Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5304 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 5304 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 21048/2020 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrente
contro
NOME , elett. dom.ta in INDIRIZZO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 1625/2020 pubblicata in data 09/06/2020, n. r.g. 3136/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 14/12/2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Viste le conclusioni rassegnate dal P.M., in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- NOME COGNOME aveva lavorato alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE in virtù di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e con
OGGETTO:
–
–
licenziamento disciplinare –
clausole
del
CCNL
interpretazione
conseguenze
mansioni di addetta alle pulizie presso il cantiere della RAGIONE_SOCIALE in Napoli alla INDIRIZZO, fino al 18/05/2018, quando era stata licenziata (con preavviso) per ragioni disciplinari.
Deduceva l’illegittimità del recesso sotto vari profili, ivi compres a la previsione contrattual-collettiva di una sanzione conservativa per i fatti contestati.
Pertanto adìva il Tribunale di Napoli per ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro con tutte le conseguenze di legge per l’insussistenza del fatto addebitato ovvero per la sanzionabilità del fatto in via conservativa; in subordine la declaratoria di illegittimità del licenziamento per sproporzione, con le conseguenze di cui all’art. 18, co. 5^, legge n. 300/1970 e con la condanna della società al pagamento dell’indennità risarcitoria nella misura massima; in via ulteriormente gradata la declaratoria di illegittimità del licenziamento per violazione del procedimento disciplinare, con le conseguenze di cui all’art. 18, co. 6^, legge n. 300 cit.
2.Radicatosi il contraddittorio, all’esito della fase c.d. sommaria (prevista dal rito introdotto dalla legge n 92/2012), il Tribunale accoglieva la domanda principale.
3.Escusso un testimone, il Tribunale, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta dalla società, dichiarava illegittimo il licenziamento per violazione del procedimento disciplinare di cui all’art. 7 legge n. 300/1970, quindi dichiarava risolto il rapporto di lavoro e condannava la società al pagamento dell’indennità risarcitoria omnicomprensiva in misura pari a dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto e condannava la NOME a restituire le somme ricevute in esecuzione dell’ordin anza opposta.
4.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello, in parziale accoglimento del reclamo proposto dalla COGNOME, annullava il licenziamento, ordinava la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro e condannava la società al pagamento del l’indennità risarcitoria commisurata a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; infine dichiarava non tenuta la COGNOME a restituire quanto percepito in esecuzione dell’ordinanza conclusiva della c.d. fase sommaria di primo grado.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
non può dubitarsi della sussistenza del fatto storico addebitato alla lavoratrice, consistente nell’essersi allontanata dal posto di lavoro in tutto il mese di aprile 2018 prima della fine del turno lavorativo;
la società ha altresì contestato la recidiva rispetto ad altre inadempienze già sanzionate con provvedimenti disciplinari riportati nella lettera di contestazione, nella COGNOME è stato quindi invocato l’art. 48, lett. A, CCNL imprese di pulizia e servizi integrativi / multiservizi;
dall’istruttoria espletata in primo grado è emerso che NOME COGNOME COGNOMECOGNOME COGNOME a dire della COGNOME l’avrebbe autorizzata a concludere il proprio turno di lavoro una mezz’ora prima della fine, per fruire in tal modo dei permessi orari maturati ma non goduti -ha dichiarato che aveva avuto richiesta in tal senso dalla lavoratrice e si era impegnata a contattare l’ufficio del personale di Genova; ha precisato che se questo avesse dato il consenso, la COGNOME avrebbe dovuto poi chiedere l’autorizzazion e al capo squadra, sig. COGNOME, con almeno un giorno di anticipo; ha dichiarato che invece la COGNOME per il mese di aprile non inoltrò alcuna richiesta al COGNOME, ma si comportò come se fosse stata autorizzata ad uscire prima della fine del turno; ha infine precisato che non è prevista alcuna autorizzazione scritta per i dipendenti che, una volta ottenuti i permessi, si limitano a marcare il cartellino marcatempo da cui risulta l’orario di ingresso e di uscita;
da tale deposizione emerge che non vi è alcuna prassi aziendale secondo cui i lavoratori possano decidere liberamente di entrare più tardi o di uscire prima della fine del turno, per fruire dei permessi maturati;
tuttavia dalla deposizione si evince che la COGNOME aveva fatto la richiesta alla RAGIONE_SOCIALE, smentendo l’assunto difensivo della società, secondo cui la lavoratrice avrebbe confidato in un mancato controllo delle timbrature in uscita;
d’altro canto, contrariamente alla tesi difensiva della lavoratrice, l’anticipazione dell’uscita e quindi della fine del turno non è stata solo di trenta minuti, ma in alcuni giorni ben maggiore, come si evince dai cartellini marcatempo, da cui risulta che l’orario non lavorato è stato di
due ore e quaranta minuti in data 18/04/2018, di cinquanta minuti in data 21/04/2018 e di quarantanove minuti in data 05/04/2018;
quindi vi è stato l’inadempimento contrattuale e non era neppure il primo, visto l’espresso riferimento alla recidiva contenuto nella contestazione disciplinare;
l’art. 48, lett. d) , CCNL prevede il licenziamento con preavviso per l’abbandono del posto di lavoro ma solo se effettuato da parte di personale a cui siano specificamente affidate mansioni di sorveglianza, custodia, controllo, fuori dei casi previsti al punto e) della lettera B), e tale fattispecie esula da quella in esame, posto che la COGNOME era invece addetta alle pulizie;
inoltre, essendo stata contestata la recidiva, occorre far riferimento all’art. 48, lett. g) , che prevede il licenziamento ma solo se la recidiva riguardi le precedenti ipotesi (e quindi pure quella della lett. d) e solo quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione di cui all’art. 47, il che nella specie non era avvenuto;
questa disciplina contrattuale, seppure di contenuto esemplificativo e non esaustivo, è di utile orientamento per la verifica della giusta causa;
in ogni caso il fatto addebitato alla COGNOME (l’abbandono del posto di lavoro) è previsto dall’art. 47 CCNL ed è punito con sanzione conservativa (eccetto l’ipotesi della recidiva, ma a condizione che vi siano due provvedimenti di sospensione, nel caso in esame insussistenti) e non è sussumibile tra le condotte indicate nell’art. 48 (lett. d), né sussiste la recidiva (lett. g).
5.- Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
6.- NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
7.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. la ricorrente lamenta l’omesso esame di due fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti, ossia la non corrispondenza del fatto contestato in via disciplinare alla previsione contrattualcollettiva e ‘la mancata applicazione dell’art. 2119 c.c.’.
Il motivo è inammissibile in relazione alla mancata applicazione della norma codicistica, che semmai integra una violazione di norme di diritto e non l’omesso esame di un fatto storico.
Con riguardo alla non corrispondenza del fatto contestato alla previsione contrattual-collettiva, la società ricorrente sostiene che il licenziamento sarebbe stato irrogato ai sensi dell’art. 2119 c.c., che poi ha formato oggetto della controversia, e non della disciplina contrattual-collettiva.
La censura è inammissibile, poiché attiene in realtà al travisamento della domanda e non all’omesso esame di un fatto storico.
Altrettanto inammissibile è la censura di ‘motivazione contraddittoria ed illogica’ o comunque assente o insufficiente (v. ricorso per cassazione, pp. 7 -8), non riconducibile allo specifico motivo previsto dall’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. proposto , che limita il vizio motivazionale all’omesso esame di un fatto decisivo.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2119 e 1362 c.c., 45, 47 e 48 CCNL di categoria per avere la Corte territoriale ritenuto il fatto disciplinarmente contestato riconducibile a quanto previsto dagli artt. 47 e 48 CCNL.
In particolare si duole dell’omesso rilievo del fatto che la disciplina contrattuale si riferisce ad una sola inadempienza e all’eventuale recidiva e quindi non regola il caso -come invece quello in esame -in cui il dipendente, già sanzionato più volte con provvedimenti conservativi, continui a rendersi inadempiente, anticipando l’uscita dal servizio senza autorizzazione o successiva giustificazione per molti giorni in un mese, nella specie dal 03 al 23 aprile 2018.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
In primo luogo, l’inammissibilità deriva dal fatto che, come replicato dalla difesa della COGNOME in sede di memoria, nel caso concreto il licenziamento è stato intimato ai sensi dell’art. 48, lett. A), CCNL, che prevede fattispecie punite con licenziamento con preavviso e così è stato intimato alla lavoratrice. Dunque è la stessa società ad aver ritenuto insussistente la giusta causa, che avrebbe altrimenti esonerato dal preavviso. Pertanto non può lamentarsi della violazione di una norma -art. 2119 c.c. -che non può trovare applicazione
per la concreta scelta della stessa datrice di lavoro.
Per il resto il motivo è infondato.
Le previsioni contrattual-collettive sulle fattispecie punibili con il licenziamento disciplinare non sono tassative, ma solo esemplificative e quindi non vincolanti per il giudice, poiché la giusta causa è una nozione legale (art. 2119 c.c.). Viceversa, a i sensi dell’art. 12 legge n. 604/1966 sono tassative e vincolanti per il giudice le previsioni contrattual-collettive sulle fattispecie punibili con sanzioni conservative (Cass. n. 14811/2020; Cass. n. 8621/2020). Per tali ragioni questa Corte ha affermat o che ‘ La giusta causa di licenziamento è nozione legale rispetto alla COGNOME non sono vincolanti – al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo le previsioni dei contratti collettivi, che hanno valenza esemplificativa e non precludono l’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità delle specifiche condotte a compromettere il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore, con il solo limite che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione ‘ (Cass. n. 19023/2019; Cass. n. 27004/2018).
Nel caso di specie si rivela corretta la sussunzione -operata dalla Corte territoriale -della fattispecie concreta nell’art. 47 CCNL, poiché tale clausola si riferisce a varie tipologie di infrazioni identificate mediante specifica descrizione delle condotte, fra le quali vi è l’anticipata cessazione del servizio.
Non è condivisibile la tesi della società ricorrente, secondo cui quella clausola si riferirebbe ad un’unica infrazione e quindi non contemplerebbe il caso di ripetute infrazioni, come quello in esame, in cui le anticipazioni dell’uscita dal lavoro hanno riguardato sostanzialmente tutti i giorni lavorativi di un mese (aprile 2018).
Va infatti ritenuto che, come sostiene la COGNOME (v. controricorso, p. 21), la pluralità dei giorni in cui è stata ripetuta l’infrazione rileva solo ai fini della gravità ma pur sempre nei limiti delle sanzioni conservative previste dall’art. 47 CCNL cit., che proprio per questo prevede una graduazione via via crescente della sanzione (l’ammonizione scritta, la multa o la sospensione), tanto è vero che fa espresso riferimento alle ‘mancanze di minor rilievo’ e a ‘quelle di maggior rilievo’.
Ragioni di carattere letterale e logico inducono quindi a ritenere che oggetto delle sanzioni conservative previste dall’art. 47 CCNL non sia necessariamente una sola condotta. Basti considerare che sono ivi previste, alla lett. a), la mancata presentazione al lavoro senza giustificato motivo e la mancata giustificazione dell’assenza entro il giorno successivo, condotte che ontologicamente si esauriscono uno actu , ossia non hanno una durata oraria graduabile e variabile. Quindi la loro maggiore o minore gravità non può che manifestarsi ed essere apprezzata, appunto, in termini di numero di giorni in cui tali infrazioni sono commesse e ripetute.
Ed allora, per ragioni di omogeneità sanzionatoria, in relazione all’anticipata cessazione del servizio senza giustificato motivo (infrazione contestata alla COGNOME ed accertata nel giudizio di merito), la graduazione della gravità va apprezzata sia in termini di durata del singolo episodio, sia in termini di numero di episodi, fermo restando che la massima sanzione irrogabile -per un’insindacabile scelta dell’autonomia collettiva è la sospensione, ossia pur sempre una sanzione conservativa.
Infine, sul piano dell’elemento soggettivo la Corte ha accertato che non era necessaria l’autorizzazione scritta e quindi ha implicitamente ritenuto che il comportamento di fatto tenuto dalla società -che per vari giorni nulla aveva dichiarato alla lavoratrice che anticipava l’uscita avesse ingenerato un affidamento nella NOME, così dovendo intendersi ridotto il suo grado di colpa.
In via eccezionale l’art. 48, lett. A, punto g) prevede anche per tale condotta la sanzione espulsiva ma solo in caso di recidiva e a condizione che quest’ultima sia integrata da infrazioni per le quali siano stati comminati due provvedimenti di sospensione. Nel caso concreto tale condizione -secondo l’accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale e non censurato dalla ricorrente -non si è verificata.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge, con attribuzione al difensore dichiaratosi
antistatario.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso principale a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data