SENTENZA TRIBUNALE DI BERGAMO N. 621 2025 – N. R.G. 00001207 2025 DEPOSITO MINUTA 09 07 2025 PUBBLICAZIONE 09 07 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice unico del Tribunale di Bergamo, in funzione di Giudice del Lavoro, dott. NOME COGNOME, all’udienza del 09.07.2025, all’esito della camera di consiglio, assenti le parti, ha pronunciato, mediante lettura del dispositivo e della contestuale motivazione, la seguente
S E N T E N Z A
nella causa iscritta al n. R.G. 1207/2025
TRA
, rappresentato e difeso come in atti dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
ricorrente
E
in persona del legale rappresentante p.t. – contumace
convenuto
OGGETTO: impugnativa licenziamento gmo -spettanze retributive
CONCLUSIONI: come in atti e verbali di causa
Con ricorso depositato in data 22.05.2025 e ritualmente notificato, agiva in giudizio nei confronti di innanzi all’intestato Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro, per ivi sentire accertare l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo comminatogli con lettera del 18.10.2024, con le conseguenze di legge reintegratorie e risarcitorie ex art. 2 o 3 d.lgs. n. 23/2015.
Il ricorrente, in particolare, assumeva di aver lavorato alle dipendenze della convenuta con contratto a tempo indeterminato, come operaio II Livello CCNL di settore addetto all’assemblaggio e montaggio di articoli in metallo gomma e plastica (nella specie, di cofani dei motori dei trattosi) a far data dal 02.11.2023 presso la sede operativa di Montello (BG); in data 18.10.2024 gli veniva consegnata la lettera di licenziamento per giustificato motivo oggettivo con decorrenza dal 31.10.2024.
L’istante lamentava, con la presente azione giudiziaria, l’assenza totale di motivazione del licenziamento, la violazione dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta del lavoratore dal licenziare e il mancato rispetto dell’obbligo di repêchage.
Inoltre, lamentava, la mancata corresponsione della retribuzione di ottobre 2024 per € 3.141,22 lordi come da cedolino prodotto agli atti di cui chiedeva la dazione.
Rassegnava, pertanto, le conclusioni sopra sinteticamente riportate di cui chiedeva l’accoglimento.
Nessuno si costituiva per nonostante la regolarità del procedimento di notifica degli atti di causa, pertanto, il Giudice ne dichiarava la contumacia.
All’odierna udienza, all’esito della discussione e della camera di consiglio, il Giudice definiva il giudizio con motivazione contestuale, apparendo superflua ulteriore attività istruttoria.
Il ricorso può essere accolto per le ragioni di seguito indicate.
Nel caso posto all’attenzione dello scrivente, la ricorrente lamenta l’inefficacia/nullità del licenziamento comminatogli per giustificato motivo oggettivo, evidenziando l’assoluta ed insanabile mancanza delle ragioni sottese alla scelta espulsiva, essendosi limitato il datore di lavoro a recedere dal rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo senza chiarire in cosa lo stesso consistesse.
In proposito, va evidenziato che per consolidata giurisprudenza, l’onere della prova in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ricade interamente a carico del datore di lavoro, che nel caso di specie, è rimasto contumace.
Tra le altre, con la sentenza n. 12101/2016, la Corte di Cassazione ha affermato, infatti, il principio secondo cui il datore di lavoro, quando licenzia per giustificato motivo obiettivo, oltre a dimostrare la sussistenza delle ragioni aziendali poste a base del licenziamento (ad es., la soppressione del reparto o della posizione lavorativa cui era adibito il dipendente o, in genere -per quanto di specifico interesse in questa sede -la riorganizzazione aziendale), ha, altresì, l’onere di provare l’impossibilità di una sua utile riallocazione in mansioni equivalenti a quelle da ultimo espletate (impossibilità del c.d. repechage ) e l’assenza di nuove assunzioni, per un congruo periodo di tempo successivo al licenziamento, di lavoratori addetti a mansioni equivalenti -per il tipo di professionalità richiesta -quelle espletate dal dipendente licenziato (v. anche Cass. n. 13112/2014 e Cass. n. 21579/2008). In termini, Cass. n. 20436/2016, secondo cui ‘ in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di repêchage del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale, senza che sul lavoratore incomba alcun onere di allegazione dei posti assegnabili ‘.
Con la recentissima pronuncia n. 749/2022, la Corte di Cassazione è tornata nuovamente a pronunciarsi sull’onere della prova in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e l’assolvimento dell’obbligo di repêchage, ribadendo che ‘ esigere che sia il lavoratore licenziato a spiegare dove e come potrebbe essere ricollocato all’interno dell’azienda significa, se non invertire sostanzialmente l’onere della prova (che invece -la L. n. 604 del 1966, art. 5, pone inequivocabilmente a carico del datore di lavoro), quanto meno divaricare fra loro onere di allegazione e onere probatorio, nel senso di addossare il primo ad una delle parti in lite e il secondo all’altra, una scissione che non si rinviene in nessun altro caso nella giurisprudenza di legittimità. Invece, alla luce dei principi di diritto processuale, onere di allegazione e onere probatorio non possono che incombere sulla medesima parte, nel senso che chi ha l’onere di provare un fatto primario (costitutivo del diritto azionato o impeditivo, modificativo od estintivo dello stesso) ha altresì l’onere della relativa compiuta allegazione ‘.
Ancora più di recente, con ordinanza n. 2739/2024 la Cassazione ha confermato che ‘ spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di repêchage del dipendente licenziato , senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili ‘.
Ebbene, in questo caso, non solo parte convenuta -stante la sua contumacia -non ha offerto alcuna prova circa la legittimità della scelta espulsiva, del rispetto dei criteri osservati per la scelta del ricorrente come lavoratore da licenziare, dell’impossibilità di rioccuparlo in altro modo, ma -a monte -difettano le ragioni che hanno determinato la società al licenziamento del ricorrente.
La lettera di licenziamento del 18.10.2024 (doc. 10 fasc. ricorrente) testualmente recita: ‘ Gentile Facciamo seguito ai colloqui intercorsi, per comunicarLe il recesso dal rapporto di lavoro instaurato in data 02/11/2023. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo avrà effetto dal 31/10/2024. La ringraziamo per la collaborazione prestata e porgiamo distinti saluti ‘, senza esplicazione delle ragioni fondanti la scelta espulsiva, così violando il disposto di cui all’art. 2, co. 2 L. n. 604/1966, secondo cui ‘ La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato ‘, al successivo co. 3 stabilisce che
‘ Il licenziamento intimato senza l’osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace ‘.
Ora, l’art. 4 d.lgs. n. 23/2015 (rubricato ‘ vizi formali e procedurali ‘) prevede che ‘ Nell’ipotesi in cui il licenziamento sia intimato con violazione del requisito di motivazione di cui all’articolo 2, comma 2, della legge n. 604 del 1966… il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento ‘ e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria’; ma nel caso di specie il licenziamento è chiaramente privo di alcun supporto motivazionale scritto e di qualsivoglia giustificazione sostanziale e in tali casi, proprio in considerazione della formulazione dell’art. 4 d.lgs. n. 23/2015, il recesso dovrebbe ritenersi radicalmente inefficace per omessa motivazione e non per mera violazione del requisito di motivazione di cui all’art. 2 co. 2 L. n. 604/1966, giacché la violazione di tale requisito si rinviene nella carenza di specificità dei motivi (con conseguente applicazione dell’art. 4 d.lgs. n. 23/2015 prima parte), ma non nella diversa fattispecie di totale sua assenza.
Ebbene, sulla scorta di quanto affermato, va pronunziata la condanna datoriale alla reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro ex art. 2, co. 1, d.lgs. n. 23/2015, con corresponsione, ai sensi del co. 2, di ‘ un’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto – pari ad € 1.880,09 come indicato da parte ricorrente corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali ‘.
Inoltre, al ricorrente spetterà anche la retribuzione del mese di ottobre 2024, come risultante dal cedolino paga di cui al doc. 7 fasc. ricorrente comprendente anche il TFR e il trattamento di fine rapporto, per complessivi € 3.141,22, oltre accessori e rivalutazione monetaria come per legge.
Parte ricorrente ha provato la sussistenza dei fatti che costituiscono il fondamento della domanda fatta valere in giudizio, mediante la produzione in giudizio della lettera di assunzione e di licenziamento (doc. 4 e 10) e dei cedolini paga (doc. 7)
L’istante ha, quindi, dimostrato l’esecuzione della prestazione dedotta, dovendosi ricordare che nell’azione di adempimento, come quella in esame, ‘ il creditore è tenuto a provare soltanto l’esistenza del titolo, ma non l’inadempienza dell’obbligato, dovendo essere quest’ultimo a provare di aver adempiuto ‘ (Cass. Civ. sez. 3 n. 7027/01).
Dinanzi alle allegazioni della ricorrente la convenuta nulla ha opposto preferendo rimanere contumace. Va detto che, sebbene la scelta processuale della contumacia non consenta di fare applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., tale strategia difensiva non è invece idonea a revocare il normale riparto dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c., non potendo farsi carico alla parte costituita di provare fatti negativi quali la mancata corresponsione delle retribuzioni e delle altre competenze.
Nel caso de quo, come anticipato, le somme richieste dal ricorrente sono portate dalle buste paga prodotte (doc. 7 cit.) e, come noto, la busta paga ha natura di confessione stragiudiziale, sicché, giusta gli artt. 2734 e 2735 c.c., ha piena efficacia di prova legale, vincolante quanto alle indicazioni ivi contenute (v. ex multis . Cass. n. 2239/2017; Cass. n. 12769/2003); peraltro non sussistono altri elementi per ritenere che le buste paga riportino dati erronei ovvero falsi.
Le domande di parte attrice possono trovare pieno accoglimento per le ragioni appena indicate.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunziando, respinta ogni diversa istanza, deduzione, eccezione, così provvede:
– accoglie il ricorso;
– dichiara nullo il licenziamento comminato al ricorrente con lettera del 11.10.2024 e, per l’effetto, condanna a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e a corrispondergli un’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto -pari ad € 1.880,09 -corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e comunque non inferiore a 5 mensilità, dedotto l’ aliunde perceptum , oltre che al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali;
-condanna a corrispondere al ricorrente € 3.141,22, oltre accessori e rivalutazione monetaria come per legge; alla refusione delle spese di lite che si liquidano in € 3.500,00 per compensi professionali, oltre
– condanna accessori come per legge, con distrazione ai procuratori antistatari. Bergamo, il 09.07.2025
Il Giudice del Lavoro Dott. NOME COGNOME