Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24919 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24919 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 25602-2024 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 530/2024 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 02/10/2024 R.G.N. 432/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE
R.G.N. 25602/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 24/06/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Firenze, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accertato l’illegittimità del licenziamento intimato da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME per violazione del principio di proporzionalità tra infrazione disciplinare e sanzione, con conseguente applicazione dell’art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 1970.
Nel caso di specie la Corte territoriale, esaminando i fatti addebitati al lavoratore (invio di 3 mail anonime al Direttore Vendite, dall’indirizzo di posta elettronica del punto vendita ove lo stesso prestava servizio, contenenti affermazioni -in parte offensive -in ordine alla mala gestione del negozio, mail correlate di fotografie) ha ritenuto provato, anche tramite presunzione, la paternità delle mail al COGNOME, e considerata la critica, gratuita ed allusiva, a comportamenti illeciti del Direttore Vendite, ha ritenuto disciplinarmente rilevante la condotta (da ritenersi sussistente e non contemplata dal CCNL tra le sanzioni conservative) seppur sanzionata con provvedimento sproporzionato.
Il lavoratore ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza impugnata sulla base di due motivi, illustrati da memoria. La società ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 2729 nonché vizio di motivazione avendo, la Corte territoriale, effettuato una inferenza logico-deduttiva sulla base di mere congetture e massime di esperienza
estremamente deboli. Inoltre, la Corte territoriale ha trascurato che le fotografie attribuite al COGNOME sono state inviate da una casella di posta elettronica aziendale a disposizione di tutto il personale e, inoltre, le deposizioni testimoniali sono state illuminanti e univoche.
2. Il motivo è inammissibile.
2.1. Con riguardo alla sindacabilità per cassazione del ragionamento presuntivo, è assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, a seguito della novella apportata all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. dall’art. 54, d.l. n. 83 del 2012 (conv. con l. n. 134 del 2012), il principio secondo cui spetta al giudice di merito individuare i fatti da porre a fondamento dell’inferenza presuntiva e valutarne la rispondenza ai requisiti di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., con un apprezzamento di fatto che è intangibile in questa sede di legittimità, salvo che si sia omesso l’esame di un qualche fatto decisivo (nel rigoroso senso delineato da Cass. S.U. n. 8053 del 2014: così, tra le più recenti, Cass. nn. 10253 e 18611 del 2021, Cass. n. 25959 del 2023); che, più in particolare, si è precisato (da ultimo da Cass. n. 22366 del 2021) che la censura ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. in ordine all’impiego del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito e che la mancata valutazione di un elemento indiziario non può di per sé dare luogo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo, stante che il fatto da provare può considerarsi desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, non potendo l’inferenza logica essere in alcun modo oggettivamente inconfutabile; che, alla stregua delle suesposte considerazioni, è evidente che, nel caso di specie, parte ricorrente, lungi dal
denunciare un errore di diritto o l’omesso esame circa un fatto decisivo (nel rigoroso senso delineato da Cass. S.U. n. 8053 del 2014), domanda sostanzialmente a questa Corte un’inammissibile rivalutazione del materiale probatorio alla luce del quale i giudici di merito hanno presuntivamente ricondotto al lavoratore l’invio delle mail.
Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 18, comma 5, della legge n 300 del 1970 2697 c.c. avendo, la Corte territoriale, trascurato che il contratto collettivo non tipizza la condotta contestata fra quelle passibili di sanzione disciplinare e che la condotta del lavoratore può agevolmente sussumersi nella dinamica dialettica che spesso si sviluppa all’interno di un’azienda e non può ritenersi integrante la giusta causa posto che non vi è stato alcun nocumento per la società, vi è stata minima intensità dell’elemento intenzionale, l’invio di mail, a distanza tra loro, non può integrare una condotta di insubordinazione, anche per la scarsa lesività del linguaggio adottato.
Il motivo non è fondato.
4.1. Questa Corte ha affermato ripetutamente (Cass. n. 13178/2017, Cass. 18823/2018, Cass. n. 25534/2018, Cass. n. 31839/2019), che la valutazione di non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra nell’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 2018 (come novellata dalla legge n. 92 del 2012) solamente nell’ipotesi in cui lo scollamento tra la gravità della condotta realizzata e la sanzione adottata risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, che ad essa facciano corrispondere una sanzione conservativa. Al di fuori di tale caso, secondo la consolidata esegesi dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 in base alla quale il regime risarcitorio del comma 5 deve
ritenersi di carattere generale, la sproporzione tra la condotta e la sanzione espulsiva rientra nelle “altre ipotesi” in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali dell’art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 2018 prevede la tutela indennitaria c.d. forte.
4.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale (e lo stesso ricorrente) ha sottolineato che il comportamento adottato dal lavoratore non è contemplato nel codice disciplinare dettato dal CCNL applicato in azienda; ha, inoltre, aggiunto che i fatti addebitati dovevano ritenersi sussistenti, con ciò escludendo la ricorrenza dei due requisiti richiesti dal comma 4 dell’art. 18, legge n. 300 del 1970, per l’applicazione della tutela reintegratoria.
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 giugno