LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Licenziamento ritorsivo: la Cassazione conferma nullità

La Corte di Cassazione ha confermato la nullità di un licenziamento ritorsivo intimato da una banca a un suo dirigente. I giudici hanno stabilito che, in assenza di una motivazione disciplinare fondata, il recesso datoriale deve considerarsi una reazione illegittima a comportamenti legittimi del lavoratore. La Corte ha ribadito che la prova del licenziamento ritorsivo può basarsi su presunzioni, e la sua valutazione è una questione di fatto riservata ai giudici di merito.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento Ritorsivo: la Cassazione fissa i paletti sulla prova

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione sul tema del licenziamento ritorsivo, un atto nullo perché basato su un motivo illecito e determinante. La Suprema Corte di Cassazione, confermando le decisioni dei giudici di merito, ha respinto il ricorso di un istituto di credito, ribadendo i principi fondamentali sulla ripartizione dell’onere della prova e sui limiti del sindacato di legittimità.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un dirigente di un istituto bancario licenziato nel 2016. L’azienda aveva motivato il recesso sulla base di presunte mancanze disciplinari. Tuttavia, sia il Tribunale in primo grado sia la Corte d’Appello hanno ritenuto che tali contestazioni fossero ‘palesemente prive di fondamento’. Analizzando l’intera carriera professionale del dirigente fino al momento del licenziamento, i giudici di merito hanno concluso che il recesso non era sorretto da una reale ‘giustificatezza’, ma costituiva una ‘reazione ingiusta e arbitraria a comportamenti legittimi del dipendente’. Di conseguenza, il licenziamento è stato dichiarato nullo per la sua natura ritorsiva, con l’applicazione delle tutele previste dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

L’Appello e il Ricorso in Cassazione

L’istituto di credito, soccombente in entrambi i gradi di giudizio, ha presentato ricorso in Cassazione articolando quattro motivi. In sintesi, la società lamentava la violazione di norme di legge e del contratto collettivo in merito alla giustificatezza del licenziamento, alla pretesa natura ritorsiva, al divieto di ‘praesumptio de praesumpto’ e a un presunto uso strumentale della malattia da parte del dirigente. L’obiettivo del ricorso era, di fatto, ottenere una nuova valutazione della vicenda.

La Prova del licenziamento ritorsivo secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili o infondati tutti i motivi del ricorso. I giudici hanno chiarito un punto cruciale: la valutazione sulla sussistenza di un licenziamento ritorsivo costituisce una quaestio facti, ovvero un accertamento di fatto riservato ai giudici di merito. Il ruolo della Cassazione non è quello di riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella della Corte d’Appello, ma solo di verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la coerenza logica della motivazione.

Nel caso specifico, i giudici di merito avevano accertato, con una ‘doppia conforme’ (decisione identica in primo e secondo grado), che le ragioni disciplinari addotte dalla banca erano pretestuose. Questa pretestuosità, unita ad altri elementi emersi nel corso del processo (come l’isolamento e la dequalificazione del dirigente), ha costituito la base presuntiva per affermare la natura ritorsiva ed esclusiva del licenziamento.

Limiti del Giudizio di Legittimità e la questione del licenziamento ritorsivo

La Suprema Corte ha ribadito che il datore di lavoro non può chiedere in sede di legittimità una diversa lettura delle circostanze fattuali. Il ricorso è stato giudicato come un tentativo di ottenere una rivalutazione del merito, mascherato sotto l’apparente denuncia di violazioni di legge. La Cassazione ha inoltre colto l’occasione per smentire l’esistenza di un presunto principio di ‘divieto di doppie presunzioni’ (praesumptum de praesumpto), definendolo inesistente nell’ordinamento.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato il rigetto del ricorso basandosi su principi consolidati. In primo luogo, ha sottolineato che la critica alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito esula dall’ambito del vizio di ‘violazione di legge’ previsto dall’art. 360, n. 3, c.p.c. Tale vizio presuppone che, partendo da un fatto accertato e non contestato, la norma sia stata applicata erroneamente. Nel caso di specie, la società ricorrente contestava proprio la ricostruzione dei fatti, proponendone una alternativa, attività preclusa in sede di legittimità.

In secondo luogo, la Corte ha ricordato che la prova del motivo illecito e determinante del licenziamento ritorsivo grava sul lavoratore. Tale prova, tuttavia, può essere fornita anche tramite presunzioni, tra le quali assume un ruolo fondamentale la dimostrazione dell’inesistenza del diverso motivo addotto dal datore di lavoro. L’accertamento che il recesso sia stato determinato esclusivamente da un intento ritorsivo è un giudizio di fatto, insindacabile in Cassazione se adeguatamente motivato, come nel caso in esame.

Infine, i motivi relativi al divieto di presunzioni e all’uso strumentale della malattia sono stati parimenti giudicati inammissibili perché, ancora una volta, miravano a contestare l’apprezzamento delle prove e dei fatti compiuto dai giudici di merito.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione rafforza la tutela contro il licenziamento ritorsivo e chiarisce i confini tra giudizio di merito e di legittimità. Le conclusioni pratiche sono significative:

1. Onere della Prova: Spetta al lavoratore dimostrare la natura ritorsiva del licenziamento, ma la prova della manifesta infondatezza delle giustificazioni addotte dal datore di lavoro costituisce un elemento presuntivo di primaria importanza.
2. Insindacabilità del Fatto: La valutazione sulla natura ritorsiva è un accertamento di fatto. Una volta che i giudici di merito hanno accertato, con motivazione logica e coerente, che il recesso è stato una vendetta, tale conclusione non può essere ribaltata in Cassazione semplicemente proponendo una diversa interpretazione degli eventi.
3. Centralità del Motivo Illecito: Per aversi nullità, il motivo ritorsivo deve essere l’unica e determinante ragione che ha spinto il datore di lavoro al licenziamento, degradando ogni altra giustificazione a mero pretesto. L’ordinanza conferma che la solidità della motivazione dei giudici di merito è la chiave per resistere a un eventuale ricorso in Cassazione.

Quando un licenziamento può essere considerato ritorsivo?
Quando rappresenta una reazione ingiusta e arbitraria a un comportamento legittimo del lavoratore e questo motivo illecito costituisce la ragione unica e determinante della decisione del datore di lavoro di recedere dal rapporto.

Chi deve provare che il licenziamento è ritorsivo?
L’onere della prova grava sul lavoratore. Tuttavia, egli può avvalersi di presunzioni, come la dimostrazione della totale inesistenza o pretestuosità del motivo disciplinare addotto dall’azienda a giustificazione del recesso.

La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti per decidere se un licenziamento è ritorsivo?
No. La valutazione se un licenziamento sia stato intimato per ritorsione è una ‘quaestio facti’, ovvero una questione di fatto, la cui decisione è riservata ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). La Corte di Cassazione interviene solo per verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non per riesaminare le prove.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati