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Licenziamento per vantaggio personale: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha annullato il licenziamento di un casellante autostradale che aveva volontariamente interrotto il servizio per 55 minuti. La Corte ha stabilito che, per configurare un licenziamento per vantaggio personale, il “vantaggio” deve essere un fine ulteriore e distinto dalla semplice inosservanza delle regole, come la pausa dal lavoro. La mera inoperosità, essendo una conseguenza diretta della condotta, non integra la fattispecie prevista dal CCNL per la sanzione espulsiva, che richiede un dolo specifico.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento per vantaggio personale: il vantaggio deve essere un fine, non una conseguenza

Il tema del licenziamento per vantaggio personale è stato recentemente oggetto di un’importante pronuncia della Corte di Cassazione. La sentenza analizza il caso di un dipendente licenziato per aver interrotto il proprio servizio, con l’accusa di averlo fatto per trarne un vantaggio personale. La Corte ha fornito un’interpretazione restrittiva della norma contrattuale, stabilendo che il semplice non lavorare non costituisce di per sé quel ‘vantaggio’ idoneo a giustificare la sanzione espulsiva. Vediamo nel dettaglio la vicenda.

I Fatti del Caso

Un esattore di una società concessionaria di autostrade, in servizio durante un turno notturno, veniva accusato di aver manualmente abbassato la sbarra chiudi-pista del proprio casello, rimanendo inattivo per 55 minuti. Secondo l’azienda, questo comportamento, oltre a creare disagi all’utenza e a minare la sicurezza, configurava una violazione delle disposizioni aziendali finalizzata a trarre un vantaggio per sé, consistente nella ‘inoperosità assoluta in orario di lavoro’.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano confermato la legittimità del licenziamento, ritenendo che la condotta del lavoratore rientrasse nella fattispecie prevista dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) che sanziona con il licenziamento la ‘mancata applicazione volontaria delle disposizioni impartite dall’Azienda al fine di trarre vantaggio per sé o per l’Azienda stessa’.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un nuovo esame. I giudici di legittimità hanno ritenuto errata l’interpretazione della norma contrattuale fornita dai giudici di merito.

Secondo la Suprema Corte, la clausola del CCNL che punisce con il licenziamento la condotta del dipendente volta a ottenere un ‘vantaggio’ richiede un elemento soggettivo specifico, simile al concetto penalistico di ‘dolo specifico’. Il ‘vantaggio’ non può coincidere con la conseguenza diretta e immediata della violazione disciplinare, ma deve rappresentare un risultato ulteriore, un quid pluris che il lavoratore si prefigge di ottenere attraverso la sua azione.

Le Motivazioni della Sentenza sul licenziamento per vantaggio personale

Il cuore della motivazione risiede nella distinzione tra la condotta illecita e il fine per cui essa viene posta in essere. La Corte ha spiegato che il ‘vantaggio’ a cui la norma si riferisce deve essere concettualmente separato dall’azione. Nel caso di specie, l’inoperosità del dipendente per 55 minuti non è il ‘fine’ della sua condotta, ma ne è la ‘conseguenza immanente’. Chiudere la pista, in assenza di giustificazioni, comporta inevitabilmente il non lavorare.

Per giustificare un licenziamento per vantaggio personale ai sensi di quella specifica norma, l’azienda avrebbe dovuto dimostrare che il lavoratore mirava a un risultato ulteriore e distinto. Per esempio, se avesse utilizzato quel tempo per svolgere un’altra attività retribuita o per ottenere un beneficio economico illecito.

La Corte ha inoltre operato un’analisi sistematica del codice disciplinare previsto dal CCNL. Ha evidenziato come altre norme prevedano sanzioni conservative (come la sospensione) per condotte quali lo svolgimento negligente del lavoro o la mancata applicazione volontaria delle disposizioni aziendali. Questo dimostra che non ogni violazione volontaria delle regole è di per sé causa di licenziamento. L’elemento distintivo che rende la condotta suscettibile della massima sanzione è proprio la finalizzazione della stessa a un risultato vantaggioso non legittimamente conseguibile, che non può esaurirsi nella semplice utilità insita nell’inosservanza della regola.

Le Conclusioni

Questa sentenza stabilisce un principio fondamentale nell’interpretazione delle norme disciplinari contrattuali. Il licenziamento per giusta causa, soprattutto quando legato a clausole che richiedono un fine specifico come il ‘trarre vantaggio’, deve essere fondato su una prova rigorosa di tale finalità. Il vantaggio non può essere presunto o fatto coincidere con l’effetto naturale della condotta. Deve essere un obiettivo esterno e ulteriore che ha motivato l’azione del dipendente. Di conseguenza, la Corte d’Appello dovrà riesaminare il caso, verificando se la condotta del lavoratore possa rientrare in altre fattispecie disciplinari, verosimilmente punite con sanzioni conservative, conformandosi al principio di diritto enunciato dalla Cassazione.

Quando è legittimo un licenziamento per ‘mancata applicazione delle regole al fine di trarre un vantaggio’?
Secondo la Corte di Cassazione, tale licenziamento è legittimo solo se il ‘vantaggio’ perseguito dal lavoratore rappresenta un risultato ulteriore ed esterno rispetto alla semplice conseguenza della sua condotta. Non può coincidere con l’utilità insita nella stessa inosservanza, come la pausa dal lavoro.

La semplice inoperosità durante l’orario di lavoro può essere considerata un ‘vantaggio personale’ tale da giustificare il licenziamento?
No. La sentenza chiarisce che l’inoperosità è il riflesso, la conseguenza immanente della condotta (es. chiudere la pista di un casello). Non costituisce quel ‘quid pluris’ concettualmente separato dall’azione che la specifica norma contrattuale richiede per configurare la sanzione espulsiva.

Come si distinguono le infrazioni punibili con il licenziamento da quelle punibili con sanzioni conservative come la sospensione?
La distinzione risiede nell’elemento distintivo previsto dalla norma. Nel caso specifico, la mancata applicazione volontaria delle prescrizioni aziendali è punita con sanzioni conservative. Diventa suscettibile di licenziamento solo se si aggiunge l’elemento della finalizzazione della condotta a un risultato vantaggioso, non legittimamente conseguibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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