile ratione temporis), il cui art. 8, comma 1-bis, ha aggiunto ulteriori periodi all’art. 31, comma 1, d.lgs. 81/2015, introducendo una disciplina derogatoria di durata temporanea.
I giudici di appello hanno ritenuto la lettura data conforme alla direttiva 2008/104/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 14.10.2020, causa C-681/18 e, ai fini del superamento del limite dei 24 mesi, computati i contratti di somministrazione a termine per cui si era verificata la decadenza, in virtù dei principi affermati da Cass. n. 22861 del 2022, hanno giudicato irrilevanti le norme dei contratti collettivi invocate dalla società.
Avverso la sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a nove motivi. NOME COGNOME ha resistito con controricorso. Il P.G. ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso. Entrambe le parti hanno dep ositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 12 delle preleggi, degli artt. 38, comma 2, 31, 19, comma 2, 34, comma 2, del d.lgs. 81/2015, come modificato dal decreto-legge 87/2018, convertito dalla legge 96/2018, in ordine alla individuazione della data di entrata in vigore del limite di durata di 24 mesi per i contratti di somministrazione a tempo determinato.
La società censura la sentenza nella parte in cui ha affermato che il limite di durata di 24 mesi per i contratti di somministrazione a tempo determinato è stato introdotto dal 12 agosto 2018, data di entrata in vigore della legge 96/2018, di conversione del decreto-legge 87/2018, che ha modificato l’art. 19, comma 2, d.lgs. 81/2015, mentre detto limite operava soltanto dal 14 ottobre 2020, data di entrata in vigore della legge 126/2020, di conversione del decreto-legge 104/2020, che ha introdotto l’ultimo periodo all’art. 31,
comma 1, del d.lgs. 81/2015. Ribadisce che l’articolo 31 cit., nel testo in vigore prima e dopo il decreto-legge 87/2018, non prevedeva alcun limite di durata per il contratto di somministrazione a tempo determinato inteso quale contratto commerciale tra il somministratore e l’utilizzatore (il limite di durata era riferito al solo rapporto tra lavoratore e RAGIONE_SOCIALE di somministrazione).
Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 11 e 12 delle preleggi, degli artt. 19, comma 1, 38, comma 2, 31, comma 1, terzo periodo, del d.lgs. 81/2015, come modificato dal decreto-legge 87/2018, convertito dalla legge 96/2018 nonché dell’art. 1, comma 2, del medesimo decreto-legge 87/2018, in ordine alla non computabilità nel limite di durata di 24 mesi dei contratti conclusi in epoca anteriore al 12.8.2018.
Secondo la società ricorrente, pur a voler supporre che il limite di durata di 24 mesi per i contratti di somministrazione a tempo determinato sia stato introdotto dal decreto-legge 87/2018 (convertito dalla legge 96/2018), con effetto dal 12 agosto 2018, ad ogni modo esso si applicherebbe soltanto ai contratti stipulati posteriormente a tale data, sicché per il calcolo della durata complessiva non si dovrebbe tenere conto dei contratti precedenti.
Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 11, comma 1, delle preleggi, degli artt. 19, comma 2, 34, comma 2, del d.lgs. 81/2015, come modificato dal decretolegge 87/2018, convertito dalla legge 96/2018, dell’art. 31, comma 1, ultimo periodo, introdotto dall’art. 8 -bis della legge 126/2020, dell’art. 1, comma 1 -ter, della legge 96/2018, di
conversione del decreto-legge 87/2018, riguardo alla inconfigurabilità dell’art. 31 cit. come deroga o norma di interpretazione autentica.
La ricorrente evidenzia che l’art. 31, comma 1, ultimo periodo, inserito dalla legge 126/2020, è effettivamente formulato come eccezione ad una regola prevista da altra norma, regola, però, non rinvenibile né nell’art. 34 (che disciplina soltanto il contratto di lavoro a tempo determinato tra lavoratore e RAGIONE_SOCIALE di somministrazione) né nell’art. 2, comma 1-ter, del decreto-legge 87/2018 atteso che il richiamo alle ‘condizioni’ poste dall’art. 19, comma 2, applicabili all’utilizzatore, si riferisce alle cau sali e non al limite di durata. Prosegue la ricorrente con il dire che l’art. 31, comma 1, ultimo periodo, inserito dalla legge 126/2020, non ha natura di norma di interpretazione autentica, di guisa che, in difetto di clausola di retroattività, non può che disporre per il futuro.
Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 12 delle preleggi, degli artt. 19, commi 1 e 2, 21, comma 1, del d.lgs. 81/2015, come modificato dal decreto-legge 87/2018, conver tito dalla legge 96/2018, dell’art. 1, comma 2, del medesimo decreto-legge 87/2018, riguardo alla inapplicabilità del limite di durata di 24 mesi per sostituire diversi lavoratori assenti.
La ricorrente sostiene che, pur ove si ritenesse operante, dal 12 agosto 2018, il limite di durata di 24 mesi per i contratti di somministrazione a tempo determinato, per effetto del decreto-legge 87/2018, convertito dalla legge 96/2018, detto limite non si applicherebbe ai contratti di somministrazione per sostituire lavoratori assenti; infatti, la giurisprudenza ha
sempre ritenuto necessaria, anche per il contratto di somministrazione a termine, l’indicazione del lavoratore sostituito, e ciò significa che il lavoratore sostituito fa parte dell’oggetto del contratto. Dal che, sempre ad avviso della ricorrente, discende che il contratto stipulato per sostituire un determinato lavoratore non può essere considerato ‘rinnovo’ di un precedente contratto (come avviene per i contratti tra le stesse parti, relativi a identiche mansioni) bensì stipula di un nuovo contratto, con oggetto diverso, come tale non sottoposto ai limiti di durata derivanti dalla conclusione di contratti precedenti.
Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 12 delle preleggi, della Direttiva 2008/104/CE, degli artt. 38, comma 2, 19, comma 2, 30, 31, comma 1, terzo periodo, del d.lgs. 81/2015, come modificato dal decreto-legge 87/2018, convertito dalla legge 96/2018, e dell’art. 31, comma 1, ultimo periodo nel testo introdotto dalla legge 126/2020, sulla soddisfazione, ad opera della legge nazionale, dei requisiti richiesti dalla direttiva.
La società argomenta che la normativa nazionale, poiché prevede la sanzione della trasformazione del contratto di somministrazione a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato in capo al somministratore, soddisfa già i requisiti richiesti dalla direttiva europea che, a sua volta, in base all’interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia, impone di adottare almeno una misura per preservare la natura temporanea del lavoro somministrato.
Con il sesto motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., dell’art. 32, comma 4, lett. d) della legge
183/2010, dell’art. 2964 e ss. c.c. e degli artt. 99 e 112 c.p.c., in ordine alla decadenza dall’impugnazione dei precedenti contratti e alla impossibilità di considerarli meri fatti storici.
A parere della società, l’intervenuta decadenza dall’impugnazione dei precedenti contratti (eccetto gli ultimi tre), decadenza che la stessa Corte d’appello reputa coperta da giudicato, impedisce di prendere in considerazione, anche solo come fatti storici, i pregressi contratti non impugnati e non più impugnabili.
Con il settimo motivo si deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 156, 161, comma 1, 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e alla direttiva 2008/104/CE, per omessa motivazione sulla pretesa irragionevolezza della durata dei contratti di somministrazione in oggetto. La società sostiene che la sentenza avrebbe dovuto spiegare perché una durata di 37 mesi e due giorni sarebbe contraria alla citata direttiva.
Con l’ottavo motivo si imputa alla sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 19, comma 2, 31, comma 1, terzo periodo, del d.lgs. 81/2015 e successive modifiche, degli artt. 21, 22 e 55 c.c.n.l. RAGIONE_SOCIALE 15.10.2019, art. 11, comma 2, delle preleggi, in relazione ai maggiori limiti di durata previsti dal contratto collettivo delle agenzie di somministrazione.
Premesso che il contratto collettivo RAGIONE_SOCIALE è entrato in vigore il 1° gennaio 2019, come statuito dall’art. 55, comma 1, quindi in epoca anteriore alla stipula degli ultimi tre contratti di somministrazione a termine, la società ricorrente richiama l’art. 21, comma 2, del c.c.n.l. ai sensi del quale, per i lavoratori somministrati in forza al 31 dicembre 2018, il
periodo del quinquennio anteriore è valutato al massimo come 12 mesi e ciò ‘al fine di assicurare la massima continuità occupazionale dei lavoratori in somministrazione’.
Con il nono motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 38 e dell’art. 31, commi 1 e 2, del d.lgs. 81/2015, come modificato dal decreto-legge 87/2018, sul rilievo della mancata previsione normativa, fino al 14 ottobre 2020, della sanzione di trasformazione del contratto di somministrazione a termine in rapporto a tempo indeterminato in capo all’utilizzatore.
La società ribadisce che, all’epoca dei fatti, né il decreto legislativo 81/2015, né il decreto-legge 87/2018, convertito dalla legge 96/2018, né alcuna altra norma prevedevano che, in caso di superamento dei limiti temporali massimi della somministrazione a tempo determinato, ove considerati esistenti, il lavoratore potesse chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore.
Il primo, il terzo, il quarto, il quinto e il nono dei motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente per la stretta connessione logica e la parziale sovrapponibilità. Essi non meritano accoglimento, sia pure previa correzione – ex art. 384 ultimo comma c.p.c. – del percorso argomentativo su cui si regge la decisione d’appello.
È necessario, in premessa, ricostruire il quadro normativo.
L’art. 19 del d.lgs. 81/2015, inserito nel capo III intitolato al ‘Lavoro a tempo determinato’, all’esito delle modifiche introdotte dal decreto-legge 87/2018 prevede, ai commi 1, 1bis e 2: «1. Al contratto di lavoro subordinato può essere
apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:
esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
1-bis. In caso di stipulazione di un contratto di durata superiore a dodici mesi in assenza delle condizioni di cui al comma 1, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi.
Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l’eccezione delle attività stagionali di cui all’articolo 21, comma 2, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i ventiquattro mesi. Ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato. Qualora il limite dei ventiquattro mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento ».
L’art. 34, inserito nel capo IV intitolato ‘Somministrazione di lavoro’, come modificato dal decreto -legge 87/018, al
comma 2 prevede: « 2. In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina di cui al capo III, con esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 21, comma 2, 23 e 24 ». A differenza del testo originario, che richiamava la disciplina di cui al capo III con esclusione anche dell’art. 19, commi 1, 2 e 3, l’art. 34, comma 2 nella versione modificata dal decreto-legge 87/2018 rende applicabile al rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore i limiti temporali introdotti per il contratto a termine.
L’art. 38, sulla ‘somministrazione irregolare’, è rimasto nella versione originaria e, ai primi due commi, stabilisce: « 1. In mancanza di forma scritta il contratto di somministrazione di lavoro è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore.
Quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b), c) e d), il lavoratore può chiedere, anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione ».
Per effetto della disciplina transitoria dettata dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge 87/2018, le nuove disposizioni si applicano ai contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della nuova normativa (14.7.2018), termine poi prorogato al 31.10.2018. Le modifiche introdotte dal decreto-legge 87/2018 trovano applicazione alla fattispecie oggetto di causa che concerne contratti conclusi dal 28.1.2019 al 13.4.2019.
Una successiva significativa modifica ha interessato l’art. 31, compreso sempre nel capo IV, la cui rubrica concerne la
‘Somministrazione di lavoro a tempo indeterminato e determinato’. In calce al primo comma, che recita: « 1. Salvo diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall’utilizzatore, il numero dei lavoratori somministrati con contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato non può eccedere il 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipula del predetto contratto, con un arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5. Nel caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento della stipula del contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato. Possono essere somministrati a tempo indeterminato esclusivamente i lavoratori assunti dal somministratore a tempo indeterminato », sono stati aggiunti ulteriori periodi ad opera dell’art. 8, comma 1 -bis, del decreto-legge 104/2020 (in vigore 15.8.2020), convertito dalla legge 126/2020 (in vigore 14.10.2020). L’art. 8, comma 1 -bis ha il seguente contenuto: « 1-bis. In considerazione dell’attuale fase di rilancio dell’economia e al fine di garantire la continuità occupazionale, all’articolo 31, comma 1, del decreto legislativo 15 giungo 2015, n. 81, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: “Nel caso in cui il contratto di somministrazione tra l’RAGIONE_SOCIALE di somministrazione e l’utilizzatore sia a tempo determinato l’utilizzatore può impiegare in missione, per periodi superiori a ventiquattro mesi anche non continuativi, il medesimo lavoratore somministrato, per il quale l’RAGIONE_SOCIALE di somministrazione abbia comunicato all’utilizzatore l’assunzione a tempo
indeterminato, senza che ciò determini in capo all’utilizzatore stesso la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il lavoratore somministrato. La disposizione di cui al periodo precedente ha efficacia fino al 31 dicembre 2021 ».
Per effetto di successivi e plurimi interventi normativi, l’efficacia della disposizione appena riportata è stata differita al 30.9.22 (decreto-legge 146/2021, art. 11 comma 15), al 31.12.2022 (decreto-legge 4/2022, art. 23 quater, comma 1), al 30.6.2024 (decreto-legge 21/2022, art. 12 quinquies, comma 1), al 30.6.2025 (decreto-legge 198/2022, art. 9, comma 4-bis). Con la legge 203/2024, art. 10, comma 1, lett. a), sono stati soppressi il quinto e il sesto periodo del comma 1 dell’art. 31 del d.lgs. 81/20 15. 12.
12. Muovendosi in direzione contraria rispetto al d.lgs. 81/2015 che, in tema di somministrazione di lavoro a tempo determinato, aveva eliminato ogni limite all’utilizzo in missioni successive dello stesso lavoratore presso la medesima impresa utilizzatrice, prevedendo unicamente limiti quantitativi di utilizzazione individuati dai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore, il decreto -legge 87/2018 ha introdotto un serie di restrizioni.
In primo luogo, con l’art. 34 comma 2, ha esteso al rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore, in caso di assunzione a tempo determinato, la disciplina dettata per il contratto a termine dal capo III, artt. 19 e ss., con la sola esclusione degli articoli 21, comma 2, 23 e 24. Ciò ha comportato l’applicazione al rapporto di lavoro tra RAGIONE_SOCIALE e lavoratore dell’art. 19 e, quindi, del limite di durata non superiore a 12 mesi e della possibilità di concordare una durata superiore, comunque non eccedente i 24 mesi, solo in
presenza delle condizioni elencate alle lettere a) e b) del primo comma del citato art. 19.
Il richiamo nell’art. 34, comma 2, al capo III ha determinato l’estensione al lavoro somministrato della disciplina dettata dai commi 1bis e 2 dell’art. 19, secondo i quali: in caso di stipulazione di un contratto di durata superiore a dodici mesi in assenza delle condizioni di cui al comma 1, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi (comma 1-bis); in caso di più rapporti di lavoro a tempo determinato tra lo stesso datore e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, la durata complessiva non può superare i 24 mesi. In tale computo si tiene conto anche dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni a tempo determinato. Qualora il limite dei ventiquattro mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento.
Effettivamente, l’art. 34, comma 2, fa espresso riferimento al ‘rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore’ e l’art. 19, dedicato al contratto a termine, si esprime avendo riguardo al rapporto tra datore di lavoro e lavoratore. Solo nel penultimo periodo dell’art. 19, comma 2, rimasto nella formulazione originaria, vi è un cenno alle somministrazioni a tempo determinato allo scopo di sancirne il computo, unitamente ai periodi di lavoro a termine, ai fini del limite di 24 mesi.
Ciò ha indotto la società ricorrente, e parte della dottrina, a teorizzare che il limite di 24 mesi sia stato introdotto dal decreto-legge 87/2018 solo per il rapporto a tempo determinato, con uno o plurimi contratti e per le stesse mansioni, tra RAGIONE_SOCIALE e lavoratore e non si estende al rapporto commerciale concluso tra l’RAGIONE_SOCIALE e l’utilizzatore.
12.1. Questa tesi non è fondata per le ragioni che di seguito si espongono.
Occorre partire dal dato pacifico, più volte evidenziato in dottrina e in giurisprudenza, per cui la somministrazione di lavoro realizza un rapporto trilatero tra un’RAGIONE_SOCIALE di lavoro, un utilizzatore e un lavoratore, nell’ambito del quale si collocano un rapporto di lavoro subordinato del lavoratore con l’RAGIONE_SOCIALE e un rapporto commerciale tra quest’ultima e la società utilizzatrice. Questi distinti contratti, pur conservando ciascuno la propria causa e le rispettive caratteristiche tipologiche, sono, tuttavia, funzionalmente collegati al raggiungimento di uno scopo unitario, quello di fornire lavoro subordinato flessibile ad un soggetto che, pur non essendo il formale datore di lavoro, esercita i poteri e le prerogative di quest’ultimo. Il rapporto di lavor o che lega il dipendente all’RAGIONE_SOCIALE ha tratti peculiari in quanto il lavoratore si impegna ad eseguire la prestazione in favore di un terzo, l’utilizzatore; nello stesso tempo, lo svolgimento della prestazione in favore del terzo costituisce adempimento d ell’obbligo assunto dal prestatore nei confronti del somministratore ed esecuzione del contratto commerciale tra l’RAGIONE_SOCIALE e il suo cliente.
Si è sottolineato come il collegamento negoziale sia reso evidente dal disposto dell’art. 21, comma 3, del d.lgs. 276/2003, ora riprodotto nell’art. 33, comma 3, del d.lgs. 81/2015, là dove si sancisce l’obbligo del somministratore di
comunicare per iscritto al lavoratore, all’atto di stipula del contratto o all’atto dell’invio in missione, le informazioni sul contenuto del contratto commerciale di somministrazione e, tra queste, ‘la data di inizio e la durata prevedibile della missione ‘.
Nell’assetto delineato dal decreto -legge 87/2018, il collegamento negoziale è desumibile anche da un’altra disposizione, non trasfusa nel d.lgs. 81/2015, cioè l’art. 2, comma 1-ter, del decretolegge citato in base al quale ‘le condizioni di cui all’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, come sostituito dall’articolo 1, comma 1, lettera a), del presente decreto, nel caso di ricorso al contratto di somministrazione di lavoro, si applicano esclusivamente all’utilizzatore’.
Per effetto del collegamento negoziale appena descritto, l’estensione al lavoro somministrato delle previsioni concepite e dettate per il lavoro a termine deve essere calibrata tenendo conto del carattere trilatero della somministrazione di lavoro e deve quindi essere letta come riferita a tutti i segmenti che compongono la fattispecie complessa della somministrazione di lavoro a termine.
Da ciò discende che, per effetto del decreto-legge in esame, deve ritenersi ora imposto un limite massimo alla durata dell’impiego di uno stesso lavoratore in missione a termine presso la medesima impresa, sulla base di uno o più contratti, coincidente con i 24 mesi.
D’altra parte, da un punto di vista logico, essendo pacifico che l’RAGIONE_SOCIALE non può legittimamente assumere un lavoratore da inviare in missione presso lo stesso utilizzatore, con uno o più contratti a termine, oltrepassando il tetto dei 24 mesi, del pari l ‘utilizzatore non potrà legittimamente ricevere in
missione il medesimo lavoratore da adibire alle stesse mansioni sulla base di plurimi contratti commerciali ove le missioni superino complessivamente il tetto dei 24 mesi.
Il limite di durata e il corrispondente divieto di oltrepassarlo si propagano necessariamente, in ragione del collegamento negoziale e della funzionalizzazione dell’assunzione a termine all’invio in missione, dal rapporto tra l’RAGIONE_SOCIALE e il lavoratore a qu ello che lega l’RAGIONE_SOCIALE all’utilizzatore, con la conseguenza che il limite di durata massima dell’assunzione a termine da parte dell’RAGIONE_SOCIALE porta con sé la limitazione dell’impiego temporaneo dello stesso lavoratore in missione presso l’utilizzatore.
Il limite di 24 mesi non opera per i lavoratori assunti a tempo indeterminato dall’RAGIONE_SOCIALE i quali, ai sensi dell’art. 31, comma 1, ultimo periodo del d.lgs. 81/2015, possono essere somministrati a tempo indeterminato (su tale previsione normativa pendono due procedimenti dinanzi alla CGUE a seguito del rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Reggio Emilia con ordinanza del 7.11.2024 e dal Tribunale di Milano con ordinanza del 14.1.2025).
12.2. L’interpretazione qui adottata trova una prima conferma proprio nella legislazione emergenziale di cui al decreto-legge 104/2020, art. 8, comma 1-bis, che ha inserito in calce al primo comma dell’art. 31, d.lgs. 81/2015, ulteriori periodi consentendo la somministrazione di un lavoratore presso la stessa impresa per periodi superiori a 24 mesi, anche non continuativi, solo in caso di assunzione del medesimo a tempo indeterminato da parte dell’RAGIONE_SOCIALE. Tale previsione è stata reiterata con successivi interventi normativi fino al 30.6.2025.
Questa norma, non applicabile ratione temporis nel procedimento in esame, non sarebbe logicamente compatibile col tessuto normativo esistente se non si leggesse quest’ultimo nel senso di ritenere esistente il limite di 24 mesi per le missioni dello stesso lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice, per eseguire le medesime mansioni, in base a plurimi contratti commerciali di somministrazione e corrispondenti contratti di lavoro a tempo determinato.
12.3. La lettura proposta è, peraltro, quella che più risponde all’obiettivo della direttiva 2008/104/CE, come interpretata dalla Corte di giustizia (v. sentenza del 14 ottobre 2020, RAGIONE_SOCIALE, C-681/2018; sentenza del 17 marzo 2022, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, C-232/20), di garantire la temporaneità delle missioni successive presso lo stesso utilizzatore ed appare quella maggiormente idonea a soddisfare l’obbligo di interpretazione conforme del diritto interno in grado di assicurare l’effetto uti le alle disposizioni del diritto dell’Unione (sull’obbligo di interpretazione conforme v. sentenza del 19 settembre 2019, Rayonna prokuratura Lom, C467/18, e giurisprudenza ivi citata; sentenza dell’8 novembre 2016, COGNOME, C-554/14; sentenza del 24 giugno 2019 nella causa Poplawsky II, C-573/17; sentenza COGNOME del 24 gennaio 2012, C-282/10).
In proposito, con la sentenza del 17 marzo 2022, la CGUE ha stabilito che l’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104 devono essere interpretati nel senso che costituisce un abuso l’assegnazione di missioni successive a un lavoratore tramite RAGIONE_SOCIALE con rinnovo di tali missioni su uno stesso posto presso un’impresa utilizzatrice, quando le missioni successive del medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice
conducano a una durata dell’attività, presso quest’ultima impresa, più lunga di quella che può essere ragionevolmente qualificata come «temporanea», alla luce di tutte le circostanze pertinenti, che comprendono, in particolare, le specificità del settore nel contesto del quadro normativo nazionale, senza che sia fornita alcuna spiegazione obiettiva al fatto che l’impresa utilizzatrice interessata ricorra a una serie di analoghi successivi contratti di lavoro tramite RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Invero, la temporaneità «caratterizza non il posto di lavoro che deve essere occupato all’interno dell’impresa utilizzatrice, bensì le modalità della messa a disposizione di un lavoratore presso tale impresa». In sostanza «è il rapporto di lavoro con un’impresa utilizzatrice ad avere, per sua natura, carattere temporaneo» (sentenza CGUE cit., § 31 e 34).
Sul punto si richiamano i precedenti di questa Corte di legittimità, concernenti la disciplina anteriore al decreto-legge 87/2018 (v. Cass. n. 23495 del 2022; n. 23494 del 2022; n. 29570 del 2022), nei quali si è statuito che, in tema di successione di contratti di somministrazione a tempo determinato, il carattere di temporaneità, pur nell’assenza di limiti legislativamente posti, costituisce requisito immanente e strutturale del ricorso all’istituto, dovendo attribuirsi alla normativa in materia un significato conforme alla direttiva 2008/104/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia, sicché il giudice non può arrestarsi alla verifica della ricorrenza delle causali giustificative, dovendo, invece, controllare, anche sulla base degli indici rivelatori indicati dalla Corte di giustizia, se sia da ravvisare nel caso concreto un abusivo ricorso all’istituto della somministrazione.
La dottrina ha avuto modo di rimarcare come col decretolegge 87/2018, giudicato idoneo a garantire, sia pure indirettamente, la temporaneità del lavoro RAGIONE_SOCIALE, il nostro ordinamento si sia posto in linea con il diritto eurounitario, come interpretato dalla Corte di giustizia, essendo stata rimossa la possibilità di inviare in missione lavoratori assunti a termine dall’RAGIONE_SOCIALE per periodi superiori al requisito di temporaneità, fissato in 24 mesi.
12.4. Detto limite, come correttamente statuito dai giudici di appello, è applicabile, a prescindere dalla causale giustificativa, ai contratti di lavoro e di somministrazione a termine reiterati: ciò rende infondati i rilievi di parte ricorrente oggetto del quarto motivo di ricorso.
13. Secondo la tesi della società ricorrente, in base alla disciplina dettata dal d.lgs. 81/2015 e dal decreto-legge 87/2018, l’eventuale superamento del limite temporale massimo di 24 mesi nella somministrazione a tempo determinato, ove pure ritenuto esistente, provocherebbe, ai sensi dell’art. 19, comma 2, ultimo periodo, richiamato dall’art. 34, comma 2, unicamente la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore, senza possibilità per il lavoratore di chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore.
La società fa leva sul tenore dell’art. 34, comma 2, del d.lgs. 81/2015, come modificato dal decreto-legge 87/2018, che estende la disciplina dell’art. 19 al ‘rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore’.
Osserva che l’art. 38 del d.lgs. 81/2015, ove sono descritte le conseguenze della ‘somministrazione irregolare’, contempla specifiche ipotesi in presenza delle quali il
lavoratore può chiedere la costituzione del rapporto in capo a chi ha effettivamente utilizzato la sua prestazione e tra queste non è compresa la violazione, con uno o più contratti di somministrazione a termine per le stesse mansioni e tra gli stessi soggetti, del limite di 24 mesi.
L’opzione interpretativa propugnata dalla società non è condivisibile.
14.1. In tema di interposizione di manodopera, il legislatore, a partire dalla legge 1369/1960, ha seguito la corrente dottrinale e giurisprudenziale volta a svalutare la funzione del contratto individuale di lavoro quale fonte regolatrice del rapporto, devolvendone la disciplina alla legge: in tal modo si è arrivati a individuare l’effettivo datore di lavoro non in quello indicato dalle parti in sede di manifestazione del consenso contrattuale, bensì nel soggetto che di fatto usufruisce dell’opera del prestatore.
In altre parole, per evitare che il lavoratore riceva un trattamento, economico e normativo, non corrispondente alle prestazioni effettivamente rese in favore dell’impresa utilizzatrice, il legislatore si è attenuto al principio secondo cui il vero datore di lavoro è colui che effettivamente utilizza le prestazioni lavorative anche ove i lavoratori siano formalmente assunti da un altro soggetto (datore apparente), a prescindere da ogni indagine sull’esistenza di accordi fraudolenti tra interponente e interposto (così Cass., Sez. U., n. 22910 del 2006).
In questa ottica, anche con le successive leggi, la n. 196/1997 e poi il d.lgs. 276/2003, il legislatore ha circondato di numerosi e specifici limiti, sia formali e sia sostanziali, il ricorso alle forme di lavoro flessibile e, per quanto qui interessa, alle forme di lavoro caratterizzato da una
dissociazione delle figure del datore formale e dell’utilizzatore, premurandosi di definire le conseguenze dell’accertamento, in sede giudiziaria, della violazione ad opera delle parti negoziali della disciplina vincolistica posta.
A proposito della legge 196/1997, si è affermato che l’illegittimità del contratto di fornitura comporta le conseguenze previste dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, e quindi l’instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della prestazione, cioè con il datore di lavoro effettivo. Infatti, l’art. 10, primo comma, collega alle violazioni delle disposizioni di cui all’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5 (cioè violazioni di legge concernenti proprio il contratto commerciale di fornitura), le conseguenze previste dalla legge 1369 del 1960, consistenti nel fatto che «i prestatori di lavoro sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni» (Cass. n. 1148 del 2013).
Analogamente, in caso di assenza dei presupposti per il valido ricorso alla somministrazione o, in altri termini, nel caso della somministrazione irregolare, la conseguenza è la costituzione di un rapporto alle dipendenze dell’utilizzatore (art. 27 d.lgs. 276/03; art. 38 d.lgs. 276/2003).
In riferimento al d.lgs. 276/03, questa Corte, premessa «la presenza di valori permanenti di stampo costituzionale diretti a collegare al rapporto di lavoro subordinato e solo ad esso una serie di posizioni di vantaggio», ha ritenuto che il principio di carattere generale secondo cui il vero datore di lavoro è quello che effettivamente utilizza le prestazioni lavorative «(non) ha perduto consistenza giuridica a seguito dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 276 del 2003 che – in un prospettiva
di rinnovata rimodulazione delle relazioni RAGIONE_SOCIALEli e del mercato del lavoro da perseguirsi anche mediante un accrescimento delle tipologie negoziali – ha espressamente riconosciuto con la somministrazione del lavoro (art. 20 d. lgs. cit.) – ed in certa misura anche con il distacco (art. 30 d.lgs. cit.) – una dissociazione fra titolare e utilizzatore del rapporto lavorativo con una consequenziale disarticolazione e regolamentazione tra i due degli obblighi correlati alla prestazione lavorativa (cfr. al riguardo tra le altre norme gli artt. 21-26 d. lgs. n. 267 cit.). La indicata disciplina, pur presentandosi come una innovazione – seppure rilevante per le implicazioni di carattere teorico sulla sistemazione dogmatica del rapporto lavorativo -si configura anche nell’attuale assetto normativo come una eccezione, non suscettibile né di applicazione analogica né di interpretazione estensiva, sicché allorquando si fuoriesca dai rigidi schemi voluti del legislatore per la suddetta disarticolazione si finisce per rientrare in forme illecite di somministrazione di lavoro come avviene in ipotesi di “somministrazione irregolare” ex art. 27 cit. o di comando disposto in violazione di tutto quanto prescritto dall’art. 30 cit.; fattispecie che, giusta quanto sostenuto in dottrina, continuano ad essere assoggettate a quei principi enunciati in giurisprudenza in tema di divieto di intermediazione di manodopera» (Cass., Sez. U., n. 22910 del 2006).
Anche più recentemente questa Corte ha ribadito (Cass., n. 18808 del 2017) che «il d.lgs. n. 276/03 non ha eliminato la figura della somministrazione irregolare di manodopera già vietata dall’art. 1 L. n. 1369/60, in armonia con la permanenza di principi di rango costituzionale volti a collegare al rapporto di lavoro subordinato e soltanto ad esso una serie
di posizioni di vantaggio», traendo la conseguenza che «il contratto di somministrazione di manodopera irregolare … séguita ad incorrere in nullità, che conforma anche la sorte del contratto fra lavoratore e somministratore» (nella specie ai fini dell’Iva e dell’Irap).
Questa Corte, occupandosi del d.lgs. 276/03, ha qualificato in termini di ‘nullità’ il mancato rispetto dei limiti e delle condizioni a cui è subordinato il legittimo ricorso alla somministrazione di lavoro, anche al di là delle ipotesi espressamente qualificate come nulle dal legislatore (art. 21, ultimo comma) e quindi anche in caso di indicazione omessa o generica della causale della somministrazione, affermando che «la sanzione della nullità anche per indicazione omessa o generica della causale della somministrazione è nella logica del sistema, oltre che nel rilievo che la lett. c) del co. 1° dell’art. 21 si riferisce, appunto, all’indicazione della causale. D’altro canto, se non si versasse in ipotesi di nullità, non avrebbe senso il consentire al lavoratore l’azione per ottenere la costituzione del rapporto, ab origine, alle dipendenze dell’utilizzatore. Né tragga in inganno la terminologia adottata dal legislatore che nel parlare di “costituzione del rapporto” (anziché di suo mero accertamento) sembrerebbe evocare un’azione costitutiva e, quindi, un’ipotesi di mera annullabilità: in realtà il prevedere espressamente che tale azione può essere esperita anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore (come si legge nel cit. art. 27 co. 1) esclude in radice che quella prevista sia un’ipotesi di annullabilità anziché di nullità, non potendo la prima essere pronunciata se non in contraddittorio di tutte le parti del contratto da annullare» (Cass. n. 17540 del 204; v. anche Cass. n. 197 del 2019).
La sanzione della nullità è ‘nel sistema’ cioè è connaturale al sistema in quanto conseguente al «riemergere del divieto di interposizione di manodopera che, nonostante la formale abrogazione della legge n. 1369 del 1960 (v. art. 85, d.lgs. 276 del 2003), continua ad operare in tutte le ipotesi in cui sia travalicato il perimetro di legittimità di ciascuna delle citate fattispecie contrattuali» (Cass., n. 13591 del 2024), cioè delle fattispecie contrattuali interpositorie introdotte nel nostro ordinamento a partire dal 1997.
Come osservato dalla dottrina, la nullità attrae le patologie -cioè le deviazioni dal paradigma legale -riscontrabili nell’utilizzo contra ius delle forme di utilizzazione indiretta di manodopera, le quali si atteggiano ad eccezioni rispetto al -perdurante, anche se non più assoluto -divieto di interposizione.
14.2. Entro tale cornice e in sintonia con i principi appena richiamati deve essere individuata la regolamentazione dei casi di superamento del limite massimo, ritenuto esistente, di 24 mesi nella reiterazione, come nel caso in esame, di missioni a termine dello stesso lavoratore, per lo svolgimento delle medesime mansioni.
L’indagine deve partire dall’art. 38 del d.lgs. 81/2015, concernente la ‘somministrazione irregolare’, che non è stato oggetto di modifiche ad opera del decreto-legge 87/2018. Ai primi due commi esso stabilisce:
« 1. In mancanza di forma scritta il contratto di somministrazione di lavoro è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore.
Quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b), c) e d), il lavoratore può
chiedere, anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione ».
L’art. 38 consente al lavoratore di agire direttamente nei confronti dell’utilizzatore nei casi in cui la somministrazione, a tempo indeterminato o determinato, sia avvenuta senza il rispetto delle percentuali fissate dall’art. 31, commi 1 e 2; oppure sia stata eseguita nonostante i divieti posti dall’art. 32; infine, ove il contratto di somministrazione non rispetti i requisiti di forma e contenuto prescritti dall’art. 33, comma 1, lettere a), b) c) e d), vale a dire non abbia forma scritta oppure non indi chi gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore, il numero dei lavoratori da somministrare, i rischi per la salute e sicurezza e le misure di prevenzione adottate, la data di inizio e la durata prevista della somministrazione.
L’aggiunta degli ulteriori limiti e condizioni al lavoro somministrato, avvenuta ad opera del decreto-legge 87/2018 e concretizzatasi nella previsione di un limite temporale massimo di 24 mesi, oltre che di necessarie specifiche causali per il superamento dei 12 mesi, non ha determinato una corrispondente modifica ed integrazione dell’art. 38, sì da comprendere nella sfera di disciplina della ‘somministrazione irregolare’ anche la violazione dei nuovi limiti e delle nuove condizioni come introdotti.
Tale omissione, tuttavia, non è di ostacolo al riconoscimento del diritto del lavoratore somministrato all’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato direttamente in capo all’utilizzatore.
Depongono in tal senso plurime argomentazioni che discendono dai principi di diritto sopra richiamati e,
specificamente, dalla qualificazione in termini di ‘nullità’ delle deviazioni dal paradigma legale che segna i confini del legittimo ricorso alla somministrazione di lavoro, nella sua connotazione di rapporto trilatero; rappresentando la nullità una sanzione di sistema, connaturale alla riespansione dell’immanente divieto di interposizione di manodopera in tutti i casi in cui sia travalicato il perimetro di legittimità di ciascuna delle fattispecie contrattuali interpositorie, e del connesso principio di carattere generale, fondato su valori di rilievo costituzionale, che individua il datore di lavoro in colui che utilizza effettivamente le prestazioni lavorative.
Tale premessa, in uno con lo stretto collegamento negoziale (su cui v. Cass. n. 7255 del 2013; n. 9447 del 2007; n. 14611 del 2005) proprio della somministrazione di lavoro, fa sì che la nullità del rapporto di lavoro tra RAGIONE_SOCIALE e lavoratore per superamento del limite di 24 mesi, si propaghi al contratto collegato, tra RAGIONE_SOCIALE e utilizzatore: la conseguenza è il prodursi di una duplice conversione, sul piano soggettivo, potendo il lavoratore chiedere la costituzione del rapporto in capo all’utilizzatore, e su quello oggettivo, atteso che il contratto concluso col somministratore a tempo determinato diventa, con l’utilizzatore, un contratto di lavoro a tempo indeterminato (v. in tal senso, con riferimento al d.lgs. 276 del 2003, Cass. n. 25918 del 2016 in motivazione; v. anche Cass., n. 1148 del 2013 con riferimento alla legge 196 del 1997).
14.3. L’interpretazione proposta trova conferma, ancora un volta, nel decreto-legge 104/2020, che ha modificato, nella fase di emergenza pandemica e per altri anni a seguire, l’art. 31, primo comma, del d.lgs. 18/2015. La modifica introdotta sottende in maniera univoca, nel sistema delineato dal d.lgs.
81/2015, come interpolato dal decreto-legge 87/2018, un principio immanente in forza del quale, ferma l’eccezione di carattere temporaneo introdotta (in termini di legittima somministrazione per un tempo superiore a 24 mesi di lavoratori assunti dall’RAGIONE_SOCIALE a tempo indeterminato), l’invio in missione, per periodi superiori a 24 mesi anche non continuativi, determina in capo all’utilizzatore la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il lavoratore somministrato. Da questo punto di vista è significativo l’uso, nella disposizione in esame, dell’espressione ‘l’utilizzatore può impiegare in missione’, sintomatica della cogenza, nei confronti del medesimo, dei vincoli temporali dettati dalla legge.
14.4. Resta salva la facoltà del lavoratore di chiedere la costituzione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato nei confronti del somministratore quale datore di lavoro, secondo la ordinaria disciplina dettata prima dal d.lgs. n. 368/2001 ed ora dal d.lgs. 81/2015 novellato. Come già affermato da questa Corte, all’azione nei confronti del datore di lavoro si affianca quindi e non si sostituisce l’azione per la costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore (in tal senso Cass. n. 29568 del 2022, sulla disciplina di cui al d.lgs. 276 del 2003).
La soluzione adottata non equivale, come invece insinuato dalla società ricorrente, a qualificare il decreto-legge 104/2020 quale norma di interpretazione autentica delle disposizioni dettate da d.lgs. 18/2015 novellato, né comporta l’attribuzione di effi cacia retroattiva alla legislazione emergenziale, atteso che quest’ultima è invocata unicamente nell’ambito di una interpretazione sistematica che tiene conto, al fine di ricostruire il quadro normativo effettivamente
complesso e ambiguo, delle presupposizioni alla base delle modifiche normative successivamente intervenute.
14.5. La lettura proposta si impone anche alla luce di una interpretazione conforme ai valori costituzionali, risultando altrimenti irragionevole, e non giustificabile in nome della discrezionalità legislativa, la previsione, ad opera dell’art. 38, della cd. ‘conversione’ del rapporto in capo all’utilizzatore nei casi di violazione dei limiti quantitativi (che concernono l’utilizzatore) oppure di inosservanza dei requisiti di forma o contenuto (del contratto commerciale) e non, invece, in presenza del superamento del limite temporale che coinvolge entrambi i rapporti, essendo precluso all’utilizzatore, per quanto sopra detto, di impiegare lo stesso lavoratore somministrato nelle stesse mansioni per un tempo che superi il tetto legale.
Allo stesso modo, la tutela del lavoro ne uscirebbe dimidiata ove al superamento del limite temporale si facesse seguire unicamente la conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro con l’RAGIONE_SOCIALE di somministrazione. Il dipendente a tempo indeter minato dall’RAGIONE_SOCIALE svolge il suo lavoro in base alle richieste che l’RAGIONE_SOCIALE riceve, la cui mancanza può legittimare il recesso; per i periodi di disponibilità ha diritto ad una indennità (che è cosa ben diversa dalla retribuzione).
14.6. La stessa direttiva, come interpretata dalla Corte di giustizia, mira ad incoraggiare l’accesso dei lavoratori tramite RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ad un impiego permanente presso l’impresa utilizzatrice, obiettivo che trova una particolare risonanza nell’art. 6, paragrafi 1 e 2 (v. Corte di Giustizia, C-681/18 cit., punto 51; Corte di Giustizia C-232/20 cit., punto 34) ai sensi del quale i lavoratori tramite RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE devono essere
informati dei posti vacanti nell’impresa utilizzatrice, affinché possano aspirare, al pari di altri dipendenti dell’impresa, a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato.
La lettura sistematica finora descritta è quella maggiormente in sintonia con i valori cardine della Carta costituzionale, della direttiva 2008/104 e della relativa giurisprudenza eurounitaria.
Nel senso finora esposto deve essere rettificata la motivazione della sentenza d’appello, che ha ricollegato l’effetto di conversione del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore, in conseguenza del superamento del limite di 24 mesi, agli artt. 38 e 31, comma 1, del d.lgs. 81/2015, equiparando la somministrazione a termine eccedente il limite di 24 mesi alla somministrazione a tempo indeterminato.
15. Il secondo ed il sesto motivo di ricorso, con cui si censura la computabilità, ai fini del tetto dei 24 mesi, dei contratti di lavoro somministrato per i quali si è verificata la decadenza, sono infondati alla luce dei principi già espressi da questa Suprema Corte nella sentenza n. 22861 del 2022.
16. In ultimo, è appena il caso di notare come alla medesima conclusione in termini di costituzione del rapporto in capo all’utilizzatore si giungerebbe, sia pure in base a un diverso percorso argomentativo, in virtù dei principi già affermati da questa S.C. (v. Cass. n. 23495 del 2022; n. 23494 del 2022; n. 29570 del 2022), avendo la Corte d’appello, comunque, appurato che la reiterazione delle missioni del lavoratore presso l’impresa utilizzatrice ha, nel caso concreto, oltrepassato il limite di durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea, sì da integrare una elusione delle norme imperative ai sensi dell’art. 1344 c.c. e, specificamente, degli obblighi e delle finalità posti dalla
direttiva, da cui discende, secondo l’ordinamento interno, la nullità dei contratti.
Le censure mosse al riguardo dalla società ricorrente con il settimo motivo si rivelano inammissibili perché da un lato denunciano una omessa motivazione in assenza delle anomalie che, come statuito dalle Sezioni unite (v. sentenze n. 8053 e n 8054 del 2014), valgono a integrare la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., dall’altro lato investono l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di appello sulla inidoneità del sistema degli ‘ordini aperti’ a determinare, nel periodo di interesse, specifici e significativi picchi produttivi in grado di giustificare il ricorso a manodopera aggiuntiva di natura temporanea.
Parimenti infondato è l’ottavo motivo di ricorso. Pur supponendo l’entrata in vigore del contratto collettivo RAGIONE_SOCIALE in data 1° gennaio 2019, la previsione di cui all’art. 21, comma 2, invocata dalla società ricorrente («al fine di assicurare la massima continuità occupazionale dei lavoratori in somministrazione tutti i periodi di lavoro a tempo determinato contrattualizzati tra le medesime parti (RAGIONE_SOCIALE e lavoratore) ai sensi dell’art. 19, co. 2 d.lgs. 81/2015… sono conteggiati, ai soli fini del com puto dell’anzianità lavorativa antecedente al 1° gennaio 2019, per un massimo di 12 mesi esclusivamente nell’arco temporale dei 5 anni»), in quanto non qualificabile come norma di miglior favore, non costituisce ostacolo all’interpretazione ed applicazione , nel senso sopra esposto, delle disposizioni normative analizzate.
Le considerazioni finora svolte conducono al rigetto del ricorso, dovendosi formulare il seguente principio di diritto: «la reiterazione di missioni a termine dello stesso lavoratore in somministrazione presso il medesimo utilizzatore e per lo
svolgimento sempre delle stesse mansioni, è soggetta, nel vigore del d.lgs. 81/2015, come modificato dal decreto-legge 87/2018, convertito dalla legge 96/2018, al limite temporale complessivo di 24 mesi, il cui superamento determina la nullità dei contratti che compongono il rapporto trilatero che caratterizza il lavoro in somministrazione e legittima il lavoratore a chiedere, anche solo nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo ».
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, con loro distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore del difensore dichiaratosi antistatario.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per l egge, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO, antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella pubblica udienza del 24 settembre 2025 La consigliera est. Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME