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Licenziamento per giusta causa: la Cassazione decide

Un tecnico aeronautico, licenziato per giusta causa con l’accusa di assenze ingiustificate e di accesso non autorizzato in azienda, ha visto confermata l’illegittimità del licenziamento dalla Corte di Cassazione. La Corte ha stabilito che le condotte del lavoratore, alla luce delle prove e delle previsioni del CCNL, non erano abbastanza gravi da giustificare la massima sanzione espulsiva, ma al massimo una sanzione conservativa. La decisione sottolinea l’importanza della proporzionalità della sanzione e il valore vincolante del contratto collettivo.

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Pubblicato il 21 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento per Giusta Causa: Quando le Accuse del Datore di Lavoro non Bastano

Il licenziamento per giusta causa rappresenta la sanzione più severa nel diritto del lavoro, attivata quando la condotta del dipendente è talmente grave da compromettere irrimediabilmente il rapporto di fiducia con l’azienda. Tuttavia, non ogni infrazione giustifica una misura così drastica. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ci offre un’analisi dettagliata sui criteri di proporzionalità e sul valore delle previsioni dei contratti collettivi, chiarendo quando un licenziamento basato su sospetti e mancanze di lieve entità debba essere considerato illegittimo.

I Fatti del Caso

Un tecnico aeronautico, dipendente di una società di elicotteri, veniva licenziato per giusta causa sulla base di due contestazioni disciplinari. La prima riguardava il suo accesso all’hangar aziendale fuori dall’orario di lavoro, dal quale era uscito con un borsone e dei fogli, alimentando il sospetto di sottrazione di materiale. La seconda contestazione verteva su un’assenza ingiustificata di due giorni (sabato e domenica) durante un periodo di permesso concordato, durante il quale il lavoratore si era impegnato a essere disponibile.

Il lavoratore impugnava il licenziamento, sostenendo che le procedure disciplinari fossero una ritorsione per la sua richiesta di godere di ferie arretrate. Spiegava di essere entrato in azienda per ritirare indumenti da lavoro da lavare e per compilare documentazione necessaria per la sua abilitazione professionale, e che la sua assenza nel weekend non violava alcun accordo vincolante.

Il Percorso Giudiziario: Dal Tribunale alla Cassazione

Il Tribunale di primo grado rigettava la domanda del lavoratore, ritenendo legittimo il licenziamento. Tuttavia, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, dichiarando il licenziamento illegittimo. La Corte territoriale riteneva che i fatti addebitati non fossero così gravi da giustificare la risoluzione del rapporto, anche alla luce del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di settore, che per condotte simili prevedeva sanzioni conservative.

La società datrice di lavoro ricorreva quindi in Cassazione, lamentando un’errata valutazione della gravità dei fatti e un’applicazione sbagliata delle norme del CCNL.

L’Analisi della Corte sul licenziamento per giusta causa

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando la sentenza d’appello. I giudici hanno sottolineato diversi punti cruciali che demoliscono la tesi del licenziamento per giusta causa.

In primo luogo, l’accesso fuori orario non poteva essere considerato una condotta illecita, poiché era stato pacifico che il lavoratore fosse in possesso delle chiavi dell’azienda per esigenze di servizio. La giustificazione fornita dal dipendente (ritirare indumenti e compilare documenti) è stata ritenuta ‘verosimile’ e, soprattutto, l’azienda non ha fornito alcuna prova contraria che dimostrasse l’effettiva sottrazione di beni.

Il ‘fondato timore’ di una condotta illecita, secondo la Corte, è rimasto una mera ‘illazione’ non supportata da prove. Pertanto, l’accusa più grave è venuta meno.

Il Principio di Proporzionalità e il Ruolo del CCNL

Un aspetto fondamentale della decisione riguarda il principio di proporzionalità tra infrazione e sanzione. La Cassazione ha ribadito che, quando un CCNL tipizza una certa condotta come meritevole di una sanzione conservativa (multa, sospensione, etc.), il giudice è vincolato a tale previsione. Questa è considerata una condizione di maggior favore per il lavoratore, che non può essere derogata dal datore di lavoro o dal giudice, a meno che non si dimostrino circostanze di gravità eccezionale.

Nel caso specifico, sia l’accesso fuori orario che le assenze ingiustificate per due giorni non rientravano nelle ipotesi di licenziamento per giusta causa previste dal CCNL applicato. Anzi, il contratto prevedeva sanzioni conservative per mancanze simili o anche più gravi. La Corte ha quindi concluso che l’unica condotta con un minimo ‘disvalore disciplinare’ era l’assenza nei giorni del 13 e 14 novembre, ma tale mancanza era del tutto sproporzionata rispetto alla sanzione espulsiva applicata.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato il rigetto del ricorso basandosi su una valutazione complessiva e non atomistica dei fatti. È stato evidenziato che i giudici d’appello avevano correttamente esaminato tutti gli elementi, ritenendoli privi della gravità necessaria per un licenziamento. La plausibilità delle giustificazioni del lavoratore, unita alla totale assenza di prove a carico da parte dell’azienda (che ne aveva l’onere), ha reso il sospetto di furto infondato. Inoltre, è stato ribadito il principio secondo cui la scala valoriale prevista dal CCNL è vincolante per il giudice quando prevede sanzioni conservative, limitando la discrezionalità nella valutazione della gravità dei fatti. Le assenze residue, uniche condotte effettivamente provate, non erano sufficienti, né per previsione contrattuale né per la legge, a giustificare la massima sanzione espulsiva.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma un principio cardine del diritto del lavoro: il licenziamento per giusta causa è l’extrema ratio e deve fondarsi su fatti concreti, provati e di notevole gravità. I semplici sospetti o le illazioni del datore di lavoro non sono sufficienti a giustificare la rottura del rapporto di fiducia. Inoltre, il ruolo del contratto collettivo è centrale: le sue previsioni sulle sanzioni disciplinari non sono mere indicazioni, ma norme vincolanti che garantiscono proporzionalità e certezza del diritto, tutelando il lavoratore da decisioni arbitrarie. La Corte ha quindi confermato l’illegittimità del licenziamento, condannando l’azienda al pagamento di un’indennità risarcitoria.

Un dipendente può essere licenziato per giusta causa se entra in azienda fuori dall’orario di lavoro?
No, non necessariamente. Secondo questa ordinanza, se il lavoratore ha le chiavi per esigenze di servizio, fornisce una giustificazione plausibile per la sua presenza e il datore di lavoro non prova alcuna attività illecita, l’accesso di per sé non costituisce una giusta causa di licenziamento.

Il giudice è vincolato a quanto previsto dal Contratto Collettivo (CCNL) nel decidere una sanzione disciplinare?
Sì, soprattutto quando il CCNL stabilisce una sanzione conservativa (non espulsiva) per una determinata infrazione. Il giudice non può discostarsi da tale previsione, considerata di maggior favore per il lavoratore, a meno che non emergano fatti di gravità eccezionale, non presenti in questo caso.

L’assenza ingiustificata dal lavoro costituisce sempre una giusta causa di licenziamento?
No. La gravità dell’assenza deve essere valutata in concreto. In questo caso, un’assenza di due giorni nel weekend è stata ritenuta insufficiente a giustificare il licenziamento, anche perché il CCNL di riferimento prevedeva la sanzione espulsiva solo per assenze prolungate (oltre 4 giorni consecutivi) o ripetute in specifiche circostanze.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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