Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31426 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31426 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27803-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2165/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/05/2022 R.G.N. 1624/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 27803/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 16/10/2024
CC
Rilevato che
La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado con la quale: a) era stato accertato il diritto di NOME COGNOME alle differenze retributive maturate presso RAGIONE_SOCIALE (da ora RAGIONE_SOCIALE), società che aveva svolto in regime di subappalto della RAGIONE_SOCIALE, servizi di portierato e reception presso gli uffici di Roma, occupati dapprima dalla società RAGIONE_SOCIALE e quindi dalla società RAGIONE_SOCIALE, servizi nell’ambito dei quali era stato impiegato il COGNOME , e la società datrice condannata al pagamento del relativo importo, oltre accessori; b) era stata accertata la natura ritorsiva del licenziamento per giusta causa intimato al dipendente con lettera del 18/21 marzo 2019, ordinata la relativa reintegrazione nel posto di lavoro e la società datrice condannata al pagamento di una somma pari alla retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, dal licenziamento alla effettiva reintegra, oltre che al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali;
la statuizione di conferma è stata fondata, quanto alle differenze retributive, sulla illegittimità della mancata erogazione, a decorrere dal giugno 2018, della voce aggiuntiva -indennità di funzione-, in quanto legata a qualità intrinseche della prestazione (avente ad oggetto servizi di reception) e non in correlazione, come viceversa sostenuto dalla società datrice, con il fatto che la prestazione di portierato resa dal Meli era stata espletata in favore di un soggetto (società RAGIONE_SOCIALE) diverso da quello attuale (società RAGIONE_SOCIALE; è stata inoltre fondata, in relazione alla riduzione dell’orario di lavoro, sull’esclusione della natura consensuale di tale riduzione, come dimostrato dalla richiesta del Meli di ripristino dell ‘orario originario ; quanto
all’addebito alla base del licenziamento, rappresentato dal parziale rifiuto di svolgimento di parte della prestazione (mansioni di ricevitoria e recapito) e dall’utilizzo di toni e parole ‘poco consone’ nei confronti della ‘funzione aziendale’ incaricata dal Cliente committente della gestione dei servizi esternalizzati, la Corte di merito ha ritenuto il rifiuto parziale della prestazione legittimo in quanto giustificato dal perdurante mancato adempimento degli obblighi retributivi per effetto della illegi ttima decurtazione dell’indennità di funzione e della illegittima riduzione dell’orario di lavoro; in relazione al secondo addebito, ha riscontrato la genericità sul punto della contestazione. Ha quindi ritenuto non rispondente al vero che il Meli non avesse opposto il proprio inadempimento a quello del datore di lavoro e osservato che la reazione del dipendente risultava p roporzionata all’entità dell’inadempimento datoriale; ha quindi escluso la applicabilità della sola tutela indennitaria alla luce della considerazione secondo la quale la locuzione <> di cui all’art. 18 comma 4 della legge n. 300/1970, nel testo novellato risultante dalla modifica introdotta dalla legge n. 92 del 2012, non deve intendersi come <> considerato nella sua sola matrice giuridica ma come fatto accertato nella sua globalità, ivi compresa la componente soggettiva; in questa prospettiva ha escluso la riconducibilità alla nozione di <>, ai fini della tutela applicabile, dell’ipo tesi di fatto sussistente ma privo di rilievo disciplinare; ha confermato, sulla scorta delle emergenze in atti la valutazione di ritorsività del licenziamento, configurato come motivo unico e determinante dell’adozione dell’atto di recesso;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso IVRI sulla base di cinque motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso; parte ricorrente ha depositato memoria;
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 130 c.c.n.l. applicato e omessa adeguata considerazione dell’elemento soggettivo della condotta del lavoratore e della relativa intenzionalità; sostiene che la condotta oggetto di addebito non rientrava nel novero delle condotte passibili di applicazione di sanzione conservativa per previsione collettiva e che la stessa, viceversa, andava ricondotta alla previsione di cui alla lettera c) dell’art. 130 c.c.n.l. rappresentando una mancanza di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto;
con il secondo motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione o falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 ed erronea valutazione del principio di specificità e di immutabilità della contestazione disciplinare; in particolare si duole del fatto che la Corte di appello aveva ritenuto incoerente la ricostruzione di IVRI nella comparsa di risposta di primo grado rispetto al fatto addebitato: lamenta la valutazione di genericità della contestazione che asserisce smentita dalla circostanza che il lavoratore era stato in grado di spiegare le proprie difese a riguardo in sede di giustificazione; assume violazione delle regole legali di interpretazione nella ricostruzione del contenuto della lettera di addebito;
3. con il terzo motivo di ricorso deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c. e dell’art. 345 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per erroneo inquadramento della fattispecie nell’ambito della eccezione di inadempimento, non rilevabile di ufficio; denunzia, inoltre , violazione dell’art. 112 c.p.c. sul rilievo che controparte non aveva in alcun modo, nelle difese originariamente spiegate, manifestato la volontà di collegare la condotta oggetto di addebito all’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.; assume che l’esame di tale questione risultava precluso dal fatto della relativa proposizione solo in secondo grado;
4. con il quarto motivo di ricorso deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del d. lgs. n. 23/2015 censurando la applicazione della tutela reintegratoria quale conseguenza dell’accertata illegittimità del licenziamento; argomenta in particolare che non ricorreva la manifesta insussistenza del fatto posto a base del recesso; si duole inoltre della esclusione del connotato di illiceità nella condotta del dipendente che -assume -avrebbe dovuto essere valutata in modo autonomo e distinto da quella tenuta dalla società, in coerenza del resto con la scelta processuale del lavoratore il quale nelle proprie difese non aveva intesto denunziare un nesso diretto e conseguenziale fra il preteso inadempimento datoriale e il fatto oggetto di addebito;
5. con il quinto motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione o falsa applicazione dell’art. 2 d. lgs. n. 23/2015 per avere la Corte di appello ritenuto erroneamente il licenziamento determinato da intento ritorsivo; contesta in particolare la valutazione di non illiceità della condotta del
dipendente, valutazione rispetto alla quale denunzia illogicità ed erroneità di motivazione;
il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di pertinenza con le effettive ragioni della decisione in punto di valutazione della irrilevanza disciplinare della condotta accertata e della sua configurabilità quale reazione legittima e proporzionata al grave inadempimento datoriale, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria. Nel ragionamento decisorio seguito dalla sentenza impugnata esula, infatti, ogni riferimento alla possibile riconducibilità della condotta accertata ad ipotesi sanzionate nel contratto collettivo in via conservativa, tema questo che in quanto attinente al profilo della tutela in concreto applicabile, risulta assorbito dalla valutazione di sostanziale irrilevanza disciplinare dei fatti oggetto di addebito. Parimenti inammissibili le censure intese ad una rivalutazione di circostanze fattuali in quanto espressione di un mero dissenso valutativo inidoneo a dare contezza dell’errore in tesi ascritto alla sentenza impugnata;
7. il secondo motivo di ricorso è inammissibile;
7.1. la sentenza impugnata ha ritenuto quanto che il secondo addebito, relativo alla ‘ discussione’ avuta dal Meli con la persona incaricata dalla società committente della gestione dei servizi esternalizzati, che la contestazione risultava generica ed evidenziato l’incoerenza rispetto ad essa della ricostruzione offerta dalla società nella memoria di costituzione di primo; secondo il giudice di appello tale ricostruzione pretendeva di individuare fatti materiali diversi da quelli oggetto di addebito di talché, sotto questo profilo, risultava giustificata la scelta del
giudice di prime cure di non dare corso all’istruttoria sulle circostanze capitolate da IVRI;
7.2. le critiche articolate con il motivo in esame sono inidonee alla valida impugnazione della decisione sul punto risultando a tal fine dirimente la considerazione dell’inosservanza, nella redazione del ricorso per cassazione, del precetto di cui all’ar t. 366, comma 1 n. 6 c.p.c. stante la mancata trascrizione o esposizione per riassunto degli atti alla base delle censure; in particolare, difetta la trascrizione delle difese articolate dalla società nella memoria di costituzione di primo grado, come indispensabile al fine del confronto con il contenuto della contestazione (riportata nella sentenza), confronto necessario per la verifica della fondatezza della valutazione di incoerenza delle difese spiegate da IVRI formulata dal giudice di secondo grado;
7.3. quanto alla deduzione relativa alla possibilità di piena esplicazione del diritto di difesa in relazione al secondo addebito, desumibile dalle giustificazioni presentate dal lavoratore, circostanza che secondo parte ricorrente avrebbe comunque dovuto indurre la Corte di merito ad escludere la genericità della contestazione, è da evidenziare che in base alla giurisprudenza di questa Corte il tenore delle giustificazioni rese dal dipendente costituisce solo un elemento di valutazione relativo alla verifica del difetto di specificità ( Cass. n. 9590/2018), fermo restando che il relativo apprezzamento costituisce valutazione riservata al giudice di merito (Cass. n. 13667/2018) e quindi sottratta al sindacato di legittimità, ove priva di illogicità ed incongruenze, come avvenuto nel caso di specie;
il terzo motivo deve essere respinto;
8.1. la sentenza impugnata ha affermato che il Meli aveva opposto il proprio inadempimento a quello del datore di lavoro, ponendoli quindi in relazione. Tale affermazione non è validamente censurata dall’odierno ricorrente in quanto la deduzione di violazione dell’art. 112 c.p.c., che alla stregua delle censura concretamente articolata denunzia in realtà un error in procedendo e non una violazione ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. come, viceversa, enunciato, non è sorretta dalla compiuta esposizione del fatto processuale e dalla trascrizione degli atti alla base delle censure, dei quali sono riportate in virgolettato solo alcune frasi, non sufficienti a sostanziare la denunzia di violazione dell’art. 112 c.p.c. . La esposizione delle ragioni di doglianza da parte del ricorrente in punto di rilievo d’ufficio dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., che si asserisce formulata solo in seconde cure dal lavoratore, risulta, in buona sostanza, affidata a un mero rinvio per relationem agli atti di causa laddove, venendo in rilievo la denunzia di error in procedendo, per il quale il giudice di legittimità è giudice del fatto processuale, onde consentire al collegio l’esame diretto degli atti, occorreva che parte ricorrente procedesse alla relativa trascrizione nella misura necessaria alla verifica della fondatezza delle critiche sulla base del solo atto di impugnazione (Cass. n. 23824/2019, Cass., n. 11738/2016, Cass., n. 12260/2012), come, viceversa, non avvenuto;
il quinto motivo, che per ragioni di ordine logico viene esaminato con priorità rispetto al quarto motivo, è inammissibile; invero, parte ricorrente, mediante la formale deduzione del vizio di cui all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., sviluppa censure non incentrate sul significato e la portata applicativa della disposizione richiamata, come suo onere in
relazione al vizio denunziato (Cass., n. n. 16700/2020, Cass. n. 24298/2016, Cass., n. 5353/2007, Cass. n. 11501/2006), ma intese a rimettere in discussione l’accertamento di fatto circa la sussistenza dell’intento ritorsivo alla base del recesso datoriale, accertamento astrattamente incrinabile solo dalla deduzione, ai sensi dell’attuale configurazione del vizio di moti vazione, di omesso esame di fatto controverso e decisivo, deduzione in concreto preclusa dalla sussistenza ex art. 348 ter , ultimo comma c.p.c. di <>, non avendo parte ricorrente, come suo onere, indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5947/2023, Cass. n. 26774/ 2019, Cass. n. 19001/2016, Cass. n. 5528/2014);
10 il quarto motivo è infondato;
10.1. occorre premettere che la sentenza impugnata ha ricondotto l’applicabilità della tutela reintegratoria ai sensi del novellato art. 18 comma 4 della legge n. 300/19709 alla insussistenza di un fatto connotato da antigiuridicità in quanto qualificato c ome reazione legittima all’inadempimento datoriale; ha quindi accertato sulla base di una serie di elementi valorizzati in via indiziaria che il recesso datoriale era stato ispirato da un intento ritorsivo, esclusivo e determinante, nei confronti del dipendente;
10.2. la prima affermazione, concernente la configurabilità di un’ipotesi di <> ai fini della selezione della tutela applicabile si sottrae alle censure articolate in quanto conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale <> (Cass. n. 12174/2019). In ogni caso assume rilievo dirimente l’accertamento della Corte di merito, non validamente impugnato in questa sede ( v. paragrafo 5), relativo alla natura ritorsiva dell’atto di recesso e quindi alla esistenza di un motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., con conseguente applicabilità della tutela reintegratoria ai sensi dell’art. 18 St. lav. nel testo novellato dalla legge n. 92/2012, applicabile alla fattispecie in esame in base alla data di instaurazione del rapporto di lavoro risalente, per come pacifico, al novembre 2012 ( v. ricorso per cassazione, pag. 2), fermo restando che analoga tutela reintegratoria sarebbe spettata anche in applicazione dell’art. 2 d. lgs. n. 23/2015, formalmente i nvocata dall’originario ricorrente,
11. al rigetto del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali ed pagamento, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali, dell’ulteriore importo del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 16 ottobre