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Licenziamento soggettivo: proporzionalità e oneri

Un’azienda del settore ristorazione licenzia un suo store manager per giustificato motivo soggettivo, addebitandogli una serie di inadempienze nella gestione. La Corte d’Appello, e successivamente la Corte di Cassazione, ritengono il licenziamento sproporzionato, condannando l’azienda a un risarcimento. La sentenza sottolinea che il principio di proporzionalità si applica anche al licenziamento soggettivo e che la contestazione disciplinare, pur non dettagliando ogni singolo episodio, era sufficientemente specifica da permettere la difesa del lavoratore.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento Soggettivo: la Cassazione fissa i paletti sulla proporzionalità

Il licenziamento soggettivo rappresenta una delle cause di cessazione del rapporto di lavoro più delicate, poiché si fonda su un inadempimento del dipendente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui criteri di valutazione, in particolare sul principio di proporzionalità tra la condotta del lavoratore e la sanzione espulsiva. La Corte ha stabilito che anche in caso di inadempimenti reiterati, il licenziamento può essere ritenuto illegittimo se la sanzione risulta eccessiva rispetto ai fatti contestati.

I Fatti del Caso: Il Licenziamento dello Store Manager

Il caso esaminato riguarda un’importante azienda della ristorazione che aveva licenziato un suo store manager per giustificato motivo soggettivo. L’azienda contestava al dipendente una serie di inadempienze e violazioni del regolamento aziendale, tra cui un uso promiscuo della cassa. La Corte d’Appello aveva riformato la sentenza di primo grado, dichiarando il licenziamento ingiustificato e condannando la società a corrispondere al lavoratore un’indennità risarcitoria pari a 18 mensilità. Secondo i giudici di merito, sebbene vi fosse stata un’inadempienza, questa non era così grave da giustificare la massima sanzione espulsiva, tenuto conto dell’esiguità del danno, dell’assenza di precedenti disciplinari e delle numerose ispezioni aziendali con esito positivo.

L’Analisi della Corte: Proporzionalità del Licenziamento Soggettivo

L’azienda ha impugnato la decisione in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse erroneamente valutato i fatti, non riconoscendo la gravità delle condotte di un manager con un ruolo di responsabilità. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso principale, confermando la linea dei giudici di merito. Il punto cruciale della decisione risiede nella distinzione tra giusta causa e licenziamento soggettivo: la differenza, afferma la Corte, è ‘quantitativa e non ontologica’. Ciò significa che anche per il licenziamento soggettivo, che richiede un ‘notevole inadempimento’, è sempre necessaria una valutazione di proporzionalità. Il giudice deve considerare tutte le circostanze concrete del caso – la natura della violazione, il danno causato, la posizione del lavoratore e il suo passato disciplinare – per stabilire se la risoluzione del contratto sia una sanzione adeguata.

La Difesa del Lavoratore: Specificità della Contestazione e Codice Disciplinare

Il lavoratore, a sua volta, aveva presentato un ricorso incidentale, lamentando la genericità della contestazione disciplinare e la mancata affissione del codice disciplinare. Anche questi motivi sono stati respinti dalla Cassazione.

Principio di Specificità

Secondo la Corte, il principio di specificità della contestazione è volto a garantire il diritto di difesa. Nel caso di specie, sebbene non fossero stati elencati tutti i singoli episodi, il ‘nucleo essenziale dell’inadempimento’ era stato comunicato in modo chiaro, tanto da permettere al lavoratore di comprendere gli addebiti e difendersi adeguatamente.

Affissione del Codice Disciplinare

Inoltre, la Corte ha ribadito un principio consolidato per le figure di maggiore responsabilità: per un dipendente con un ruolo apicale come quello di store manager, la conoscenza delle regole fondamentali di organizzazione aziendale e dei doveri di diligenza è presunta. Non è quindi necessaria la formale affissione del codice disciplinare per sanzionare la violazione di tali doveri, che rientrano nella ‘comune prudenza’ e negli obblighi derivanti dalla sua funzione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sulla base di principi giuridici consolidati. In primo luogo, ha riaffermato che la valutazione sulla sussistenza di un giustificato motivo di licenziamento è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, se non per vizi logici o violazioni di legge che, nel caso in esame, non sono stati riscontrati. La Corte d’Appello aveva correttamente ponderato tutti gli elementi, concludendo per la sproporzione della sanzione espulsiva. In secondo luogo, ha chiarito che il criterio di proporzionalità è un principio cardine del diritto del lavoro che si applica a tutte le sanzioni disciplinari, inclusa la forma più grave, il licenziamento. Infine, ha specificato che gli obblighi di specificità della contestazione e di pubblicità del codice disciplinare devono essere interpretati in modo funzionale a garantire il diritto di difesa, senza inutili formalismi, soprattutto quando si tratta di personale direttivo.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame offre due importanti indicazioni pratiche. Per i datori di lavoro, emerge la necessità di valutare con estrema attenzione la proporzionalità della sanzione disciplinare prima di procedere con un licenziamento, anche di fronte a inadempimenti accertati. È fondamentale documentare non solo la condotta, ma anche la sua effettiva gravità e l’impatto sul rapporto fiduciario. Per i lavoratori, la sentenza conferma che, pur in presenza di una violazione, il licenziamento non è automatico e può essere contestato se risulta una misura eccessiva. Al contempo, sottolinea che per i ruoli di responsabilità esiste un onere di conoscenza dei doveri fondamentali che non può essere eluso invocando la mancata affissione del codice disciplinare.

Qual è la differenza tra licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo?
Secondo la Corte, la differenza è principalmente quantitativa. La giusta causa richiede un inadempimento talmente grave da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto. Il giustificato motivo soggettivo richiede un ‘notevole inadempimento’ degli obblighi contrattuali. In entrambi i casi, tuttavia, il giudice deve valutare la proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla condotta del lavoratore.

Una contestazione disciplinare è valida anche se non elenca ogni singolo episodio di inadempimento?
Sì. La Corte ha stabilito che la contestazione è valida se il ‘nucleo essenziale dell’inadempimento’ è descritto in modo tale da permettere al lavoratore di percepire la portata e l’entità dell’addebito e di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa.

È sempre obbligatorio affiggere il codice disciplinare per poter licenziare un dipendente?
No, non sempre. La Corte ha ribadito che per i lavoratori con ruoli di elevata responsabilità (come uno store manager), la conoscenza delle regole fondamentali di organizzazione aziendale e dei doveri di diligenza è presunta. Pertanto, la violazione di tali doveri può essere sanzionata anche se non sono specificati in un codice disciplinare affisso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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