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Licenziamento sproporzionato per rimborso spese errato

Una lavoratrice è stata licenziata per aver richiesto un rimborso spese parzialmente non dovuto di circa 266 euro tramite un portale aziendale. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte d’Appello, definendolo un licenziamento sproporzionato. La Suprema Corte ha stabilito che una richiesta irregolare, processata attraverso un sistema aziendale che prevede controlli, non può essere assimilata al furto e la sanzione deve essere proporzionata alla reale gravità del fatto.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento sproporzionato: no se il rimborso spese è irregolare ma non fraudolento

Un licenziamento sproporzionato può essere annullato se la sanzione espulsiva non è adeguata alla reale gravità del comportamento del dipendente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’analisi cruciale su questo principio, stabilendo che una richiesta di rimborso spese irregolare, gestita tramite un sistema aziendale automatizzato, non può essere automaticamente equiparata a un furto per giustificare la massima sanzione disciplinare. Questo caso evidenzia l’importanza di valutare attentamente tutte le circostanze prima di procedere con un licenziamento per giusta causa.

I Fatti di Causa

Una dipendente di una grande azienda di logistica, durante una trasferta di un mese, ha richiesto il rimborso di spese per un totale di circa 928 euro attraverso il portale informatico aziendale. Cinque mesi dopo, la società le ha contestato una parte di tale importo, pari a circa 266 euro, ritenendola non rimborsabile secondo la policy interna (spese per cibo, vestiario o non documentate correttamente). A seguito di questa contestazione, la lavoratrice è stata licenziata per giusta causa.

Il tribunale di primo grado aveva dichiarato illegittimo il licenziamento, riconoscendo alla lavoratrice un’indennità risarcitoria. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, accogliendo le ragioni dell’azienda e ritenendo legittimo il licenziamento. Secondo i giudici d’appello, la condotta della dipendente era assimilabile all’ipotesi di furto prevista dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), giustificando così la sanzione espulsiva.

La lavoratrice ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sul licenziamento sproporzionato

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della lavoratrice, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa per un nuovo esame. Il punto centrale della decisione riguarda l’errata valutazione della Corte d’Appello, che ha illegittimamente equiparato la richiesta di un rimborso irregolare alla fattispecie di furto.

La Cassazione ha chiarito che il comportamento della dipendente, pur costituendo una violazione della policy aziendale, non presentava gli elementi della fraudolenza o dell’abuso necessari per configurare un’infrazione di tale gravità. L’assimilazione al furto è stata giudicata errata e incongrua, portando a un giudizio di licenziamento sproporzionato.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su diversi principi giuridici fondamentali:

1. Distinzione tra Irregolarità e Furto: Il furto presuppone un’azione contro la volontà del proprietario e senza la sua collaborazione. Nel caso di specie, la lavoratrice ha seguito una procedura aziendale prestabilita, utilizzando un portale informatico che prevedeva un controllo successivo da parte del datore di lavoro. Non vi è stata alcuna sottrazione o spossessamento, ma una richiesta inserita in un flusso procedurale aziendale.

2. Principio di Proporzionalità: La sanzione del licenziamento è la extrema ratio e deve essere proporzionata alla gravità dell’inadempimento. La Corte d’Appello non ha considerato elementi cruciali come l’assenza di precedenti disciplinari a carico della lavoratrice e il fatto che lei avesse prontamente restituito la somma contestata. La condotta era riconducibile a una violazione delle direttive aziendali, punibile, secondo il CCNL, con una sanzione conservativa (non espulsiva).

3. Ruolo dei Sistemi di Controllo Aziendali: Il fatto che l’azienda utilizzasse un sistema automatizzato che prevedeva un controllo ex post implica che la verifica delle richieste fosse un onere del datore di lavoro. Il ritardo di cinque mesi nell’effettuare tale controllo non può aggravare la posizione della dipendente. La mancanza di scontrini o la non inerenza di alcune spese costituivano un’irregolarità che il sistema di controllo avrebbe dovuto rilevare e portare al diniego del rimborso, non necessariamente a un licenziamento.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione ribadisce un principio cardine del diritto del lavoro: non ogni inadempimento contrattuale giustifica il licenziamento. È necessario un giudizio rigoroso sulla proporzionalità della sanzione rispetto alla condotta effettiva. Assimilare una richiesta di rimborso irregolare, effettuata tramite procedure aziendali trasparenti e soggette a verifica, a un reato come il furto, costituisce un errore di diritto che porta a un licenziamento sproporzionato e, quindi, illegittimo. La decisione sottolinea che la sanzione disciplinare deve essere adeguata non solo al fatto oggettivo, ma anche all’elemento soggettivo e al contesto in cui si è verificato.

Chiedere un rimborso spese non dovuto è sempre giusta causa di licenziamento?
No, non sempre. La Cassazione ha chiarito che bisogna valutare la gravità della condotta. Una mera irregolarità nella richiesta, specie se fatta tramite procedure aziendali soggette a controllo, non è assimilabile al furto e non giustifica automaticamente il licenziamento, che potrebbe risultare sproporzionato.

L’uso di un sistema automatizzato per i rimborsi cambia la valutazione della condotta del dipendente?
Sì. Il fatto che il dipendente abbia seguito una procedura automatizzata, che prevede controlli da parte del datore di lavoro (anche se successivi), attenua la gravità del fatto. La condotta non è fraudolenta né mira a sottrarsi ai controlli, ma si inserisce in un processo aziendale predefinito.

Quale importanza ha il contratto collettivo (CCNL) nel giudizio di proporzionalità del licenziamento?
Il CCNL è fondamentale. Se prevede sanzioni conservative (cioè non espulsive) per la violazione di direttive aziendali, come quelle sui rimborsi, il giudice deve tenerne conto. Assimilare una condotta a un’ipotesi più grave (come il furto) per giustificare il licenziamento, ignorando la specifica previsione del CCNL, costituisce un errore di diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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