Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20310 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20310 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 873-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4402/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/11/2023 R.G.N. 1863/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Licenziamento disciplinare -video su piattaforma social -CCNL Commercio valutazione di gravità
R.G.N. 873/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 23/04/2025
CC
Fatti di causa
NOME COGNOME dipendente RAGIONE_SOCIALE con mansioni di commessa addetta alle vendite dal 1993 presso esercizio commerciale in Roma, IV livello CCNL Commercio, impugnava innanzi al Tribunale di Roma il licenziamento individuale per giusta intimatole il 9.8.2022 per grave violazione degli obblighi di cui all’art. 233, comma 1 e 2 CCNL Commercio, a seguito di contestazione disciplinare relativa alla diffusione tramite piattaforma social ( Tik-Tok ) di messaggi o commenti offensivi attinenti all’azienda, deducendo l’illegittimità del licenziamento per mancanza di proporzionalità e ragionevolezza tra il fatto contestato e la sanzione irrogata, per l’assenza di intenzionalità, per assoluto difetto di immediatezza e contestualità e per violazione delle disposizioni del CCNL Commercio.
All’esito della fase sommaria, il Tribunale accoglieva il ricorso della lavoratrice, condannando la società alla reintegra e al pagamento dell’indennità risarcitoria dal licenziamento alla reintegrazione; il medesimo Tribunale, successivamente, accoglieva l’opposizione della società e dichiarava la sussistenza di giusta causa di recesso, rilevando che nella fase sommaria era stata sottovalutata l’entità dell’accaduto, in special modo sotto l’aspetto della capacità divulgativa del mezzo social utilizzato, e p er l’effetto domino che la condotta avrebbe potuto avere sugli altri dipendenti, nella quasi totalità giovani in media under 35, fascia di età fidelizzata all’uso dei social , spesso anche come strumento per manifestare il proprio personale malcontento.
L a Corte d’Appello di Roma accoglieva il reclamo della lavoratrice e annullava il licenziamento illegittimo, con applicazione delle conseguenze reintegratorie e risarcitorie di cui all’art. 18, comma 4, Stat. lav. ; osservava che il fatto commesso, alla luce del regolamento interno e del contratto collettivo, non era punibile con sanzione espulsiva, ma unicamente con sanzione conservativa; in particolare, interpretava il breve video postato dalla lavoratrice sulla piattaforma social Tik-Tok , al rientro per il turno pomeridiano, come privo di contenuto denigratorio nei confronti del datore di lavoro, contenente sì espressioni inurbane (‘ rottura di palle ‘ e simili), ma abbastanza colloquiali, e che esprimevano noia e insoddisfazione per la generale attività lavorativa, senza disprezzo per l’azienda, elemento sul quale si erano invece fondate la contestazione disciplinare e la sanzione espulsiva; giudicava, pertanto, la condotta contestata ‘ al di fuori del perimetro applicativo dell’art. 2119 c.c. ‘ (cfr . pp. 5 – 7 della motivazione della sentenza impugnata).
Per la cassazione della sentenza d’appello propone ricorso la società con 2 motivi; resiste con controricorso la lavoratrice; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, parte ricorrente deduce violazione dell’art 238, punto 5, e dell’art. 233, primo comma, del CCNL applicato al rapporto (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.); denuncia erroneità della sentenza perché la Corte di merito, pur
riconoscendo che le espressioni della lavoratrice erano ‘ indubbiamente inurbane ‘ e dunque non conformi ai doveri civici, ha violato ovvero applicato falsamente dette norme, che prevedono il licenziamento nei confronti di dipendente che tiene condotta non conforme ai doveri civici.
Il motivo presenta, in primo luogo. profili di inammissibilità, in difetto di produzione integrale del CCNL invocato, in quanto la conoscibilità d’ufficio di un contratto collettivo si atteggia diversamente a seconda che si versi in un’ipotesi di violazione del contratto collettivo nazionale di lavoro privatistico o di un contratto collettivo nazionale del pubblico impiego, atteso che, mentre nel primo caso il contratto è conoscibile solo con la collaborazione delle parti, la cui iniziativa, sostanziandosi nell’adempimento di un onere di allegazione e produzione, è assoggettata alle regole processuali sulla distribuzione dell’onere della prova e sul contraddittorio (che non vengono meno neppure nell’ipotesi di acquisizione giudiziale ex art. 425, comma 4, c.p.c.), nel secondo caso il giudice procede con mezzi propri, secondo il principio iura novit curia (Cass n. 6394/2019).
Esso non è comunque meritevole di accoglimento, perché, se è vero che costituisce illecito disciplinare la violazione da parte del lavoratore dell’obbligo di tenere una condotta conforme ai civici doveri, ai sensi dell’art. 233 del CCNL, è altrettanto vero che il successivo art. 238 sanziona con il licenziamento disciplinare senza preavviso (non ogni violazione cosiffatta, ma) soltanto la grave violazione degli obblighi di cui all’art. 233.
E tale valutazione di (non) gravità è stata operata in fatto dalla sentenza impugnata, chiarendo che ,’ anche a voler ritenere che il contenuto del video possa effettivamente
apprezzarsi quale pubblica diffusione di messaggi e commenti attinenti all’azienda, la sentenza reclamata non ha correttamente valutato il connotato della gravità della violazione agli obblighi dettati dall’art. 233 CCNL, che sola legittima il licenziamento per giusta causa ex art. 238 CCNL ‘, norma contrattuale collettiva che, così come il regolamento interno, descrive fattispecie tutte connotate da evidente gravità del fatto commesso, sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo che di quello oggettivo , mentre ‘l a pubblicazione di un breve video di pochi minuti diretto a palesare la noia, la stanchezza e l’insofferenza avvertita durante la settimana lavorativa di certo non rientra in queste categorie ‘ .
Nella motivazione della sentenza impugnata è stato anche precisato che il giudizio di non elevata gravità non muta a voler ritenere che il video sia stato realizzato durante l’attività lavorativa (immediatamente dopo la pausa pranzo), in quanto tale comportamento sarebbe eventualmente riconducibile all’ipotesi del ‘ ritardo nell’inizio della prestazione lavorativa ‘, sanzionato dal contratto collettivo con la multa, e che l’applicazione, secondo il contratto collettivo, di sanzione conservativa sarebbe comunque risultata idonea a impedire il paventato effetto emulativo nei confronti degli altri dipendenti.
Del resto, non consta nel caso in esame nemmeno una critica diretta nei confronti del datore di lavoro (cfr., per peculiare fattispecie di annullamento di licenziamento per pubblicazione su Facebook di frasi denigratorie della società datrice di lavoro, Cass. n. 26446/2014, nonché, sul diritto di critica del lavoratore nei confronti del datore nel perimetro del criterio della continenza formale e di quello della pertinenza, Cass. n. 3627/2025).
Con il secondo motivo, la sentenza della Corte territoriale viene censurata per o messo esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art 360, comma 1, n. 5, c.p.c.). Parte ricorrente sostiene che la Corte d’Appello, nell’esame della fattispecie, ha omesso di valutare un elemento decisivo, cioè che, tra le affermazioni contenute nel jingle di cui è causa, era contenuta la dichiarazione ‘ sei peggio dei piccioni ‘, di rinforzo del messaggio di disprezzo e insofferenza, offensivo nei confronti del datore di lavoro, comparato con un animale infestante, appunto i piccioni.
Il motivo non è fondato.
Non ricorre il vizio di omessa pronuncia (o omesso esame di fatto decisivo) ove la decisione comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione, da ritenersi ravvisabile quando la pretesa non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logicogiuridica della pronuncia, nel senso che la domanda o l’eccezione, pur non espressamente trattate, siano superate e travolte dalla soluzione di altra questione, il cui esame presuppone, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza (cfr. Cass. n. 25710/2024).
La motivazione della sentenza impugnata è fondata sulla valutazione complessiva del video postato su piattaforma social , giudicato inurbano, ma non in modo così grave da realizzare illecito disciplinare da sanzionare con il licenziamento, per le ragioni sopra illustrate, e che valgono anche per lo specifico riferimento ai volatili sottolineato nel motivo in esame.
In ragione della soccombenza, parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario.
Al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 23 aprile 2025.