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Licenziamento per furto: la valutazione del giudice

Un dipendente con ruolo di responsabilità viene licenziato per la sottrazione non autorizzata di materiale aziendale. La Corte di Cassazione conferma la legittimità del licenziamento per furto, stabilendo che un singolo episodio, se provato e sufficientemente grave, è bastante a rompere il vincolo fiduciario e a giustificare il recesso, anche in presenza di altre contestazioni non pienamente accertate. La Corte ribadisce di non poter riesaminare nel merito le prove, compito che spetta esclusivamente ai giudici dei gradi precedenti.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento per Furto: Un Solo Episodio Può Bastare?

Il licenziamento per furto rappresenta una delle ipotesi più gravi di interruzione del rapporto di lavoro, poiché incide direttamente sul vincolo fiduciario che lega datore e dipendente. Ma cosa succede quando al lavoratore vengono contestati più episodi e solo uno viene pienamente provato? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, confermando che un singolo atto di grave inadempimento può essere sufficiente a legittimare il recesso per giusta causa.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un capo reparto di un’azienda del settore chimico, licenziato a seguito di due episodi di presunta sottrazione di materiale aziendale (prodotti vernicianti). Mentre la contestazione relativa al primo episodio era stata ritenuta generica dalla Corte d’Appello, il secondo episodio è stato considerato pienamente provato e di gravità tale da giustificare la massima sanzione espulsiva. Le prove raccolte dal datore di lavoro, tra cui diverse testimonianze, sono state giudicate “molteplici, univoche e concordanti” nel dimostrare il passaggio del materiale oltre la recinzione aziendale.

Il lavoratore ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo, tra le altre cose, l’errata valutazione delle prove da parte dei giudici d’appello e la sproporzione della sanzione rispetto ai fatti.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello e la legittimità del licenziamento. I giudici hanno chiarito due principi fondamentali: in primo luogo, il ruolo della Cassazione non è quello di rivalutare le prove e i fatti, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello); in secondo luogo, hanno affermato la piena legittimità di un licenziamento fondato su un unico episodio, se questo è abbastanza grave da ledere irreparabilmente la fiducia del datore di lavoro.

Le Motivazioni: la gravità del singolo atto nel licenziamento per furto

La Corte ha basato la propria decisione su un’attenta analisi del concetto di “giusta causa”. I giudici hanno spiegato che, per valutare la legittimità di un licenziamento per furto, non è necessario che tutte le contestazioni mosse al dipendente siano provate. È sufficiente che anche uno solo degli addebiti presenti un carattere di gravità tale da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Nel caso specifico, la condotta del lavoratore è stata giudicata grave sotto un duplice profilo:
1. Oggettivo: L’asportazione non autorizzata di materiale aziendale, in violazione delle procedure interne che richiedevano un’autorizzazione scritta, e le modalità furtive dell’azione.
2. Soggettivo: La posizione di responsabilità ricoperta dal dipendente (capo reparto), che lo investiva anche del compito di autorizzare altri prelievi, e la sua ammissione di aver già compiuto atti simili in passato. Questi elementi hanno dimostrato, secondo la Corte, una “intenzionale impermeabilità alla disciplina aziendale” e una totale inaffidabilità.

La Suprema Corte ha sottolineato che il giudice di merito ha correttamente ancorato la sua valutazione alla rottura del vincolo fiduciario, elemento essenziale del rapporto di lavoro, rendendo la sanzione espulsiva proporzionata alla mancanza commessa.

Le Conclusioni

Questa pronuncia ribadisce un principio consolidato nel diritto del lavoro: la fiducia è un pilastro del rapporto lavorativo e la sua violazione, soprattutto attraverso condotte disoneste come la sottrazione di beni aziendali, può avere conseguenze definitive. Per i datori di lavoro, la sentenza conferma che un’azione disciplinare solida, basata su prove concrete anche per un singolo grave episodio, può resistere al vaglio giudiziario. Per i lavoratori, essa serve da monito sull’importanza di mantenere un comportamento corretto e leale, specialmente per chi ricopre ruoli di responsabilità, poiché un singolo passo falso può compromettere irrimediabilmente l’intero percorso professionale all’interno dell’azienda.

È necessario che il datore di lavoro provi tutti gli addebiti contestati per legittimare un licenziamento per giusta causa?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudice può ritenere giustificato il licenziamento anche se solo uno dei diversi episodi contestati risulta provato, a condizione che tale singolo episodio sia di gravità tale da rompere il rapporto di fiducia e non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Il licenziamento per furto è sempre legittimo a prescindere dal valore del bene sottratto?
La sentenza si concentra sulla gravità della condotta e sulla rottura del vincolo fiduciario, più che sul valore economico del bene. La Corte ha valutato la gravità del comportamento (prelievo non autorizzato, modalità che denotavano la volontà di nascondere l’atto, qualifica di responsabilità del dipendente) come elemento centrale per giustificare il recesso.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove, come le testimonianze, valutate dalla Corte d’Appello?
No. Il ruolo della Corte di Cassazione è quello di giudice di legittimità, non di merito. Ciò significa che non può entrare nel merito della valutazione delle prove, come l’attendibilità di un testimone. Il suo compito è verificare che il giudice di appello abbia applicato correttamente le norme di legge e abbia motivato la sua decisione in modo logico e coerente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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