Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23718 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 23718 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 22/08/2025
SENTENZA
sul ricorso 17329-2024 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE DEL COMUNE DI NAPOLI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
licenziamento
R.G.N. 17329/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 17/06/2025
PU
avverso la sentenza n. 2306/2024 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 30/05/2024 R.G.N. 1371/2023; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 2306 del 2024 ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME nei confronti di ABC Napoli RAGIONE_SOCIALE Speciale del Comune di Napoli, avverso la sentenza resa tra le parti dalla Tribunale di Napoli.
Il Tribunale di Napoli aveva rigettato l’opposizione proposta dal ricorrente avverso l’ordinanza emessa dal medesimo Tribunale nell’ambito di un giudizio azionato ai sensi dell’art. 1, comma 48 e ssg., della legge n. 92 del 2012; con la suddetta ordinanza il medesimo Tribunale aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento irrogato al lavoratore dalla società datrice di lavoro in data 30 luglio 2019.
Il licenziamento in questione veniva intimato all’esito della lettera di contestazione del 5 giugno 2019, con la quale sostanzialmente si addebitavano al ricorrente una serie di gravi negligenze ed omissioni, fonte di danno per la società, in relazione alla sua attività di responsabile dell’Area amministrazione e finanza, incarico ricoperto a partire dal 7
novembre 2016. La contestazione disciplinare originava dai fatti successivi all’approvazione del bilancio relativo all’annualità 2016, risalente al 27 marzo 2018, per arrivare alla notifica della cartella esattoriale del 1° marzo 2019.
2. La sentenza di appello riporta il testo integrale della lettera di contestazione. Con la stessa, si contestava al ricorrente, tra l’altro, che, poiché all’esito dell’approvazione del bilancio del 2016, avvenuto il 27 marzo 2018, era emersa una significativa riduzione dell’imponibile IRAP ( -2.396.027) e IRES (-2.396.025), rispetto ai modelli trasmessi telematicamente il 29 gennaio 2018, lo stesso avrebbe dovuto attivarsi e provvedere alla dichiarazione integrativa/correttiva per usufruire del ravvedimento operoso che avrebbe contenuto le sanzioni fiscali, conseguenti al tardivo versamento dell’imposta, nonché l’ammontare degli interessi. A seguito dell’inerzia tenuta dal lavoratore , l’Agenzia delle entrate , a seguito di controllo automatizzato, il 5 luglio 2018 aveva notificato le comunicazioni di irregolarità che consentivano il pagamento entro 30 giorni o istanza di riesame nello stesso termine. Il ravvedimento operoso veniva promosso successivamente alla notifica, che lo precludeva; il lavoratore non si attivava per concretizzare l’incontro con Agenzia delle entrate per chiarire le irregolarità riscontrate, sollecitato dalla stessa Agenzia delle entrate. Il 1° marzo 2019 venivano notificata la cartella di pagamento avente ad oggetto sanzioni ed interessi, con preclusione per l’Azienda di avvalersi dell’applicazione delle sanzioni nella favorevole misura del 10%.
La Corte d’Appello ha escluso la tardività della contestazione, ha rilevato come il Tribunale ha ritenuto la sussistenza della giusta causa di recesso; ha chiarito la differenza della nozione di giusta causa rispetto a quella di giustificatezza; ha accertato la sussistenza della giusta causa affermando che le condotte imputate, come accertate in primo grado, configurano un grave inadempimento contrattuale e costituiscono elementi idonei a ledere il vincolo fiduciario, considerata la specifica funzione rivestita dal lavoratore al quale era stata affidata la responsabilità dell’Area Amministrazione e Finanza.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando tre motivi di ricorso.
Resiste RAGIONE_SOCIALE Napoli – Azienda speciale del Comune di Napoli con controricorso.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta che ha discusso nell’udienza pubblica chiedendo il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente osservato che il ricorrente premette ai motivi di ricorso il richiamo a precedente pronuncia di questa Corte (Cass., n. 12688 del 2024, che ha accolto il ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello che aveva rigettato l’appello relativo al rigetto dell’opposizione al rigetto dell’impugnazione d i precedente licenziamento del medesimo lavoratore), e prospetta che il carattere palesemente ritorsivo del suddetto primo licenziamento, appare ancora più evidente nel secondo provvedimento espulsivo, oggetto del presente
giudizio, che a proprio avviso è stato irrogato in assenza, non solo di alcuno specifico inadempimento, ma anche di una condotta più genericamente contraria ai doveri dell’ufficio.
Tale questione e cioè la prospettazione della relazione del secondo licenziamento con il primo sotto il profilo del carattere ritorsivo del primo non risulta dalla sentenza di appello (che esamina il rapporto tra i due licenziamenti solo in relazione all’interesse alla decisione sul secondo licenziamento atteso che non vi era ancora formato il giudicato sul primo licenziamento) essere stata già dedotta in giudizio, né il ricorrente indica e riproduce gli atti del presente giudizio nei gradi di merito in cui sarebbe stata proposta, di talché la stessa risulta questione nuova, inammissibile in quanto dedotta solo in sede di legittimità. Ed infatti, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in virtù del principio di autosufficienza, indicare in quale specifico atto del grado precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel ” thema decidendum ” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito e non rilevabili di ufficio (cfr., Cass., 18018 del 2024).
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 18della legge n. 300/1970, degli
artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nullità della sentenza per illegittimo esercizio della discrezionalità nella valutazione delle prove e per violazione dell’obbligo di motivazione . Error in procedendo in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.
La Corte d’Appello di Napoli ha respinto la eccezione di tardività della contestazione d’addebito , asserendo che la stessa dovrebbe considerarsi tempestiva, stante il «collegamento» esistente tra la notifica della cartella del 01/03/2019 e la conoscenza dei fatti in esame da parte di ABC.
Il ricorrente contesta il collegamento erroneamente operato tra contestazione disciplinare d’addebito e la notifica della cartella esattoriale da parte dell’Agenzia delle Entrate, atteso che l’Azienda, una volta approvato il progetto definitivo di bilancio , è stata subito in grado di valutare la necessità di presentare una dichiarazione integrativa ai fini IRES/IRAP. Già all’epoca (2018), ABC era nelle condizioni di valutare la condotta del ricorrente, a cui avrebbe potuto muovere eventuali contestazioni immediatamente. A nulla rileva, dunque, la successiva notifica della cartella esattoriale, che non ha concretamente fornito alcun elemento aggiuntivo per conoscere e valutare l’operato di quest’ultimo.
A conferma di quanto sopra, il ricorrente richiama le deposizioni testimoniali, di cui è riportato stralcio nel ricorso, che sul punto sarebbero state ignorate dalla Corte d’Appello con carenza di
motivazione della sentenza. Assume inoltre che la vicenda era tutt’altro che complessa come si evince proprio dall’esame delle citate deposizioni.
Inoltre, sarebbe tardivo anche lo scarto temporale di tre mesi (e poco più) intercorso tra la notifica della citata cartella esattoriale e la materiale contestazione d’addebito.
Prospetta altresì la lesione del diritto di difesa, in quanto esso ricorrente sarebbe stato chiamato a rendere le proprie giustificazioni in ordine ad accadimenti (la cartella esattoriale del 01/03/2019 e tutte le successive vicende) di cui era all’oscuro (in quanto già licenziato per precedente recesso) e di cui non è stato messo in condizione di avere alcuna contezza (anche solo documentale).
Irrilevante e inconferente era poi l’ulteriore richiamo operato dalla Corte territoriale agli atti che ABC avrebbe posto in essere dopo la notifica della citata cartella, ossia l’istanza in autotutela del 22/03/2019 e la risposta dell’Agenzia delle Entra te del 29/03/2019.
2.1. Il motivo è inammissibile quanto alla dedotta violazione del diritto di difesa, per quanto prospettato in modo autonomo rispetto alla tardività della contestazione quale conseguenza di quest’ultima , poiché questione nuova, atteso che non costituisce argomento trattato nella sentenza di appello che premette che le doglianze del ricorrente riguardavano la tempestività della contestazione e la giusta causa del licenziamento, né il ricorrente deduce e allega di aver
tempestivamente e ritualmente proposta tale doglianze censura dinanzi al giudice del merito.
Il motivo non è fondato nella parte in cui censura la sentenza di appello che ha ritenuto tempestiva la contestazione.
Va premesso che il canone del rispetto dell’immediatezza della contestazione nel procedimento disciplinare assume carattere ‘relativo’, che impone una valutazione caso per caso e, secondo un consolidato insegnamento giurisprudenziale, la valutazione della tempestività della contestazione costituisce una indagine di fatto demandata al giudice del merito ( ex aliis , Cass. n. 14324 del 2015; Cass. n. 16841 del 2018). Pertanto, come ogni accertamento di fatto può essere sottoposto al sindacato di questa Corte di legittimità nei ristretti limiti, non ravvisabili nella specie, in cui può esserlo ogni quaestio facti , nella vigenza del novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c. così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014. Inoltre, rileva l’avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non l ‘ astratta percettibilità o conoscibilità dei fatti stessi (Cass. n. 23739 del 2008; Cass. n. 21546 del 2007), né, tanto meno, è di per sé sanzionabile un eventuale ritardo nell’acquisizione di elementi che conducano ad accertare la responsabilità disciplinare. Il datore di lavoro, infatti, ha il potere, ma non l’obbligo, di controllare in modo continuo i propri dipendenti, atteso che un simile obbligo, non previsto dalla legge né desumibile dai principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., negherebbe in radice il carattere fiduciario del lavoro
subordinato, sicché la tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi dell’infrazione (da ultimo Cass. n. 7467 del 2023), bensì l’onere di attivarsi sorge solo allorquando l’ illecito viene percepito in termini circostanziati, sì da consentire l’avvio del procedimento (Cass. n. 28974 del 2017; Cass. n. 10069 del 2016; Cass. n. 21546 del 2007).
Come poi evidenziato da questa Corte (Cass. n. 3904 del 2020), il ritardo nella contestazione può costituire un vizio del procedimento disciplinare solo ove sia tale da determinare un ostacolo alla difesa effettiva del lavoratore, anche considerando che la ponderata e responsabile valutazione dei fatti, può e deve precedere la contestazione anche nell’interesse del prestatore di lavoro, che sarebbe palesemente colpito da incolpazioni avventate o comunque non sorrette da una sufficiente certezza da parte del datore di lavoro.
La sentenza impugnata sul punto in esame è coerente con i princìpi richiamati e le doglianze di parte ricorrente, lungi dall’evidenziare l’ error in iudicando in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, come l’evocazione formale del vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c. imporrebbe, l’ error in procedendo , peraltro genericamente invocato, e il vizio di omesso esame, in sostanza propongono una diversa valutazione dei fatti e delle risultanze istruttorie (peraltro la valutazione del giudice di primo grado delle testimonianze raccolte in primo grado ha costituito oggetto di specifico vaglio da parte della Corte d’Appell o che ha condiviso l’approdo valutativo del Tribunale, come risulta dalla
motivazione della relativa sentenza di appello), che è inibita a questo giudice di legittimità, peraltro senza neanche adeguatamente contrastare l’assunto espresso dalla Corte territoriale secondo cui la ribadita tardività della contestazione disciplinar e è ‘del tutto insussistente nel caso concreto condividendo appieno la Corte la motivazione del primo giudice circa il collegamento esistente tra la notifica della cartella del 1° marzo 2019 e i fatti contestati, la cui piena conoscenza e rilevanza in termini in termini negativi per la società è stata acquisita solo dopo la notifica della cartella e le attività compiute successivamente per porci rimedio’.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 18 legge n. 300/1970, 29 e 35 CCNL dirigenti aziende pubbliche, 115, 116 e 132, c.p.c. e 2119 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. ; nullità della sentenza per illegittimo esercizio della discrezionalità nella valutazione delle prove e per violazione dell’obbligo di motivazione. Error in procedendo in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 , c.p.c. omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.
La Corte territoriale avrebbe ritenuto infondate le doglianze sollevate dal ricorrente circa la confusione operata tra le nozioni di giusta causa e di giustificatezza del licenziamento, e non ha motivato sulla giusta causa di recesso, sovrapponendo le due figure. Nella fattispecie, assume il ricorrente, potrebbe essere astrattamente configurabile (al di là di quanto illustrato con tutte le censure) solo un ‘ ipotesi di giustificatezza di
licenziamento, che avrebbe comunque legittimato l’attribuzione, a favore del ricorrente, dell’indennità per mancato preavviso, come prevista dal CCNL di settore.
La sentenza impugnata sarebbe, non solo erronea e infondata in punto di diritto, ma viziata da assoluta carenza di decisione e motivazione.
3.1. Il motivo, le cui plurime censure vanno esaminate congiuntamente per la loro connessione, non è fondato. La Corte d’Appello, dopo aver richiamato la motivazione posta dal Tribunale a fondamento della ritenuta sussistenza della giusta causa di licenziamento, con conseguente rigetto della domanda di pagamento dell’indennità di mancato preavviso, ha esaminato le differenze tra la nozione di giustificatezza e quella di giusta causa, richiamando sul punto le statuizioni della giurisprudenza di legittimità (si v., ex aliis , Cass., n. 5671 del 2012; Cass., n. 381 del 2023). Quindi, all’esito delle risultanze istruttorie, il giudice di appello ha affermato che avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto ed in particolare alla posizione apicale rivestita dall’COGNOME, alla condotta addebitatagli connessa alle incombenze di natura fiscale di sua diretta competenza e al danno subito dall’ Azienda, sussisteva la giusta causa di recesso stante il venir meno del vincolo fiduciario. Ed invero, ha affermato il giudice di appello che, come risulta dagli atti di causa e dalle prove raccolte in primo grado, correttamente valutate dal Tribunale e riportate in dettaglio nella sentenza di primo grado, la principale negligenza o omissione addebitabile all’Esposito è rappresentata dal
comportamento tenuto dallo stesso in seguito all’invio da parte dell’Agenzia delle entrate dei due avvisi bonari di irregolarità del 5 luglio 2019, scaturenti dal controllo automatizzato ex art. 36bis del DPR n. 600 del 1973: (…) ‘è incontestato e comunque risulta dall’istruttoria svolta che, nel caso concreto, a fronte dell’avvenuta notifica degli avvisi di irregolarità, l’Esposito abbia omesso di attivarsi tempestivamente (ossia nel termine di 30 giorni)’, con conseguente no tifica della cartella di pagamento con preclusione per l’Azienda della possibilità di avvalersi delle sanzioni nella favorevole misura del 10%.
Conseguentemente con motivazione sussistente, coerente con i principi enunciati da questa Corte, nella condotta contestata, valutata in concreto, la Corte d’Appello ha accertato elementi tali da impedire, per la lesione del rapporto fiduciario, la prosecuzione anche provvisoria del rapporto, ritenendo così integrata la giusta causa di recesso, rispetto alla giustificatezza per la quale, invece, il licenziamento non deve necessariamente costituire una ” extrema ratio “, da attuarsi solo in presenza di situazioni così gravi da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto, e allorquando ogni altra misura si rivelerebbe inefficace (come in presenza di giusta causa), ma può conseguire ad ogni infrazione che incrini l’affidabilità e la fiducia che il datore di lavoro deve riporre sul dirigente (cfr., citate Cass. n. 5671 del 2012, 381 del 2023), con la conseguenza che solo in quest’ultimo caso è prevista la corresponsione dell’indennità di mancato preavviso.
4. Con il terzo motivo di ricorso è dotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 18 della legge n. 300/1970, 29 e 35 CCNL dirigenti aziende pubbliche, 36bis dpr 600/73, 1, co. 640, legge n. 190/2014, 115, 116 e 132, c.p.c. e 2119 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. ; nullità della sentenza per illegittimo esercizio della discrezionalità nella valutazione delle prove e per violazione dell’obbligo di motivazione ; error in procedendo in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.
Il motivo contesta la ritenuta sussistenza della condotta disciplinare contestata, ripercorrendo stralci della contestazione disciplinare e offrendo la propria ricostruzione dei fatti di causa.
4.1. Il motivo, nei diversi profili di censura, è inammissibile.
Come più volte affermato da questa Corte la “giusta causa” di licenziamento ex art. 2119, cod. civ. – posta a fondamento del provvedimento di recesso – integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l ‘ accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici.
Nella specie il motivo si sostanzia nella richiesta, inammissibile in sede di legittimità, di riesame delle risultanze di causa circa la condotta disciplinare e la lesione del vincolo fiduciario, in concreto, che impinge il giudizio di fatto rimesso al giudice del merito.
Nel caso in esame, la sostanza della censura mira a contestare la valutazione delle risultanze di causa, senza enucleare il fatto decisivo omesso che sarebbe stato trascurato dalla Corte territoriale, nonché a criticare l’apprezzamento della gravità della condotta tenuta in concreto dal lavoratore, ma così si sollecita un sindacato che esonda dai confini del giudizio di legittimità perché spettano inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità -in termini positivi o negativi -all’ipotesi normativa (cfr., Cass. n. 13064 del 2022, Cass., sez. lav., 3 gennaio 2024, n. 107).
A ciò si aggiunge che con riguardo all’art. 360, comma 1, n. 5, cpc (v., Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) il vizio di motivazione rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, ‘in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, nella specie non ravvisabili, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione’, sicché quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perché non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.
Va anche rilevato che l”omesso esame’ va riferito ad ‘un fatto decisivo per il giudizio’ ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’ che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità, come nella specie, delle censure irritualmente formulate (si v., ex multis , Cass., n. 2268 del 2022).
La deduzione del vizio di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., non consente, quindi, di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
Il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi
professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione