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Licenziamento whistleblower: quando la tutela decade?

Un dipendente, dopo aver effettuato una segnalazione come whistleblower, è stato licenziato per aver divulgato la denuncia alla stampa. La Corte di Cassazione ha confermato il licenziamento disciplinare, chiarendo che la protezione legale del whistleblower non è assoluta. La divulgazione pubblica, al di fuori dei canali istituzionali, costituisce una condotta che eccede le finalità della legge, ledendo il rapporto fiduciario con il datore di lavoro e giustificando il recesso.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento Whistleblower: Quando la Divulgazione alla Stampa Fa Perdere la Tutela?

La figura del whistleblower, il lavoratore che segnala illeciti interni all’azienda, è fondamentale per la trasparenza e la legalità. La legge offre specifiche tutele per proteggerlo da ritorsioni, ma cosa accade se il dipendente stesso divulga la propria denuncia ai media? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso di licenziamento whistleblower, stabilendo i confini di questa protezione. La sentenza chiarisce che la tutela non è incondizionata e che la divulgazione esterna, al di fuori dei canali previsti, può compromettere irrimediabilmente il rapporto di lavoro.

I Fatti del Caso: Il Dipendente che Divulga la Propria Denuncia

Il caso riguarda un funzionario di una società di gestione dei diritti d’autore, licenziato per giusta causa. Le contestazioni a suo carico erano principalmente due:

1. Una condotta assimilabile all’insubordinazione per inosservanza dell’orario di lavoro e delle disposizioni di servizio.
2. La divulgazione alla stampa di una denuncia che lui stesso aveva presentato all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) in qualità di whistleblower.

Il lavoratore aveva impugnato il licenziamento, sostenendo di essere protetto dalla normativa sul whistleblowing e che il recesso fosse in realtà una ritorsione. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva confermato la legittimità del licenziamento, ritenendo che la divulgazione esterna di notizie coperte da segreto aziendale fosse una condotta grave, tale da ledere il vincolo fiduciario. Il caso è quindi approdato in Cassazione.

La Decisione della Corte sul Licenziamento Whistleblower

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9138/2024, ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando in via definitiva la legittimità del licenziamento. I giudici hanno analizzato punto per punto le difese del dipendente, fornendo chiarimenti cruciali sui limiti della tutela del whistleblower.

La Prova Presuntiva della Divulgazione

Uno dei punti chiave del ricorso era la presunta mancanza di prove dirette che fosse stato il lavoratore a passare la denuncia alla stampa. La Corte ha respinto questa obiezione, affermando la piena legittimità del ragionamento presuntivo seguito dai giudici di merito. La stretta vicinanza temporale tra la presentazione della denuncia all’ANAC e la sua pubblicazione su un quotidiano nazionale, unita ad altri indizi, costituiva una base sufficiente per ritenere provato, in via presuntiva, il fatto contestato. Non è necessario, ha specificato la Corte, un legame di ‘assoluta ed esclusiva necessità causale’, ma è sufficiente che il fatto da provare sia una ‘conseguenza ragionevolmente possibile’ del fatto noto.

I Limiti della Tutela del Whistleblower

Il cuore della decisione riguarda l’ambito di applicazione della tutela prevista dalla legge (in particolare la L. 179/2017). La Corte ha stabilito che la protezione non è un’immunità totale. La comunicazione della denuncia a organi di stampa, al di fuori dei canali specificamente previsti dalla normativa per la gestione delle segnalazioni, rappresenta una ‘modalità eccedente’ rispetto alle finalità della legge.

Lo scopo della normativa è eliminare l’illecito, non consentire la diffusione indiscriminata di notizie aziendali, professionali o d’ufficio. Divulgare la segnalazione ai media trasforma un atto di tutela della legalità in una violazione dell’obbligo di fedeltà e riservatezza, giustificando la reazione disciplinare del datore di lavoro.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un attento bilanciamento degli interessi in gioco. Da un lato, c’è il diritto alla libertà di espressione e il dovere civico di denunciare illeciti. Dall’altro, c’è l’obbligo di lealtà del dipendente e l’interesse dell’azienda a proteggere le proprie informazioni.

I giudici hanno chiarito che la normativa sul whistleblowing crea un canale protetto e privilegiato per le segnalazioni, ma proprio per questo impone che si resti all’interno di quel canale. La scelta di rivolgersi alla stampa, anziché utilizzare gli strumenti interni o istituzionali, fa venir meno la ratio della protezione. Questa condotta, unita agli altri addebiti disciplinari (come l’insubordinazione), è stata considerata sufficientemente grave da rompere in modo irreparabile il rapporto fiduciario, elemento essenziale di qualsiasi contratto di lavoro.

La Corte ha inoltre escluso la natura ritorsiva del licenziamento, poiché per configurarla è necessario che il motivo illecito sia l’unica ed esclusiva ragione del recesso. In questo caso, esistevano valide e autonome ragioni disciplinari a fondamento della decisione aziendale.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica sia per i lavoratori che per le aziende. Per i dipendenti, emerge chiaramente che la tutela del whistleblower è forte ma non sconfinata: è essenziale seguire scrupolosamente le procedure previste dalla legge per le segnalazioni, evitando ‘fughe in avanti’ come la divulgazione ai media, che possono trasformare un atto meritevole in una giusta causa di licenziamento.

Per le aziende, la sentenza conferma che, pur in presenza di una segnalazione di illeciti, è possibile procedere disciplinarmente se il lavoratore compie atti che esulano dalla protezione legale e violano i doveri fondamentali del rapporto di lavoro. La gestione corretta dei canali di segnalazione interni diventa quindi cruciale, non solo per adempiere agli obblighi di legge, ma anche per prevenire e gestire situazioni complesse come quella descritta.

Un lavoratore che fa una segnalazione come whistleblower è sempre protetto dal licenziamento?
No, la tutela non è assoluta. Secondo la Corte di Cassazione, la protezione decade se il lavoratore utilizza modalità che eccedono le finalità della legge, come la divulgazione della denuncia agli organi di stampa al di fuori dei canali istituzionali previsti. Tale condotta può violare l’obbligo di riservatezza e ledere il rapporto fiduciario.

Come può un datore di lavoro provare che un dipendente ha divulgato notizie riservate alla stampa?
Il datore di lavoro può ricorrere al ragionamento presuntivo. Non è necessaria una prova diretta (come una confessione), ma è sufficiente che il giudice possa desumere il fatto da indizi gravi, precisi e concordanti. Nel caso di specie, la stretta vicinanza temporale tra la denuncia e la sua pubblicazione è stata considerata un indizio sufficiente.

Il licenziamento è legittimo se basato su più episodi di diversa gravità?
Sì. Il giudice non deve valutare i singoli episodi in modo isolato, ma deve considerare la loro incidenza complessiva sul rapporto di lavoro. Anche se un singolo addebito non fosse sufficiente a giustificare il licenziamento, la valutazione congiunta di più condotte (nel caso in esame, insubordinazione e divulgazione di notizie riservate) può legittimamente portare alla conclusione che il vincolo di fiducia è stato irrimediabilmente compromesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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