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Licenziamento per note spese: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di licenziamento per note spese errate. Una lavoratrice era stata licenziata per aver presentato rimborsi spese con dati non corretti, ottenendo somme non dovute. I giudici di merito avevano qualificato la condotta come grave negligenza, non come dolo, ritenendo il licenziamento una sanzione sproporzionata e concedendo alla lavoratrice un’indennità risarcitoria. La Cassazione ha confermato questa decisione, rigettando sia il ricorso della dipendente, che invocava la buona fede, sia quello dell’azienda, che sosteneva la sussistenza della giusta causa. La sentenza ribadisce che la valutazione sulla gravità della condotta e sulla proporzionalità della sanzione spetta ai giudici di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata.

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Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento per note spese errate: la Cassazione fa chiarezza sulla proporzionalità

Il licenziamento per note spese errate o gonfiate è una questione delicata che si colloca al confine tra negligenza e frode. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione offre spunti fondamentali per comprendere come i giudici debbano valutare la gravità della condotta del dipendente e la proporzionalità della sanzione espulsiva. Il caso analizzato riguarda una lavoratrice licenziata per aver presentato rimborsi spese contenenti un dato errato, con conseguente percezione di somme non dovute.

I fatti del caso: errore o stratagemma?

Una società operante nel settore della ristorazione contestava a una sua dipendente di aver presentato, per diversi mesi, note di rimborso spese indicando una cilindrata del veicolo errata. Questo errore aveva portato all’erogazione di rimborsi chilometrici superiori al dovuto per un totale di alcune centinaia di euro. A seguito delle giustificazioni fornite dalla lavoratrice, l’azienda procedeva con il licenziamento per giusta causa, ritenendo che la condotta avesse irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario.

Il percorso giudiziario e le decisioni di merito

Il caso approdava in tribunale. In un primo momento, il giudice accoglieva il ricorso della lavoratrice, disponendone la reintegrazione. Successivamente, in sede di opposizione, lo stesso tribunale dichiarava risolto il rapporto di lavoro, condannando però l’azienda a pagare un’indennità risarcitoria pari a venti mensilità di retribuzione.

La Corte d’Appello, chiamata a decidere sui reclami di entrambe le parti, confermava la decisione di primo grado. Secondo i giudici d’appello, la condotta della dipendente non integrava il dolo (cioè l’intenzione di frodare l’azienda), ma era piuttosto riconducibile a una grave negligenza. Pur riconoscendo la gravità del comportamento, la Corte riteneva la sanzione del licenziamento eccessiva e sproporzionata rispetto all’addebito, applicando quindi la tutela indennitaria prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

La decisione della Cassazione sul licenziamento per note spese

La vicenda è giunta infine dinanzi alla Corte di Cassazione, con ricorsi presentati sia dalla lavoratrice (ricorso principale) che dall’azienda (ricorso incidentale).

Il ricorso della lavoratrice

La dipendente sosteneva che il fatto contestato, dal punto di vista giuridico, fosse insussistente, avendo agito in buona fede. Inoltre, affermava che la sua condotta rientrasse in quelle mancanze per cui il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di categoria prevedeva solo sanzioni conservative (come una multa o una sospensione), e non il licenziamento.

La Cassazione ha respinto queste argomentazioni, chiarendo che la valutazione sulla buona fede o sulla colpa grave è un accertamento di fatto che spetta al giudice di merito e, se motivato in modo congruo, non può essere riesaminato in sede di legittimità. Ha inoltre confermato l’interpretazione della Corte d’Appello secondo cui la negligente compilazione delle note spese non rientrava nelle specifiche infrazioni punite con sanzioni conservative dal CCNL.

Il ricorso dell’azienda

L’azienda, dal canto suo, insisteva sulla sussistenza della giusta causa, descrivendo la condotta della lavoratrice come uno “stratagemma” volto a incassare rimborsi non dovuti, caratterizzato da dolo e tale da ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia.

Anche questo ricorso è stato respinto, in quanto ritenuto inammissibile. La Suprema Corte ha ribadito che la valutazione sulla gravità del comportamento e sulla proporzionalità della sanzione è un compito esclusivo del giudice di merito. La Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica e coerente per escludere il dolo e ritenere il licenziamento una misura sproporzionata, e tale valutazione non poteva essere messa in discussione in Cassazione.

Le motivazioni

La decisione della Cassazione si fonda su principi consolidati in materia di licenziamento disciplinare. Il punto centrale è che il giudice, nel valutare la legittimità di un licenziamento, non deve limitarsi a verificare l’esistenza del fatto materiale contestato, ma deve compiere un giudizio di proporzionalità tra la violazione commessa e la sanzione applicata.

Questo giudizio deve tenere conto di tutti gli elementi del caso concreto: la natura del rapporto di lavoro, il grado di fiducia richiesto, l’intensità dell’elemento soggettivo (dolo o colpa), le circostanze della condotta e l’eventuale danno arrecato all’azienda. In questo caso, i giudici di merito hanno ritenuto che una condotta gravemente negligente, ma non dolosa, non fosse sufficiente a giustificare la sanzione espulsiva, la più grave prevista dall’ordinamento, optando per una tutela risarcitoria che sancisce la fine del rapporto ma riconosce al lavoratore un’indennità.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un principio cruciale: non ogni irregolarità amministrativa, anche se ripetuta e fonte di un indebito profitto, legittima automaticamente un licenziamento per giusta causa. È onere del datore di lavoro dimostrare non solo il fatto storico, ma anche un livello di colpa del dipendente (preferibilmente l’intento fraudolento) tale da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto. Per i lavoratori, la sentenza è un monito sull’importanza della diligenza, poiché anche la negligenza grave può portare alla perdita del posto di lavoro, sebbene con un paracadute economico. Per le aziende, rappresenta un richiamo alla necessità di valutare con equilibrio e proporzionalità le mancanze dei propri dipendenti prima di adottare la massima sanzione disciplinare.

Un errore nella compilazione delle note spese giustifica sempre un licenziamento per giusta causa?
No. Secondo la Corte, l’errore deve essere valutato nel suo contesto. Se è frutto di grave negligenza ma non di dolo (intento di frodare), e la sanzione del licenziamento risulta sproporzionata, il rapporto di lavoro può essere risolto con il pagamento di un’indennità risarcitoria anziché con un licenziamento per giusta causa.

Cosa significa che la valutazione della gravità della condotta è un compito del giudice di merito?
Significa che spetta al Tribunale e alla Corte d’Appello analizzare i fatti, le prove e il comportamento delle parti per decidere se una condotta è così grave da rompere il legame di fiducia con il datore di lavoro. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione di questi giudici è illogica, contraddittoria o viola la legge, ma non può riesaminare i fatti.

Perché il licenziamento è stato considerato sproporzionato in questo caso?
La Corte d’Appello, con decisione confermata dalla Cassazione, ha ritenuto che, sebbene la condotta della lavoratrice fosse gravemente negligente, non era stato dimostrato l’intento di ingannare l’azienda. Pertanto, la sanzione massima del licenziamento era eccessiva rispetto alla colpa accertata, giustificando una tutela indennitaria ma non la risoluzione del rapporto per giusta causa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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