Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9081 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9081 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17199-2023 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME COGNOME E SOCI, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2607/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 20/06/2023 R.G.N. 3121/2022;
Oggetto
Licenziamento ex lege n. 92 del 2012
R.G.N. 17199/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 15/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n. 2607/2023, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Nola che, rigettando il ricorso in opposizione ex lege n. 92 del 2012, aveva respinto le domande di NOME COGNOME proposte nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, (RAGIONE_SOCIALE relative all’impugnativa del licenziamento per giusta causa intimatogli il 26.2.2020.
Il provvedimento di recesso era stato adottato per avere il COGNOME, con qualifica di Quadro Professional, reiteratamente e senza autorizzazione alcuna, effettuato pause pranzo di circa due ore (invece dei prescritti 60 minuti) e/o anticipato l’uscita dall’Azienda, conseguentemente riducendo in maniera illegittima il tempo giornaliero di presenza al lavoro (obbligatoriamente di otto ore), nei giorni e orari indicati nella lettera di contestazione del 18.2.2020.
I giudici di seconde cure hanno rilevato che: a) i fatti addebitati, verificatisi in ventisei giornate lavorative nell’arco di un periodo di tempo compreso tra il mese di gennaio 2020 ed il 14.2.2020, erano da considerarsi pacifici e, comunque, dimostrati dalla prova orale raccolta; b) il COGNOME, per la qualifica rivestita, era sottoposto all’osservanza di un orario di lavoro, registrato con il nuovo sistema ‘Single Badging’; c) non vi era stata alcuna autorizzazione del Responsabile per permessi e/o assenze; d) il comportamento addebitato non era inquadrabile in quelli puniti dalla contrattazione collettiva con sanzione conservativa; e) già nel dicembre del 2019 il COGNOME era stato bonariamente richiamato all’osservanza dell’orario di lavoro; f) non ri levava l’assenza di recidiva atteso che la condotta posta in essere era, per la sua gravità, tale da legittimare l’irrogazione di un licenziamento senza causa.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui il Centro
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La società ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 17 D.lgs. n. 66/2003, in relazione al primo comma dell’art. 360 n. 3 e n. 5 cpc, nonché il vizio di motivazione, per avere la Corte di appello reputato che il lavoratore, nella richiamata qualità professionale da lui rivestita (Quadro Professional 2° livello), fosse obbligato a stringenti vincoli orari, anche con riguardo alla successiva introduzione del meccanismo del ‘Single Badging’ in quanto ritenuto, comunque, non confliggent e con l’obbligo di rispetto dell’orario di lavoro di cui all’art. 10 CCSL.
Il motivo è infondato.
La tesi del ricorrente è fondata sul fatto che, ai sensi dell’art. 17, capo V, co. a) del D.lgs. n. 66/2003, che prevede deroghe in materia di ‘orario di lavoro’ in favore del personale direttivo dell’azienda, egli, quale Quadro Professional di 2° livello , per la qualifica rivestita non sarebbe stato soggetto all’osservanza dell’orario di lavoro.
Orbene, la norma di legge invocata testualmente prescrive: «Nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, le disposizioni di cui agli articoli 3, 4, 5, 7, 8, 12 e 13 non si applicano ai lavoratori la cui durata dell’orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell’attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi e, in particolare, quando si tratta: a) di dirigenti, di personale direttivo delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo;
di manodopera familiare;
di lavoratori nel settore liturgico delle chiese e delle comunità religiose;
di prestazioni rese nell’ambito di rapporti di lavoro a domicilio e di telelavoro»
La suddetta disposizione va, poi, coordinata con l’art. 10, Titolo II, CCSL, applicabile al rapporto di lavoro in esame, che prevede che ‘L’orario di lavoro giornaliero dei lavoratori addetti al turno centrale (quadri, impiegati e operai), di regola, è dalle h. 8,00 alle ore 17,00, con un’ora di intervallo non retribuito; sono fatte salve, a livello aziendale, diverse articolazioni dell’ora rio di lavoro giornaliero per il turno centrale. Per i quadri e gli impiegati addetti al turno centrale si applicherà un sistema di flessibilità dell’orario giornaliero (orario in entrata dalle h. 8,00 alle ore 9,30, calcolato a decorrere dal primo dodicesimo di ora utile)’ .
Dalle risultanze processuali è poi emerso che le modalità del nuovo sistema ‘Single Badging’ riguardavano anche il personale Professional e che l’orario di lavoro contrattualmente previsto, con l’introduzione del sistema non era cambiato.
Condivisibilmente, pertanto, a parere di questo Collegio, la Corte territoriale ha escluso che l’odierno ricorrente non fosse assoggettato ad un orario di lavoro in quanto: a) l’art. 17 del D.lgs. n. 66/2003, ai fini della esclusione della limitazione del l’orario di lavoro, richiede la qualifica di dirigente ovvero di personale direttivo di aziende o di altre persone con poteri di decisione autonoma: categorie nelle quali non rientrava il COGNOME non risultando che egli avesse poteri decisionali autonomi o che svolgesse funzioni direttive quale preposto a singoli servizi o sezioni dell’azienda con la diretta responsabile di essi ovvero svolgesse funzioni rappresentative o vicarie, essendo solo in tali fattispecie equiparabili i dirigenti al personale direttivo indicato dalla norma; b) la contrattazione collettiva, per l’osservanza di un orario di lavoro giornaliero, richiama espressamente anche la qualifica di Quadro e ciò a prescindere dal riconoscimento dell’indennità di funzione incidente, eventualmente, sul riconoscimento del lavoro straordinario; c) il COGNOME era a conoscenza di dovere osservare un orario di lavoro tanto è che, nelle giustificazioni rese, aveva evidenziato di avere lavorato per un orario eccedente a quello previsto.
Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 23 e 24 CCSL, dell’art. 7 St. lav, in relazione al primo comma dell’art. 360 n. 3 e n. 5 cpc, per avere la Corte
territoriale reputato erroneamente la sussistenza, in capo ad esso COGNOME, di condotte sistematiche e reiterate integranti violazioni delle disposizioni contrattuali, atte a configurare una giusta causa di licenziamento: in particolare, si obietta che la sanzione espulsiva senza preavviso appariva illegittima oltreché sproporzionata (in quanto il fatto commesso era inquadrabile nella fattispecie di cui all’art. 23 lett. b) del CCSL) e che lo stesso comportamento, tenuto nei mesi precedenti quelli della contestazione disciplinare, era stato in sostanza tollerato per cui, da un lato, la contestazione era intempestiva e, dall’altro, la condotta addebitata non poteva essere ritenuta sistematica e reiterata.
Anche tale motivo è infondato.
La Corte territoriale si è, infatti, attenuta ai consolidati principi statuiti in sede di legittimità secondo cui, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nella attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, ma la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all’art. 2119 cod. civ. (Cass. n. 17321/2020; Cass n. 3283/2020; Cass. n. 13865/2019), mentre è vincolante la previsione della contrattazione collettiva se, invece, per il fatto addebitato sia prevista, in modo tipizzato ovvero desunta attraverso l’interpretazione di una clausola elastica e generale, l’applicazione di una sanzione conservativa (Cass. n. 8718/2017; Cass. n. 9223/2015; Cass. n. 11665/2022), a meno che il giudice non accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva (Cass. n. 8621/2020; Cass. n. 9223/2015) ovvero quando siano presenti elementi aggiuntivi, estranei o aggravanti rispetto alla previsione contrattuale (Cass. n. 36427/2023).
Nella fattispecie, la Corte partenopea, con un corretto procedimento di sussunzione, ha escluso che i fatti addebitati (ed accertati) rientrassero nell’ambito applicativo dell’art. 23 lett. b) del CCSL che, per la sua formulazione, punisce con sanzione conservativa il singolo episodio di ritardo o la singola sospensione dal lavoro, ravvisando, invece, nella fattispecie in esame, una serie sistematica e reiterata di comportamento che violavano l’osservanza dell’orario di lavoro caratterizzati, peraltro, da una indifferenza alle regole e al richiamo rivolto al dipendente, effettuato già nel dicembre 2019, alla necessità di attenersi scrupolosamente al rispetto dell’orario contrattuale.
Analogamente la Corte territoriale ha correttamente escluso l’inquadramento del fatto nella previsione dell’art. 24 del CCSL (che prevede la sanzione del licenziamento con preavviso nei casi di recidiva specifica nelle mancanze di cui all’art. 23, per non essere stata contestata alcuna recidiva e perché, nel caso de quo , ciò che veniva in rilievo non era una recidiva sull’inosservanza dell’orario di lavoro bensì, come detto, un comportamento sistematico e reiterato improntato a disattendere volutamente, pur essendovi stato già un richiamo senza l’irrogazione di alcuna sanzione disciplinare, il rispetto dell’orario di lavoro.
Sotto questo profilo, va respinto anche ogni dubbio sulla asserita intempestività della contestazione (del 18.2.2020) perché essa non può essere calibrata in relazione al richiamo aziendale del dicembre 2019, ma al comportamento del lavoratore realizzatosi nel successivo arco temporale dal gennaio 2020 al 14 febbraio 2020.
Quanto, poi, alle censure relative all’accertamento della congruenza del licenziamento intimato, va sottolineato il fondamentale principio affermato in sede di legittimità (per tutte, Cass. n. 5095/2011; Cass. n. 6498/2012) secondo cui la giusta causa di licenziamento, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione
(ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale.
16. Nel caso in esame, pertanto, ritenute inammissibili tutte le doglianze riguardanti la ricostruzione e le modalità della vicenda in fatto, nonché quelle relative alla proporzionalità della condotta (‘ In tema di licenziamento per giusta causa, l’accertamento dei fatti ed il successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva adottata sono demandati all’apprezzamento del giudice di merito, che anche qualora riscontri l’astratta corrispondenza dell’infrazione contestata alla fattispecie tipizzata contrattualmente -è tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con giudizio che, se sorretto da adeguata e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità Cass. n. 26010/2018’ ), con specifico riferimento alla violazione del parametro normativo di cui all’art. 2119 cod. civ. va condiviso l’assunto della Corte territoriale che, proprio sulla base delle risultanze istruttorie acquisite, ha ritenuto inadempimento importante e non indotto da un comportamento non improntato a buona fede e correttezza della società, quello imputabile alla condotta del COGNOME che ha determinato una irrimediabile lesione
dell’elemento fiduciario, su cui si fonda il rapporto di lavoro, inteso come concreto interesse del datore all’esatto e puntuale adempimento futuro della prestazione da parte del lavoratore.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 gennaio 2025