Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20327 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20327 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.
15776/2024 r.g., proposto
da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
ricorrente
contro
COGNOME Michele COGNOME elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 284/2024 pubblicata in data 10/05/2024, n.r.g. 605/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 23/04/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME era stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE dal 05/11/2018 con mansioni di tecnico aeronautico addetto alla manutenzione degli elicotteri della società presso il piccolo aeroporto di Carpi, inquadrato nel 5^ livello CCNL industria metalmeccanica, con retribuzione mensile di euro 3.334,76 e un alloggio uso foresteria nei pressi della sede lavorativa.
OGGETTO:
licenziamento per giusta causa – assenza ingiustificata – accertamento in concreto necessità
In data 25/11/2021 era stato licenziato per giusta causa sulla base delle due contestazioni disciplinari del 12/11/2021 e del 19/11/2021.
Il COGNOME assumeva che i procedimenti disciplinari si inserivano nel contesto della sua richiesta del 23/09/2021 di poter godere di tre settimane di permessi/ferie retribuite (avendo al mese di ottobre 2021 un credito di ferie arretrate risultante in busta paga di 38 giornate complessive) per motivi personali, assicurando comunque la sua disponibilità al lavoro in tale periodo nei giorni di sabato e domenica. Precisava che con la prima contestazione disciplinare gli era stato addebitato di esserci recato a ll’interno dell’ hangar aziendale fuori dall’orario di lavoro, senza preavviso e senza esigenze aziendali, uscendone con un borsone e un plico di fogli, da cui poteva desumersi il timore di una condotta illegittima di sottrazione di materiale e documenti aziendali; con la seconda contestazione disciplinare gli era stata addebitata la violazione del suo impegno ad essere comunque disponibile nei giorni di sabato e domenica e, quindi, di essere rimasto ingiustificatamente assente nelle giornate del 4, 5, 13 e 14 novembre 2021, nonché di non aver comunicato la variazione di domicilio e di essersi recato in altra occasione nell’hangar aziendale fuori dall’orario di lavoro, come era risultato dall’esame delle telecamere di sicurezza.
Adìva il Tribunale di Modena per impugnare il licenziamento, di cui chiedeva la declaratoria di illegittimità per insussistenza degli addebiti disciplinari, con la conseguente tutela.
2.- Costituitosi il contraddittorio, assunte le prove testimoniali ammesse, il Tribunale rigettava la domanda.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello accoglieva il gravame interposto dal COGNOME dichiarava illegittimo il licenziamento, dichiarava estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento ai sensi dell’art. 3, co. 1, d.lgs. n. 2 3/2015 e condannava la società a pagare all’appellante l’indennità risarcitoria liquidata nella misura di dieci mensilità della retribuzione di euro 3.334,76, nonché l’indennità sostitutiva del preavviso.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
i fatti addebitati all’appellante rientrano fra quelle fattispecie per le quali la scala valoriale desumibile dal CCNL applicato prevede sanzioni conservative;
la mancata comunicazione di variazione dell’indirizzo di residenza, erroneamente ritenuta sussistente dal Tribunale, in realtà è inesistente, il quanto il COGNOME non ha mai mutato il proprio indirizzo, risultando residente allo stesso indirizzo sino ad oggi come allegato e comprovato dall’autocertificazione di residenza e non contestato dalla società e come dimostrato anche dal certificato storico di residenza prodotto in appello;
la seconda contestazione ‘doppia’ perché relativa a due accessi in azienda fuori dall’orario di lavoro, è stata connotata dall’uso delle chiavi in dotazione, poiché la società ha ammesso che il Viviani aveva le chiavi per necessità di servizio;
in relazione a tale addebito, la sua materialità è pacifica, ma la giustificazione addotta dal lavoratore -di essersi ivi recato per ritirare gli indumenti di lavoro sporchi da lavare e per compilare documentazione di lavoro necessaria per l’abilitazione ENAC -è verosimile (contrariamente al convincimento del Tribunale) e comunque non inficiata da alcun elemento contrario addotto dalla società;
il ‘fondato timore’ che egli avesse sottratto documentazione e materiale è rimasto del tutto indimostrato, sicché indimostrata è rimasta l’asserita condotta illegittima di sottrazione;
dunque si è trattato di mere illazioni, sicché resta solo il fatto storico dell’accesso in due occasioni in azienda fuori dall’orario di lavoro e utilizzando chiavi concesse in dotazione dall’azienda, per uno scopo in sé legittimo;
che poi il lavoratore si sia trattenuto un tempo più lungo di quello che verosimilmente è necessario per ritirare gli indumenti è irrilevante, sia perché magari ha ricevuto una telefonata o si è distratto guardando un video sul cellulare oppure ha avuto l’ improvvisa necessità del bagno, sia perché manca la prova della commissione di azioni illecite;
è vero che l’art. 14, co. 4, CCNL prevede che, salvo esplicito permesso, non è consentito entrare o intrattenersi nello stabilimento in ore non
comprese nell’orario di lavoro, ma tale previsione non si riferisce al dipendente che -come il COGNOME -sia stato dotato delle chiavi dalla direzione aziendale, dotazione finalizzata proprio al possibile ingresso fuori dagli orari in cui lo stabilimento è aperto;
in ogni caso, comunque l’ingresso fuori orario potrebbe per analogia rientrare nelle previsioni dell’art. 9 CCNL, che punisce con sanzioni di natura conservativa quel lavoratore che non si presenti al lavoro, o abbandoni il proprio posto di lavoro senza giustificato motivo, oppure non giustifica l’assenza entro il giorno successivo, salvo impedimento giustificato, oppure senza giusto motivo ritardi l’inizio del lavoro o lo sospenda o ne anticipi la cessazione, oppure esegua entro l’officina aziendale lavori di lieve entità per conto proprio o di terzi fuori dell’orario di lavoro e senza sottrazione di materiale aziendale e con uso di attrezzature aziendali;
lo stesso art. 9 CCNL prevede sempre sanzioni conservative per i casi innominati, ossia per quel lavoratore che ‘ in altro modo trasgredisca l’osservanza del presente Contratto o commetta qualsiasi mancanza che porti pregiudizio alla disciplina, alla morale, all’igiene e alla sicurezza dello stabilimento ‘;
il CCNL prevede sempre sanzioni conservative per qualsiasi trasgressione degli obblighi contrattuali, a meno che sia espressamente prevista quella espulsiva, il che non si verifica per il caso in esame, poiché l’accesso nell’ambiente lavorativo fuori dall’orario di lavoro non è prevista fra le ipotesi contenute nell’art. 10, che disciplina i casi di licenziamento per mancanze, con o senza preavviso;
la terza contestazione è quella dell’assenza dal lavoro nei giorni 4, 5, 13 e 14 novembre 2021, considerata assenza ingiustificata;
è pacifico che al lavoratore fosse stato concesso un periodo di tre settimane di assenza imputata a permessi retribuiti a fronte di un credito di 38 giorni complessivi fra permessi e ferie già maturate e non godute a ottobre 2021;
il COGNOME contesta che si fosse obbligato ad essere presente nei fine settimana in quel periodo, ma anche a voler considerare lo scambio di mail in termini di assunzione di tale obbligo, comunque le assenze
ingiustificate non sono previste come meritevoli di licenziamento dal CCNL, le cui previsioni sono vincolanti per il giudice a favore del lavoratore;
comunque i giorni 4 e 5 novembre sono stati già espunti dal Tribunale dalle assenze ingiustificate, perché non si trattava dei fine settimana di cui all’impegno assunto dal COGNOME, ma di giovedì e venerdì;
restano le assenze ingiustificate del 13 e del 14 novembre 2021, e tuttavia l’art. 10, lett. f), CCNL prevede il licenziamento per ‘assenze ingiustificate prolungate oltre 4 giorni consecutivi o assenze ripetute per tre volte in un anno nel giorno seguente alle festività o alle ferie’ e nessuna di tali ipotesi ricorre nella specie;
anche ai sensi dell’art. 2110 c.c. nessuno dei fatti accertati è di gravità tale da giustificare il recesso datoriale;
ritenuta la sproporzione tra i fatti contestati -e risultati provati in minima parte -e la sanzione espulsiva, trova applicazione la tutela indennitaria c.d. forte di cui all’art. 18, co. 5, L. n. 300/1970.
4.Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
5.- NOME NOME ha resistito con controricorso.
6.- Il controricorrente ha depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ dell’art. 14, sez. IV, CCNL, nonché ‘irragionevolezza e perplessità della motivazione’ per avere la Corte territoriale giustificato in modo illogico e irragionevole la sua decisione.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
E’ inammissibile laddove contiene censure alla motivazione, al di fuori dei ristretti limiti in cui è oggi consentito in sede di legittimità un sindacato sulla motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., non essendo stato neppure prospettato il ‘fatto storico decisivo’ e controverso, del quale sarebbe stato omesso l’esame.
Il motivo è poi infondato in relazione all’art. 14 CCNL, dal momento che la Corte territoriale ha dato ampia spiegazione delle ragioni per cui quella
clausola sul divieto di accesso senza permesso fuori dall’orario di lavoro non è idonea a rendere illecite le due condotte di accesso del COGNOME oggetto della contestazione disciplinare (v. sentenza impugnata, p. 6), evidenziando in particolare la ragione più rilevante rappresentata dall’avvenuta dotazione delle chiavi da parte della stessa direzione aziendale.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 8, 9, 10, lett. b), CCNL, nonché ‘motivazione perplessa e irragionevole’ per avere la Corte territoriale escluso che le condotte contestate (l’essere entrato nello stabilimento in orario serale e l’essersi intrattenuto per oltre un’ora, al di fuori dell’orario di lavoro) fossero sussumibili in quelle per le quali il CCNL -e segnatamente l’art. 10 prevede il licenziamento e per aver ritenuto che meritassero una sanzione conservativa.
Il motivo è infondato.
Contrariamente alla censura della ricorrente (v. ricorso per cassazione, p. 18), la Corte d’appello ha preso atto ed ha tenuto in conto che le condotte contestate non rientravano espressamente in alcuna delle ipotesi punite dal CCNL con sanzione conservativa. Ma proprio per questa ragione non ha applicato la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, co. 4, L. n. 300/1970 (che altrimenti sarebbe stata applicabile), bensì quella indennitaria di cui all’art. 18, co. 5, L. cit.
Quanto poi all’apprezzamento e alla valutazione della gravità dell’infrazione commessa, il relativo giudizio è riservato al giudice di merito ed è pertanto interdetto in sede di legittimità (Cass. n. 26010/2018). Il sindacato di questa Corte è ammissibile soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia (Cass. n. 107/2024). Nessuno di tali vizi è riscontrabile nella specie, sicché le relative censure sul punto sono inammissibili.
In ogni caso, quand’anche le condotte contestate rientrassero nell’ambito di quelle previste dall’art. 10 CCNL, nondimeno il giudizio di gravità in
concreto non sarebbe in alcun modo pregiudicato. Questa Corte ha più volte affermato, infatti, che la previsione, da parte del contratto collettivo o del codice disciplinare, della sanzione espulsiva non è vincolante per il giudice, poiché il giudizio di gravità e di proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice ex art. 2119 c.c., ossia alla luce della nozione legale di giusta causa (o di giustificato motivo soggettivo), avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, sebbene la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisca uno (ma soltanto uno) dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di fonte legale, ossia utilizzata dall’art. 2119 c.c. (Cass. n. 16784/2020; Cass. n 33811/2021).
Viceversa, nell’ipotesi in cui un comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia configurato e tipizzato dal contratto collettivo o dal codice disciplinare come infrazione meritevole solo di una sanzione conservativa, il giudice non può discostarsi da tale previsione, che quindi è vincolante, poiché condizione di maggior favore fatta espressamente salva dall’art. 12 della legge n. 604/1966, a meno che accerti che le parti abbiano previsto, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva (Cass. n. 14811/2020) e ritenga che il fatto concretamente accertato presenti questa connotazione di maggiore gravità, condizione che nella specie è stata motivatamente esclusa dai Giudici di merito.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n n. 3) e 5), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ dell’art. 2119 c.c., per avere la Corte territoriale formato in modo ‘irragionevole e perplesso’ il suo giudizio di sussunzione dei fatti concreti nella norma generale, con un manifesto difetto di coerenza rispetto agli standard esistenti nella realtà sociale, nonché per avere omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito sia dai due accessi notturni e dalle uscite dopo un’ora trasportando documenti assenti al momento dell’ingresso, sia dagli impegni assunti dal COGNOME allo scopo di ottenere l’autorizzazione ad assentarsi per un lungo periodo.
Il motivo è inammissibile.
In relazione al vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c., la valutazione di
gravità appartiene al convincimento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità laddove -come nella specie -adeguatamente motivato.
Inammissibili sono le censure di motivazione irragionevole e perplessa, in quanto estranee al ristretto ambito del vizio delineato dall’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c.
Infine, il denunziato omesso esame di fatto decisivo non sussiste. Entrambi i fatti addotti dalla ricorrente sono stati esaminati dalla Corte territoriale, che li ha ritenuti privi di disvalore disciplinare. Al riguardo i giudici d’appello hanno evidenziato la plausibilità e la verosimiglianza della giustificazione addotta dal COGNOME circa il tempo di permanenza in azienda e la documentazione che aveva con sé, specialmente in considerazione della mancanza di prove contrarie di cui era onerato il datore di lavoro. Hanno poi attribuito un minimo disvalore disciplinare alla violazione -soltanto in due occasioni, il 13 ed il 14 novembre 2021 -dell’impegno assunto dal COGNOME di lavorare, se richiesto, nei giorni di sabato e domenica all’interno del periodo di tre settimane per il quale egli era stato autorizzato ad assentarsi. Quindi hanno motivatamente formulato un giudizio di sproporzione del licenziamento rispetto ai minimi addebiti disciplinari risultati provati.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2119 c.c. e 10 CCNL per avere la Corte territoriale considerato e valutato gli addebiti disciplinati in modo atomistico e non complessivo e motivato in modo ‘ perplesso e irragionevole ‘ .
Il motivo è inammissibile, sia perché contiene censure sulla motivazione estranee al ristretto ambito applicativo del vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., sia perché sollecita in realtà a questa Corte una diversa valutazione di determinati elementi -che i giudici d’appello avrebbero trascurato interdetta in sede di legittimità, in quanto riservata al giudice di merito.
Il motivo è infine inammissibile, perché non si confronta con l’esito dell’accertamento e della valutazione compiuti dalla Corte territoriale, secondo cui una connotazione di disvalore disciplinare è rimasta soltanto in relazione alla condotta di assenza ingiustificata nei due giorni del 13 e 14 novembre 2021.
5.- Resta in tal modo assorbita l’eccezione di improcedibilit à del ricorso,
sollevata dal controricorrente per mancata produzione integrale del CCNL.
6.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, con attribuzione al difensore dichiaratosi antistatario.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data