Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31313 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31313 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 28077-2022 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 230/2022 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 20/09/2022 R.G.N. 42/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
Oggetto
Licenziamento ex lege n. 92 del 2012
R.G.N. 28077/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 23/10/2024
CC
Con nota del 26.7.2019 l’ASM Terni intimava al dipendente NOME COGNOME licenziamento disciplinare per i fatti avvenuti l’11.7.2019 alle ore 13,30 circa, allorquando i Carabinieri di Terni, nei pressi della sede della società, fermata l’auto del lavorato re per un controllo, avevano rivenuto al suo interno materiale elettrico e metallico (circa mt. 50 di cavo di rame guaina nera; circa mt. 50 di cavo di rame guaina bianca; circa 50 Kg. di metalli vari) presumibilmente asportati dall’ASM di terni spa che ge stiva il Centro Comunale di Raccolta dei rifiuti.
La comunicazione del recesso era del seguente tenore: ‘Facciamo seguito alla contestazione disciplinare del 12 luglio 2019 ed alle deduzioni da Lei esposte con la lettera del 15 luglio 2019, che riteniamo infondate. In particolare l’appropriazione del materiale in questione è assolutamente in contrasto con tutte le disposizioni impartite agli addetti sia in generale dai preposti, sia in base alle disposizioni operative sulle modalità di smaltimento e/o recupero di cui al punto 6.4 della procedura aziendale PO SIA 09/08, sia per il divieto espresso affisso presso ogni centro ecologico, sia perché notoriamente il tipo di materiale suddetto non è oggetto di smaltimento in discarica, ma viene venduto da parte di ASM Terni RAGIONE_SOCIALE con apposita Asta. Ricordiamo, inoltre, che Le era stata attribuita pure la qualifica di ispettore ambientale, dopo superamento con esito positivo di apposito corso di formazione, diretta a vigilare l’osservanza delle leggi e dei regolamenti in tema di rifiuti, come da disposizioni scritte di cui al Vademecum ispettori ambientali ASM Terni RAGIONE_SOCIALE Per tutto quanto sopra, confermate le contestazioni di cui alla nostra lettera del 12 luglio 2019, considerata la lesione del vincolo fiduciario, adottiamo nei Suoi confronti il provvedimento disciplinare del licenziamento senza preavviso per giusta causa ai sensi dell’art. 68 del vigente ccnl e dell’art. 2119 cod. civ., con effetto come per legge dalla data di contestazione. Le saranno liquidate le competenze di fine rapporto’.
Impugnato il licenziamento, l’adito Tribunale di Terni, sia in fase sommaria che in sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, rigettava le domande del lavoratore.
La Corte di appello di Perugia, con la sentenza n. 230/2022, confermava la pronuncia di primo grado sottolineando, in relazione ai motivi di gravame presentati, che: a) nella condotta contestata non era rinvenibile la buona fede, come dedotto dal COGNOME, perché questi era a conoscenza del divieto di asporto del materiale e perché non era possibile desumere l’esistenza di una prassi aziendale che tollerasse il prelievo dei materiali conferiti; b) non rilevava il valore irrisorio del materiale che, del resto, non poteva considerarsi res nullius ; c) sussisteva l’estrema gravità della condotta ed il fatto addebitato rientrava nella previsione dell’art. 68 del CCNL che prevedeva l’applicazione del licenziamento senza preavviso nei confronti del personale resosi colpevole di mancanze relative a doveri di entità tali da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro; d) il precedente citato della Corte di appello di Torino, che aveva valutato diversa fattispecie (asportazione indebita di un monopattino) non era pertinente né era ravvisabile una violazione del principio di parità del trattamento dei lavoratori; e) non vi era alcuna violazione del principio di immutabilità della contestazione essendo il fatto materiale addebitato il medesimo di quello oggetto della sanzione disciplinare.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi cui resisteva con controricorso la ASM Terni RAGIONE_SOCIALE
Le parti depositavano memorie.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 n. 4 cpc in relazione all’art. 360 n. 5 cpc; la motivazione apparente e/o carenza di motivazione; la illogicità
intratestuale ed extra testuale (quanto a quest’ultimo vizio con riferimento: 1- al documento contraddistinto dalla sigla PO SIA 08 09 non firmato dal lavoratore, all. 6; 2 -Al cartello di divieto posto all’ingresso della discarica, all. 7; 3 Alla documentazione inerente le mansioni svolte dal ricorrente, all. 2.
Egli deduce che la valutazione degli elementi probatori, posti a sostegno della decisione per escludere la sussistenza della buona fede in capo al lavoratore, erano illogici perché: a) il cartello, installato all’ingresso della discarica, era da intendersi rivolto all’utenza; b) il documento contraddistinto dalla sigla PO SIA 0809, contenente il divieto di asporto anche per gli operatori presenti nel sito non recava alcuna firma del lavoratore; c) esso lavoratore non aveva mai rivestito la qualifica di Ispettore ambientale; egli obietta, inoltre, la contraddittorietà della motivazione lì dove si era asserito che il materiale da scarto non aveva valore irrisorio, che non sussisteva una prassi che consentiva l’asporto nonché la circostanza che il fatto contestato poteva essere punito con sanzione conservativa.
Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto, come fatto notorio, che una quantità di materiale ferroso di scarto avesse un valore economico non trascurabile per RAGIONE_SOCIALE
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cc e dell’art. 68 CCNL Servizi Ambientali, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte distrettuale fatto malgoverno delle norme in tema di licenziamento per giusta causa di cui all’art. 2119 cc e 68 CCNL Servizi Ambientali, ritenendo passibile di licenziamento l’operatore di un Centro di raccolta che asporti, dal sito, materiale privo di valore.
Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 7 co. 2 della legge n. 300 del 1970, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc; la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 n. 4 cpc, in relazione all’art. 360 co . 1 n. 5 cpc; la carenza di motivazione; l’illogicità intratestuale ed extra testuale (quanto a
quest’ultimo vizio, con riferimento: a) alla contestazione di ASM del 12.7.2019 – all. 3; b) al provvedimento di licenziamento del 26.7.2019 – all. 4).
Egli rileva che la Corte di appello, pur avendo dato atto che l’asserito danno patito dall’azienda non fosse stato oggetto della contestazione disciplinare, tuttavia, con una motivazione apparente, non aveva ritenuto violato il disposto di cui all’art. 7 legge n 300 del 1970 in quanto aveva precisato che i riferimenti nel provvedimento espulsivo anche alle violazioni delle prescrizioni aziendali in tema di smaltimento e recupero del materiale e al danno patito dall’azienda, che avrebbe potuto vendere il materiale stesso con apposita asta, fossero solo una specificazione i quelle normative di legge ed interne sulla gestione dei rifiuti richiamate nella lettera di contestazione.
Il primo motivo non è fondato.
In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020).
Nella fattispecie in esame, invece, la Corte territoriale, con una coerente e chiara esposizione delle ragioni poste a fondamento della decisione e attraverso un accurato esame delle risultanze istruttorie, ha precisato tutte le circostanze da cui si desumeva che il COGNOME fosse a conoscenza del divieto di asporto del materiale conferito nei CCR, richiamando anche i documenti indicati nella articolazione della censura da parte del ricorrente e ha sottolineato che i materiali sottratti non erano privi di valore sia perché, come riconosciuto dallo stesso lavoratore, rivestivano ancora una certa utilità sia perché, per la loro natura, avevano ancora un valore apprezzabile tale che avrebbero potuto essere collocati tramite apposite aste.
Va sottolineato, al riguardo, che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
Il secondo motivo è parimenti infondato.
Il materiale elettrico e metallico sottratto consisteva in circa mt. 50 di cavo di rame guaina nera; circa mt. 50 di cavo di rame guaina bianca; circa 50 Kg. di metalli vari.
Orbene, in tema di prova, il ricorso alle nozioni di comune esperienza attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui giudizio circa la sussistenza di un fatto notorio può essere censurato in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio (da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo) e non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, non essendo il giudice tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda; peraltro, allorché si assuma che il fatto considerato come notorio dal giudice non risponde al vero, l’inveridicità può formare esclusivamente oggetto di revocazione, ove ne ricorrano gli estremi, non già di ricorso per cassazione (Cass. n. 4182/2024).
Nel caso in esame, l’affermazione dei giudici di merito, i quali hanno ritenuto fatto di comune esperienza che una discreta quantità di cavi di rame e una notevole quantità di oggetti ferrosi (ben 50 Kg) conservasse un intrinseco valore economico ed una sicura utilità, sicuramente costituisce una circostanza obiettivamente conosciuta, nella collettività, da un uomo di media cultura nei tempi di oggi, attesa anche la rilevanza da parte della cronaca nazionale che viene data ai numerosi furti di siffatto materiale, ad opera di ignoti,
proprio per il valore economico-commerciale dello stesso e per il loro riutilizzo in altri modi.
Il terzo motivo è anche esso infondato.
La Corte territoriale si è, infatti, attenuta ai consolidati principi statuiti in sede di legittimità secondo cui, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nella attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, ma la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all’art. 2119 cod. civ. (Cass. n. 17321/2020; Cass n. 3283/2020; Cass. n. 13865/2019), mentre è vincolante la previsione della contrattazione collettiva se, invece, per il fatto addebitato sia prevista, in modo tipizzato ovvero desunta attraverso l’interpretazione di una clausola elastica e generale, l’applicazione di una sanzione conservativa (Cass. n. 8718/2017; Cass. n. 9223/2015; Cass. n. 11665/2022), a meno che il giudice non accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva (Cass. n. 8621/2020; Cass. n. 9223/2015) ovvero quando siano presenti elementi aggiuntivi, estranei o aggravanti rispetto alla previsione contrattuale (Cass. n. 36427/2023).
Con un accertamento di fatto, poi, esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc nuova formulazione, ha ritenuto, con riguardo al caso di in esame, che l’insussistenza della buona fede, da parte del lavoratore, ed il conservato valore economico della cospicua entità del materiale abusivamente prelevato rendevano il fatto di estrema gravità e certamente idoneo a compromettere la fiducia del datore di lavoro nella affidabilità del dipendente, tenuto conto dello speciale titolo professionale a lui riconosciuto come ispettore ambientale: ciò ai sensi del parametro normativo di cui all’art. 2119 cod. civ. e della previsione contrattuale collettiva di cui all’art. 68 del
CCNL che prevede appunto l’applicazione del licenziamento senza preavviso nei confronti del personale resosi colpevole di mancanze relative a doveri di entità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, tra cui l’appropriazione di beni a ziendali.
Inoltre, la Corte territoriale, in modo esaustivo e corretto, ha evidenziato anche le differenze tra la presente fattispecie e un altro caso, giudicato in modo discorde da diversa Corte di merito e richiamato dall’odierno ricorrente, concernente l’appropri azione di un monopattino, conferito nel centro raccolta rifiuti, da parte del personale ivi addetto, proprio sulla base del differente valore economico e della residua utilità del materiale asportato nelle due fattispecie.
Alcuna violazione delle norme denunciate è, pertanto, ravvisabile.
Il quarto motivo, infine, è infondato.
Il principio di immutabilità della contestazione attiene al complesso degli elementi materiali connessi all’azione del dipendente e può dirsi violato solo ove venga adottato un provvedimento sanzionatorio che presupponga circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle contestate, così da determinare una concreta menomazione del diritto di difesa dell’incolpato (Cass. n. 11540/2019; Cass. n. 8293/2019).
Nel caso in esame, invece, come giustamente rilevato dalla Corte di appello, in linea con i precedenti sopra richiamati, il fatto materiale addebitato (asportazione abusiva del materiale conferito in un CCR in contrasto con le normative di legge ed interne) è lo stesso di quello posto a fondamento del provvedimento espulsivo, costituendo i richiami alle modalità di smaltimento e rifiuto, alla violazione del divieto espresso affisso presso ogni Centro ecologico e al danno patito dall’Azienda perché il materi ale avrebbe potuto essere venduto con apposita asta, solo specificazioni delle ‘normative di legge ed interne sulla gestione dei rifiuti’, richiamate nella contestazione disciplinare e senza che possa, appunto, ipotizzarsi una lesione del diritto di difesa dell’incolpato.
Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 23 ottobre 2024