Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6344 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6344 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.
3627/2023 r.g., proposto
da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrente
contro
COGNOME NOME , elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 836/2022 pubblicata in data 02/12/2022, n.r.g. 387/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 11/12/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.NOME COGNOME era stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE dall’01/06/2013 come quadro AD3 QUADRI ai sensi del CCNL fino al 09/04/2021, quando era stato licenziato per giusta causa sulla base della contestazione disciplinare di aver eseguito missioni in luoghi diversi da quelli concordati con la datrice di lavoro.
OGGETTO: licenziamento disciplinare – mancata ammissione dei mezzi istruttori chiesti dal datore di lavoro -motivazione – necessità
Impugnava il licenziamento sostenendone la nullità, in quanto volto a celare un sostanziale motivo oggettivo. Deduceva comunque l’insussistenza dei fatti contestati e di aver presentato una querela dopo il licenziamento per violazione della privacy , con conseguente illegittimità del licenziamento per violazione dell’art. 1, co. 218, L. n. 205/2017.
2.Costituitosi il contradditorio, all’esito della fase sommaria prevista dal rito introdotto dalla legge n. 92/2012, il Tribunale di Ravenna accoglieva l’impugnazione, ritenendo tardiva la contestazione dei fatti, da reputarsi dunque superati, nonché generica perché relativa a fatti non specificati (come ad esempio l’omissione di relazioni) . Riteneva altresì insussistenti i fatti e comunque inidonei ad integrare la giusta causa di recesso, avendo la società ritenuto legittimi i diversi luoghi in cui il dipendente si era trovato in missione rispetto a quelli da lui indicati nei piani concordati con la datrice di lavoro.
All’esito dell’opposizione della società il Tribunale confermava l’ordinanza ed anzi rideterminava in aumento la retribuzione globale di fatto alla quale parametrare il risarcimento del danno, quantificandola in euro 5.002,28.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello accoglieva solo in parte il gravame interposto dalla società, rideterminando l’indennità risarcitoria nel limite delle dodici mensilità (ferma la medesima retribuzione parametro) e con detrazione dell’ aliunde perceptum , quindi condannava il lavoratore a restituire quanto percepito in esubero.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
dirimente è l’accertamento dell’esistenza storica e giuridica dei fatti posti a base del licenziamento;
il primo gruppo di fatti contestati attiene alle missioni estere, con i quali non si rimprovera al dipendente di avere omesso la prestazione lavorativa oppure di averla resa in modo abnorme e/o insoddisfacente, né di aver lucrato sui rimborsi mediante la richiesta di spese non realmente sostenute;
con riguardo a questo primo gruppo, le omissioni imputate al COGNOME non rientravano fra i compiti a lui assegnati nel contratto individuale;
considerato poi che il COGNOME era quadro, godeva di autonomia nel programmare i propri spostamenti e nel modificarli eventualmente, senza alcun obbligo di riferire all’azienda tali modifiche;
ogni spostamento del percorso è avvenuto alla luce del sole, è stato documentato tempestivamente e rimborsato dalla società senza alcuna contestazione; la prima modifica del percorso risale a giugno 2020, laddove la prima contestazione è avvenuta ad aprile 2021;
quanto all’utilizzo di carta intestata alla società, come ha spiegato il COGNOME quella era l’unica fornitagli dalla datrice di lavoro, sicché non avrebbe mai potuto utilizzarne un’altra;
quanto all’uso di un indirizzo mail facente capo alla società, questo uso risale all’anno 2014 ed è avvenuto sempre per scopi aziendali e con la consapevolezza della società, come dimostrato dalle mails prodotte dal lavoratore;
con riguardo alla contestazione dell’omesso inoltro di relazioni quindicinali o mensili sull’andamento commerciale del settore di competenza del Ridoni, risulta che questi per otre sette anni, mai ha relazionato alla direzione commerciale, senza alcuna contestazione da parte della società; da ciò si evince che non vi era alcun obbligo di relazionare, o, seppure vi fosse, la tolleranza della società sarebbe tale da rendere del tutto privo di rilievo disciplinare l’omissione contestata;
nel contratto individuale di lavoro non era previsto un obbligo di relazione, ma solo di incontro periodico per analizzare e commentare l’andamento dell’attività;
se ne deduce che fra le parti si era instaurata una prassi per cui le predette relazioni erano rese oralmente ed informalmente mediante incontri o contatti con l’ufficio commerciale, senza necessità di una relazione scritta;
l’ultimo gruppo di fatti contestati attiene a pagamenti di ordini a mezzo ‘triangolazioni’ con società apparentemente non collegate con l’ordinante;
al riguardo gli adempimenti contabili non rientravano pacificamente nel mansionario del COGNOME; inoltre i documenti da lui prodotti
smentiscono che vi fossero accordi sottobanco fra lui e le società estere; dalle mails prodotte si evince univocamente come l’ufficio contabilità chiedeva a chi dovessero essere imputati detti pagamenti una volta accreditati, sicché gli ordini sono stati regolarmente incassati, fatturati ed evasi, con tanto di firma della società datrice di lavoro sulle fatture di vendita e sulla documentazione contabile;
i clienti oggetto di contestazione erano clienti abituali della società da diversi anni, ben prima delle singole forniture oggetto di causa; gli stessi hanno sempre pagato da luoghi diversi, fuori dai loro territori;
quindi i comportamenti del COGNOME si inserivano in un ambito aziendale nel quale vi erano vagli e verifiche tali, da escludere che i primi potessero avvenire senza il consenso o addirittura dietro indicazione del datore di lavoro;
la tematica delle lamentate ‘triangolazioni’ dei pagamenti al fine asserito di eludere un embargo, seppure fosse avvenuto, lo è stato per ragioni aziendali ed organizzative che non possono essere fatte ricadere sul COGNOME, che non si occupava di contabilità;
quindi anche questo gruppo di addebiti attiene a fatti privi di antigiuridicità;
ne consegue che la tutela è quella dell’art. 18, co. 4, L. n. 300/1970;
la liquidazione dell’indennità risarcitoria si basa sull’ultima busta paga emessa dalla società e quindi è del tutto legittima.
4.- Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
5.- COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
6.- La ricorrente ha depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta l’ error in procedendo , ossia violazione degli artt. 116 e 132 c.p.c., 111 Cost., per avere la Corte territoriale deciso nel merito senza ammettere i mezzi istruttori da essa richiesti e senza motivare sul punto.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha evidenziato che le circostanze relative alle
modifiche del piano missioni potevano dirsi pacifiche in fatto, risultando controversa solo la loro eventuale rilevanza disciplinare. Su questa premessa, utilizzando le prove documentali già esistenti (come il contratto individuale di lavoro e la declaratoria di quadro dettata dal CCNL applicato al rapporto di lavoro) nonché ulteriori circostanze pacifiche (come il fatto che quelle modifiche apportate dal dipendente non implicassero mancata prestazione lavorativa, oppure inesatto adempimento, ed il fatto che ogni spostamento del percorso era avvenuto alla luce del sole, tempestivamente documentato dal dipendente e regolarmente rimborsato dalla società senza alcuna contestazione) i giudici del reclamo hanno ritenuto adeguatamente formato il proprio convincimento circa l’inesistenza di un disvalore giuridico in quel primo gruppo di fatti, in conseguenza o dell’insussistenza di un obbligo di concordare eventuali modifiche del piano missioni, o della sussistenza comunque di una prassi volta ad esonerare il dipendente da quell’obbligo.
Da questa articolata motivazione si evince l’implicito ma univoco rigetto delle istanze istruttorie di interrogatorio formale e di prova testimoniale, articolate dalla società, in quanto ritenute superflue.
Nello stesso senso è stata la motivazione relativa agli altri fatti contestati, come ad esempio le omesse relazioni periodiche (quindicinali e mensili) alla direzione commerciale: la Corte territoriale ha evidenziato che questa condotta di asserita omissione era durata oltre sette anni e avrebbe riguardato oltre duecento relazioni, sicché ne ha dedotto che era inverosimile la sussistenza di un obbligo di tal fatta a fronte di una mancata contestazione della società per tutto quel tempo.
In conclusione, il vizio motivazionale non sussiste, neppure nei ristretti limiti oggi imposti dall’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., atteso che quella resa dalla Corte territoriale è certamente una motivazione rispettosa del c.d. minimo costituzionale. Essa è infatti idonea a far comprendere il percorso logico-giuridico che ha condotto quei giudici a non ammettere -sia pure implicitamente -le istanze istruttorie articolate dalla società datrice di lavoro. Peraltro, è del tutto legittima la forma implicita del rigetto dell’istanze istruttorie, purché la relativa motivazione sia evincibile aliunde (Cass. n. 35148/2021), come nel caso in esame.
La censura per il resto è inammissibile. In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento. Diversamente, laddove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. sez. un. 30/09/2020, n. 20867). Nel caso di specie la società neppure ha articolato, sotto questo profilo, il motivo di ricorso ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. , né ha indicato quale sarebbe il fatto storico decisivo, di cui i giudici del reclamo avrebbero omesso l’esame.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 2086, 2094, 2103 e 2104 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che il lavoratore in trasferta non svolga attività lavorativa e quindi non sia tenuto al rispetto dei piani missione concordati con il datore di lavoro.
Il motivo è inammissibile, perché frutto di un travisamento della sentenza impugnata.
Contrariamente all’assunto del la ricorrente, i giudici del reclamo non hanno ritenuto che durante la trasferta (o la missione) il dipendente non presti attività lavorativa. Piuttosto hanno semplicemente ritenuto che il COGNOME, in virtù della qualifica di quadro posseduta, avesse autonomia nella gestione delle missioni, tale da consentirgli anche la loro modifica rispetto al piano originariamente concordato con la società datrice di lavoro, specie in mancanza di puntuali riferimenti, contrattuali e normativi, sulla necessità di rispettare pedissequamente quei piani e di richiedere il previo consenso datoriale per la loro modifica. A fronte di queste affermazioni di principio da
parte della Corte territoriale, non censurate dalla ricorrente, diviene privo di rilievo il fatto che in tal modo il COGNOME potesse sottrarsi al potere datoriale di controllo (addebito non contestato), oppure esponesse la datrice di lavoro ad eventuale responsabilità ex art. 2087 c.c. per l’esposizione a rischi diversi ed ulteriori rispetto a quelli programmati relativamente alle missioni oggetto del piano datoriale (addebito non contestato), con conseguente esclusione dalla copertura assicurativa INAIL (addebito non contestato).
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ dell’art. 2119 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto insussistente la giusta causa di licenziamento pur a fronte del mancato, volontario e reiterato rispetto delle direttive datoriali, integranti vera e propria insubordinazione grave.
Il motivo è assorbito dal rigetto dei primi due.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ dell’art. 7 L. n. 300/1970 per avere la Corte territoriale ritenuto generica la contestazione disciplinare.
Il motivo è assorbito dal rigetto dei primi due.
5.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in