Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6967 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6967 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23206-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE – ASSOCIAZIONE NAZIONALE DI FAMIGLIE DI PERSONE CON DISABILITA’ INTELLETTIVE E/O RELAZIONALI, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo STUDIO LEGALE COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 647/2023 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 04/10/2023 R.G.N. 655/2023;
Oggetto
Licenziamento ritorsivo
R.G.N. 23206/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 29/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Messina ha confermato la sentenza del locale Tribunale (a sua volta di rigetto dell’opposizione all’ordinanza resa in esito alla fase sommaria del rito di cui alla legge n. 92/2012) con cui era stata dichiarata la nullità del licenziamento disciplinare, perché ritorsivo, intimato con lettera del 5.7.2022 da ANFFAS Messina alla dipendente, infermiera professionale, NOME COGNOME con ordine di reintegrazione e condanna al pagamento delle retribuzioni e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal licenziamento all’effettiva reintegrazione;
la Corte di Messina ha, in particolare, osservato, previa ampia ricostruzione in fatto ed esaminata criticamente la sentenza di primo grado alla luce dei motivi di appello, che:
-i fatti oggetto di contestazione disciplinare (falsa dichiarazione in giudizio e falsa registrazione di orario del malore di una paziente soccorsa al fine di proteggere la precedente direttrice sanitaria, nell’ambito di vicenda risalente a novembre 2018) non erano dimostrati, per l’approssimatività degli orari in questione (tra le 14.45 e le 15.05), dovendosi escludere la falsità della deposizione o l’intenzionalità dell’imprecisione, non senza sottolineare la ‘macroscopica tardività’ della contestazione;
l’arbitrarietà della contestazione e l’insussistenza dei fatti contestati costituivano elementi caratterizzanti del motivo ritorsivo unico e determinante, unitamente a disparità di trattamento non giustificata;
andava conseguentemente applicata la tutela reale piena a prescindere dalla natura giuridica di RAGIONE_SOCIALE e dal numero dei dipendenti;
3. per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello propone ricorso ANFFAS Messina con 4 motivi; resiste la lavoratrice con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce violazione dell’ art. 39 CCNL ANFASS, lettera N, ove rinvia alla lettera M, per aver la C orte d’Appello r itenuto insussistente la causa di licenziamento (art. 360, n. 3, c.p.c.);
il motivo è inammissibile;
in primo luogo, perché non risulta prodotto il CCNL richiamato;
in secondo luogo, perché, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge (qui di CCNL), parte ricorrente chiede la rivalutazione dei fatti e della loro valutazione da parte della Corte di merito, che ha spiegato (p. 4) che: ‘ Il tribunale, ancora a monte, ha escluso la falsità della deposizione o quantomeno l’intenzionalità dell’imprecisione ‘, confermando poi tale argomentazione; sicché l’insistenza, nel motivo in esame, sulla connivenza dell’odierna controricorrente con la direttrice sanitaria per i fatti del 2018 non riguarda l’interpretazione della norma contrattuale collettiva, ma la ricostruzione dei fatti, non confrontandosi con la motivazione sul punto;
5. con il secondo motivo, parte ricorrente deduce violazione degli artt. 2119 c.c., 115 c.p.c., 5 legge n. 604/1966, in
relazione all’art. 360, n. 3, n. 4, n. 5 c.p.c., per non aver la Corte d’Appello ammesso prova testimoniale afferente la legittimità del licenziamento;
il motivo è inammissibile;
s econdo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. n. 3397/2024, n. 26874/2018, n. 19443/2011), in quanto una tale formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse;
8. in ogni caso, spettano al giudice di merito in via esclusiva la selezione e valutazione delle prove a base della decisione, e nel giudizio di Cassazione, che non costituisce ulteriore grado di merito, non è consentito ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame;
9. con il terzo motivo, parte ricorrente deduce violazione degli artt. 2697 c.c., 3 legge n. 108/1990, 1345 c.c., 132, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 4, c.p.c., sostenendo la mancata prova della ritorsività del licenziamento da parte della lavoratrice;
10. il motivo è infondato;
11. la sentenza impugnata risulta conforme ai principi di legittimità in materia di licenziamento ritorsivo e di onere della prova in materia, secondo i quali è ravvisabile il motivo ritorsivo, quale fattore unico e determinante del recesso, se la ragione addotta a suo fondamento risulta meramente formale, apparente o, comunque, pretestuosa; il giudice di merito può valorizzare a tal fine tutto il complesso degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli già considerati per escludere il giustificato motivo oggettivo, nel caso in cui questi elementi, da soli o nel concorso con altri, nella loro valutazione unitaria e globale consentano di ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso (Cass. n. 2725/2017, n. 26035/2018, n. 23583/2019, n. 17266/2024);
12. si tratta, quindi, di questione di prova; poiché la Corte territoriale ha ritenuto, con motivazione logica e congrua, raggiunta la prova della ritorsività del licenziamento, sulla base delle prove allegate dalla lavoratrice, sulla quale incombeva il relativo onere, il motivo risulta meramente contrappositivo in riferimento alla valutazione delle prove come operata nel merito, motivata congruamente e logicamente, per di più in una situazione processuale di pronuncia doppia conforme;
13. con il quarto motivo, viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 4 legge n. 108/1990, in relazione all’art. 360, n. 3, n. 4, n. 5, c.p.c.; si sostiene che la Corte territoriale non ha statuito sulla richiesta di dichiarare RAGIONE_SOCIALE
organizzazione di tendenza, sull’erroneo presupposto che, essendo nullo il licenziamento perché ritorsivo, era possibile applicare la tutela prevista dall’art. 18 legge n. 300/1970;
14. il motivo non è accoglibile, poiché il presupposto contestato non è erroneo, ma, al contrario, conforme a lla giurisprudenza di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, secondo cui, in tema di licenziamento, l’art. 4 della legge n. 108/1990, nel riconoscere alle cd. organizzazioni di tendenza il privilegio dell’inapplicabilità dell’art. 18 St. lav., fa salva l’ipotesi regolata dall’art. 3 sull’estensione della tutela reale ai licenziamenti nulli in quanto discriminatori o determinati da motivo di ritorsione o rappresaglia, sicché, in tale evenienza, va ordinata, anche nei confronti di dette associazioni, la reintegra del lavoratore, restando privo di rilievo il livello occupazionale dell’ente e la categoria di appartenenza del dipendente (Cass. n. 19695/2016);
15. le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, da distrarsi in favore dell’avvocata di parte controricorrente dichiaratasi anticipataria, seguono la soccombenza;
16. il rigetto dell’impugnazione determina il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 29 gennaio 2025.