Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6398 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6398 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23524/2023 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in presso l’indirizzo PEC dei difensori risultanti dai registri di giustizia, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrente
contro
COGNOME NOME COGNOME elett. dom.to in presso l’indirizzo PEC del difensore risultante dai registri di giustizia , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova n. 166/2023 pubblicata in data 27/09/2023, n.r.g. 64/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 15/01/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.NOME COGNOME era stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE fino al 31/05/2021, quando era stato licenziato per giusta causa sulla base delle
OGGETTO:
licenziamento disciplinare – insubordinazione grave valutazione del giudice di merito – necessità
contestazioni disciplinari del 03 e 04 maggio 2021, con cui gli erano state addebitate condotte di insubordinazione.
Adìva il Tribunale di Massa per ottenere l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento, il suo annullamento, nonché la condanna della datrice di lavoro alla sua reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento, in suo favore, dell’indennità risarcitoria nella misura prevista dall’art. 18 L. n. 300/1970.
2.Costituitosi il contraddittorio, all’esito della fase c.d. sommaria introdotta dalla legge n. 92/2012, il Tribunale rigettava l’impugnazione e poi, con sentenza, rigettava l’opposizione proposta dal lavoratore limitatamente al profilo della sproporzione rispetto alle previsioni del CCNL, del codice disciplinare e della previsione di una sanzione soltanto conservativa.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello, in accoglimento del gravame interposto dal COGNOME, annullava il licenziamento, condannava la società alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e a pagargli l’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto nel limite massimo di dodici mensilità, detratto quanto percepito in altre attività lavorative, come emergenti dalla documentazione prodotta dal reclamante.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
nella prima missiva del 03/05/2021 la società contestava episodi di insubordinazione nonché la recidiva, richiamando due precedenti episodi che erano stati puniti con sanzione conservativa;
con la seconda del 04/05/2021 la società contestava un ulteriore episodio avvenuto quello stesso giorno in termini di insubordinazione e di minaccia ai superiori, nonché la stessa recidiva già contestata;
dopo un periodo di sospensione cautelare, il licenziamento è stato un unico atto riferito ad entrambe le contestazioni disciplinari, nonché alla recidiva;
i fatti storici sono pacifici nel loro accadimento storico nonché nella loro qualificazione in termini di ‘grave insubordinazione, plurime
offese e minacce ai superiori’, come valutata dal Tribunale in modo condivisibile;
tuttavia nella sentenza di primo grado la valutazione della giusta causa si concentra soltanto sulla condotta integrante ‘grave insubordinazione’, ritenuta idonea a giustificare il licenziamento, e quindi non viene esplicitamente affrontata la valutazione degli altri comportamenti integranti ‘offese e minacce ai superiori’ alla luce del CCNL, in quanto la grave insubordinazione è stata ritenuta e considerata come comportamento complessivo per avere il COGNOME mancato nel doveroso rispetto nella relazione gerarchica;
analogamente non viene affrontato dal Tribunale la rilevanza della recidiva, in quanto assorbito;
tuttavia, nel codice disciplinare aziendale, approvato dal CdA il 30/12/2016, il comportamento irriguardoso nei confronti dei superiori è punito con la sospensione fino a cinque giorni; le minacce nei confronti dei superiori sono punite con la sospensione sino a dieci giorni; il comportamento oltraggioso verso colleghi o verso l’utenza è punto con la sospensione fino a dieci giorni solo se seguito da ‘vie di fatto’;
dunque le condotte oltraggiose e minacciose verso i superiori potevano giustificare l’irrogazione di una sanzione conservativa, ma non il licenziamento, a prescindere dalla gravità delle offese o delle minacce e dal fatto che siano state rivolte verso più di un superiore, atteso che la stessa società ha dichiaratamente effettuato una valutazione unitaria dei fatti del 30 aprile e del 04 maggio 2021, fatti che si caratterizzano per essere correlati ad una istanza di ferie che il lavoratore lamentava non essere stata accolta;
quanto alla recidiva, l’art. 68 CCNL prevede che il licenziamento con preavviso possa essere applicato nei confronti di quei lavoratori che nel corso del biennio precedente siano incorsi in almeno 3 sospensioni per un totale di 20 giorni oppure almeno 4 sospensioni per 35 giorni complessivi;
nel caso in esame è pacifico e comunque documentato che per i due precedenti disciplinari richiamati nelle lettere di contestazione
disciplinare sono stati comminati complessivamente 11 giorni di sospensione, sicché neppure la recidiva è idonea a giustificare la sanzione espulsiva;
non può condividersi l’assunto del Tribunale secondo cui la grave insubordinazione può essere equiparata, in via di valutazione discrezionale della giusta causa, alla ‘ insubordinazione seguita da vie di fatto ‘ prevista dal CCNL come idonea a giustificare il licenziamento, poiché tale potere del giudice deve arrestarsi in presenza di condotte che il CCNL considera meritevoli di sanzione conservativa;
l’insubordinazione risulta espressamente prevista e tipizzata dal CCNL fra le cause di licenziamento solo se seguita da vie di fatto, ossia dallo scontro fisico, che nel caso di specie non si è verificato e comunque non è oggetto di contestazione disciplinare;
nel caso in esame l’insubordinazione si riassume nel comportamento gravemente irriguardoso verso i superiori, apostrofati e minacciati pubblicamente, ma per tali condotte il CCNL prevede la mera sanzione conservativa;
non è possibile applicare la previsione più ampia del codice disciplinare aziendale, che considera il licenziamento giustificato da ‘grave insubordinazione ai superiori e comunque insubordinazione o diverbio litigioso seguito da vie di fatto’, poiché si tratta di disciplina di formazione unilaterale, che pertanto non può prevalere sulla diversa previsione del CCNL;
il licenziamento è pertanto illegittimo, con le conseguenze di cui all’art. 18, co. 4, L. n. 300/1970.
4.Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5.- COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
6.- La società ricorrente ha depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 1362 ss. c.c., in relazione agli artt. 68 CCNL per i dipendenti di imprese e società
esercenti servizi ambientali, 3, 4 e 6 del codice disciplinare aziendale; ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 2119 c.c. e 18, co. 4, L. n. 300/1970, per avere la Corte territoriale ritenuto tassativi i casi previsti dal CCNL come idonei a giustificare il licenziamento, senza considerare che, ai sensi dell’art. 1365 c.c., ‘ quando in un contratto si è espresso un caso al fine di spiegare un patto, non si presumono esclusi i casi non espressi ai quali, secondo ragione, può estendersi lo stesso patto ‘ e che quindi la previsione della ‘ insubordinazione seguita da vie di fatto ‘ è una mera esemplificazione e pertanto non esaustiva dell’ampia fattispecie dell’insubordinazione.
Il motivo è fondato.
La Corte territoriale ha ritenuto che il CCNL prevedesse l’insubordinazione come idonea a giustificare il licenziamento solo se seguita da ‘vie di fatto’, perché in tal senso è la previsione dell’art. 68, senza considerare che effettivamente quelle previsioni sono soltanto esemplificative e indicano quindi la scala valoriale da tenere presente ai fini dell’accertamento della giusta causa. Dunque effettivamente è astrattamente possibile individuare altre ipotesi di gravità dell’insubordinazione equivalenti o analoghe alle ‘vie di fatto’ proprio in virtù dell’art. 1365 c.c. Questo accertamento non è stato compiuto dalla Corte territoriale, in quanto caduta in errore sul carattere ritenuto vincolante in senso tassativo della previsione del CCNL circa le condotte idonee a giustificare il licenziamento. In tal senso la decisione non è conforme a diritto e, segnatamente, all’art. 1365 c.c.
Va infatti considerato che l’insubordinazione è stricto sensu l’inosservanza della scala gerarchica presente nell’organigramma aziendale, realizzata o mediante il rifiuto di adempiere alle disposizioni impartite dai superiori oppure mediante qualunque altro comportamento idoneo a pregiudicarne l’esecuzione nel quadro dell’organizzazione aziendale (Cass. n. 9635/2016).
Posta questa nozione, qualora tale inosservanza non si concretizzi soltanto nella mancata esecuzione o attuazione di un ordine o di una direttiva, ma si manifesti altresì con comportamenti ingiuriosi e minacciosi, si è in presenza di un quid pluris , che il giudice di merito è chiamato ad apprezzare, perché può far assurgere l’insubordinazione ad un grado di
gravità tale da essere equiparabile a quello delle ‘vie di fatto’ e quindi integrare la giusta causa, ex art. 2119 c.c., proprio alla luce di quel criterio di gravità esemplificato dalle parti sociali. Quindi il giudice di merito è chiamato in concreto a verificare le modalità con cui è stata realizzata l’insubordinazione e, soprattutto, a valutarne la gravità apprezzando non soltanto il contesto in cui si è verificata, ma altresì le condotte ulteriori e/o le modalità attuativa che ne hanno integrato e, in ipotesi, aggravato il disvalore disciplinare.
D’altronde, anche nel codice disciplinare come riportato da entrambe le parti nei rispettivi atti -le previsioni di sanzioni conservative (artt. 3 e 4) sono sempre relative alla ‘partecipazione a diverbio litigioso o oltraggioso’, mentre il licenziamento senza preavviso è previsto, oltre che per l’insubordinazione, per il ‘diverbio litigioso seguito da vie di fatto’. Ciò come esattamente evidenzia la ricorrente -impone di distinguere la ‘partecipazione al diverbio’ dal ‘diverbio’, perché la prima è condotta meno grave del secondo, tanto da meritare una sanzione conservativa.
La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio, affinché venga rinnovata la valutazione della gravità delle condotte contestate al lavoratore, alla luce della scala valoriale complessiva desumibile dal contratto collettivo. Questa valutazione dovrà comunque tenere conto del principio di diritto -più volte affermato da questa Corte -secondo cui la previsione, da parte del contratto collettivo o del codice disciplinare, della sanzione espulsiva non è vincolante per il giudice, poiché il giudizio di gravità e di proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice ex art. 2119 c.c., ossia alla luce della nozione legale di giusta causa (o di giustificato motivo soggettivo), avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, sebbene la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisca uno (ma soltanto uno) dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di fonte legale, ossia utilizzata dall’art. 2119 c.c. (Cass. n. 16784/2020; Cass. n 33811/2021) , nonché del principio in forza del quale ‘ La previsione, nella contrattazione collettiva, di una sanzione conservativa consente al giudice di discostarsi da essa e ritenere la legittimità del licenziamento tutte le volte in cui accerti che le parti non hanno inteso escludere, per i casi di maggiore
gravità o per quelli in cui ricorrano elementi aggiuntivi rispetto alla fattispecie tipizzata, l’irrogazione della sanzione espulsiva; in tali ipotesi è quindi necessario che il giudice valuti, in concreto, se il comportamento tenuto dal lavoratore è idoneo a recidere il rapporto di fiducia con il datore di lavoro, rendendo impossibile la prosecuzione del rapporto e così giustificando il recesso datoriale ‘ (Cass. 36427 2023).
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ossia la violenta sottrazione del foglio di giustificazioni che stava redigendo la dott.ssa NOME COGNOME mentre il COGNOME dava le predette giustificazioni verbalmente. Precisa che tale fatto era incluso nella contestazione disciplinare del 04 maggio 2021.
Il motivo è inammissibile: se è vero che la Corte territoriale ha omesso di esaminare questa ulteriore condotta, è altresì vero che non ne è dimostrata la ‘decisività’ richiesta ai fini della configurabilità del vizio prospettato. A tal fine va evidenziato che è infondata la tesi della ricorrente, secondo cui la sottrazione violenta del foglio integrerebbe le ‘vie di fatto’, per le quali è invece necessario uno scontro fisico fra due o più persone, del tutto escluso dai giudici di merito nel caso in esame.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 3 L. n. 604/1966, 18 L. n. 300/1970 e 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di valutare se la grave insubordinazione, pur ritenuta pacifica, potesse essere ricondotta se non alla giusta causa, almeno al giustificato motivo soggettivo. Infine sostiene che incorre in omessa pronunzia il giudice che ometta di pronunziarsi, anche d’ufficio, sulla possibilità di convertire un licenziamento per giusta causa in uno per giustificato motivo soggettivo.
Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, dichiara inammissibile il secondo e assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Genova, in diversa composizione, in relazione al motivo accolto, nonché per la regolazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in