Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23053 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 23053 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 3239-2021 proposto da:
NOME, domiciliata in ROMA INDICOGNOME presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDICOGNOME, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
ricorrente incidentale avverso la sentenza n. 577/2020 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 02/12/2020 R.G.N. 331/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
11/06/2024 dal AVV_NOTAIO Dott. COGNOME.
Oggetto
Licenziamento ex lege n. 92 del 2012
RNUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 11/06/2024
CC
RILEVATO CHE
Con lettera del 28.2.2018 RAGIONE_SOCIALE contestava alla dipendente NOME, in servizio presso la sede di Campagna Nord, l’addebito di avere presentato n. sei note di rimborso spese, per i mesi da giugno a novembre 2017, con l’indicazion e di errata cilindrata del veicolo e con conseguente rimborso non dovuto di euro 365,20 nonché una nota spese, a dicembre 2017, sempre con indicazione di errata cilindrata del veicolo e rimborso non dovuto in ragione dell’avvenuto trasferimento a Campagna Nord.
Con comunicazione del 22.3.2018, dopo avere fornito giustificazioni, la lavoratrice veniva licenziata per giusta causa e senza preavviso.
Impugnato il recesso il Tribunale di Salerno, con ordinanza del 5.11.2018, accoglieva il ricorso disponendo la reintegrazione nel posto di lavoro dell’RAGIONE_SOCIALE. In sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, il medesimo Tribunale dichiarava, invece, risolto il rapporto di lavoro e condannava l’azienda al pagamento di una indennità risarcitoria pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto goduta.
Sui reclami proposti da entrambe le parti la Corte di appello di Salerno, con la sentenza n. 577/2020, confermava la pronuncia di primo grado.
La Corte territoriale rilevava che: a) il fatto storico non era controverso in giudizio; b) l’errata indicazione dei dati sulle schede appariva riconducibile ad una grave negligenza della lavoratrice e non ad un accordo intercorso tra questa ed il direttore del punto vendita, autore anche esso degli stessi fatti oggetto della contestazione disciplinare ricevuta dall’RAGIONE_SOCIALE; c) il dolo, nel comportamento dell’incolpata, non era stato dimostrato dalla datrice di lavoro; d) la condotta, sia pure colposa, assumeva carattere di gravità; e) andava esclusa la punibilità del fatto con sanzione conservativa; f) la sanzione espulsiva appariva, però, eccessiva rispetto all’addebito posto in essere per cui andava applicata la tutela di cui all’art. 18 co. 5 legge n. 300 del 1970.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione affidato ad un motivo cui ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE che ha presentato, a sua volta, ricorso incidentale sulla base di due motivi.
La società ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il ricorso principale la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto: in particolare, l’erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 1 co. 42 della legge n. 92 del 2012 in ordine alla insussistenza del fatto contestato, sostenendo che, ai fini disciplinari, occorreva avere riguardo, secondo i principi della giurisprudenza di legittimità, alla nozione di fatto giuridico e non di fatto materiale e che, nel caso in esame, dalle risultanze istruttorie e dalle stesse considerazioni della Corte territoriale, era emersa la buona fede della lavoratrice e, quindi, la inconfigurabilità della condotta addebitata. Ella deduce, poi, anche la non corretta applicazione dell’art. 18 St. lav. in ordine alla tutela applicata perché, a differenza di quanto ritenuto dai giudici di seconde cure in modo contraddittorio, l’infedele compilazione della nota spese rientrava nelle fattispecie contemplate dagli artt. 137 e 138 CCNL di categoria allorquando viene prevista la sanzione conservativa per le mancanze relative alla trasgressione dell’osservanza del CCNL.
Con il primo motivo del ricorso incidentale si censura la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 co. n. 3 cpc, degli artt. 1104, 2106, 2118, 2119 cc, 3 legge n. 604/1966 e 18 legge n. 300 del 1970, per avere la Corte territoriale escluso la sussistenza della giusta causa ovvero, in via subordinata, del giustificato motivo soggettivo, in ordine al fatto contestato e non controverso, che rappresentava uno ‘stratagemma’ per incassare un rimborso aggiuntivo e non dovuto di euro 365,20 e di euro 430,50 in luogo di
euro 338,10, caratterizzato da dolo e costituente una irrimediabile lesione del vincolo fiduciario.
Con il secondo motivo la ricorrente incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, degli artt. 115 cpc, 2727 e 2729 cc, per la manifesta implausibilità dell’interferenza tratta dalla Corte distrettuale, sull a base di fatti noti, in ordine alla volontarietà della condotta contestata.
Il motivo di cui al ricorso principale è in parte inammissibile e in parte infondato.
E’ opportuno premettere, e ciò è rilevante anche ai fini dello scrutinio del primo motivo presentato dalla società ricorrente incidentale, che la Corte territoriale ha ritenuto che la condotta posta in essere dalla RAGIONE_SOCIALE fosse caratterizzata da colpa grave, escludendo, pertanto, sia la tesi della lavoratrice secondo cui il comportamento era stato improntato a buona fede, sia la posizione della RAGIONE_SOCIALE per la quale, invece, si verteva in una situazione di dolo nella compilazione infedele delle note di rimborso, diretto specificamente ad ingannare il datore di lavoro.
Orbene, in tema di licenziamento disciplinare, la valutazione della gravità del comportamento e della sua idoneità a ledere irrimediabilmente la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente (giudizio da effettuarsi considerando la natura e la qualità del rapporto, la qualità ed il grado del vincolo di fiducia connesso al rapporto, l’entità della violazione commessa e l’intensità dell’elemento soggettivo), è compito del giudice di merito che, adeguatamente motivata, è insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 1788/2011).
Nel caso in esame, la Corte territoriale, con una motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, nuova formulazione ratione temporis applicabile, ha ritenuto che non fosse emersa l’esistenza di un preventivo accordo tra la RAGIONE_SOCIALE ed il direttore NOME COGNOME tale da fare opinare una collusione volta a frodare l’azienda; analogamente, ha considerato la condotta palesemente negligente, attestante un chiaro indice di noncuranza e di
inosservanza delle disposizioni di servizio e degli obblighi di diligenza e fedeltà.
Si verte, pertanto, in un accertamento di fatto, congruamente motivato e, in quanto tale, insindacabile in sede di legittimità.
Il motivo è invece infondato nella parte in cui si critica la contraddittorietà della gravata sentenza per avere, da un lato, riconosciuto la violazione dell’art. 137 CCNL di categoria e, dall’altro, nel non avere considerato che l’art. 138 del CCNL preved e la sanzione conservativa per le trasgressioni al CCNL.
I giudici di seconde cure, infatti, in linea con i principi di recente affermati da questa Corte (Cass. n. 11665/2022), hanno esaminato le fattispecie sanzionatorie di cui all’art. 137 CCNL, sottolineando che la disposizione contemplava infrazioni che riguardavano obblighi tendenti a mantenere la dignità ed il decoro nell’ambiente lavorativo, nonché a prevenire l’assenteismo, ad impedire l’abuso della posizione lavorativa per la rivelazione di segreti aziendali, ad evitare il conseguimento di indebiti profitti connessi ad incarichi esterni che potessero pregiudicare il datore di lavoro; hanno, altresì, scrutinato le ipotesi previste dall’art. 138 CCNL evidenziando che esso riguardava casi strettamente ricollegati all’espletamento delle mansioni sul luogo di lavoro; assenze o ritardi sul lavoro, danni al materiale aziendale e la violazione del divieto di firmare; infine, hanno escluso anche il riferimento a violazioni pregiudizievoli per la disciplina, la morale, l’igiene o la sicurezza dell’azienda; hanno concluso, quindi, nel senso che la negligente compilazione delle note di rimborso carburante non era riconducibile a nessuna delle ipotesi sopra esaminate e che la misura espulsiva era, però, eccessiva e non proporzionata, concedendo la tutela ex art. 18 co. 5 legge n. 300 del 1970.
Alcuna contraddizione è, quindi, ravvisabile nel ragionamento logico-giuridico dei giudici di seconde cure perché, secondo l’impianto decisorio della sentenza, è stato ritenuto che la negligente compilazione delle note di rimborso carburante non si riferisse alla condotta che il dipendente deve osservare sul luogo di
lavoro e durante l’espletamento di mansioni lavorative né si poneva quale condotta contraria alla disciplina morale, igiene e sicurezza dell’azienda, escludendola dall’ambito applicativo delle due disposizioni contrattuali collettive (137 e 138 CCNL di categoria).
Invero, effettivamente il comportamento addebitato, che si è riverberato sul trattamento economico percepito in più occasioni (per un totale di n. sette volte) e sempre solo con un vantaggio economico della lavoratrice, si pone su di un piano fattuale successivo a quello dell’espletamento dell’attività lavorativa e avrebbe potuto essere evitato con una maggiore attenzione nella redazione delle note o con una interlocuzione preventiva con gli uffici economici dell’azienda onde verificare la esatta compilazio ne delle schede di rimborso del carburante.
Venendo, poi, all’esame del primo motivo del ricorso incidentale, esso è inammissibile.
Sulle problematiche relative all’elemento soggettivo, si è già detto con riguardo al ricorso principale.
Va, poi, osservato che la Corte territoriale non ha escluso la esistenza della giusta causa (perché ha ritenuto che il fatto contestato sussistesse, che era rilevante sul piano disciplinare e comprometteva la fiducia datoriale) ma ha considerato sproporzionata la sanzione applicata rispetto alla condotta, in quanto eccessiva.
Anche in questo caso si verte in ipotesi di accertamento di fatto (Cass. n. 26010/2018) in quanto, in tema di licenziamento per giusta causa, l’accertamento dei fatti ed il successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva adottata sono demandati all’apprezzamento del giudice di merito, che anche qualora riscontri l’astratta corrispondenza dell’infrazione contestata alla fattispecie tipizzata contrattualmente -è tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con giudizio che, se sorretto da adeguata e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità (Cass. n. 26010/2018).
Il secondo motivo del ricorso incidentale è parimenti inammissibile.
Le censure ivi formulate, al di là delle denunziate violazioni di legge, si limitano, in sostanza, in una richiesta di riesame del merito della causa attraverso una nuova valutazione delle risultanze processuali in quanto sono appunto finalizzate ad ottenere una revisione degli accertamenti di fatto compiuti dalla Corte territoriale (Cass. n. 6519/2019) che, con motivazione giuridicamente congrua, è giunta alla conclusione che si era in presenza di una condotta colposa e non dolosa.
Sotto questo profilo, non è ravvisabile alcun vizio del ragionamento presuntivo posto a base della decisione in quanto, nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 cc, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit , sicché il giudice può trarre il suo libero convi ncimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza (Cass. n. 1163/2020). In tema di prova per presunzioni, inoltre, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’ “id quod plerumque accidit” , i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito (Cass. n. 27266/2023).
In tema di ricorso per cassazione, poi, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove
legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 20867/2020; Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.
Alla stregua di quanto esposto il ricorso principale deve essere rigettato mentre quello incidentale va dichiarato inammissibile.
Stante la reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio vanno compensate tra le parti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale. Compensa interamente tra le parti le spese del presente giudizio. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, l’11 giugno 2024