Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8987 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8987 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7467-2024 proposto da:
NOME COGNOME domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME;
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
R.G.N. 7467/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 25/02/2025
CC
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 165/2023 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 08/01/2024 R.G.N. 120/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Perugia, in riforma della pronuncia del Tribunale di Spoleto, ha respinto le domande proposte da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato in data 27.3.2020.
La Corte territoriale, conformemente al giudice di primo grado ha rilevato che la contestazione disciplinare era generica quanto al primo episodio di prelevamento, non autorizzato, di prodotti vernicianti dall’azienda (svoltosi in data 9.3.2020) mentre, in riforma della pronuncia di primo grado, ha ritenuto il secondo episodio (medesimo comportamento tenuto in data 11.3.2020) di gravità tale, da un punto oggettivo e soggettivo, da giustificare il licenziamento, anche alla luce della scala valoriale dettata dal CCNL settore Chimica industria (art. 40), che tra le esemplificazioni di condotte punite con il recesso include il furto e il danneggiamento volontario di materiale dell’impresa; in particolare, la Corte territoriale (valutando sia le dichiarazioni rese dal lavoratore nell’interrogatorio formale sia, comparativamente fra loro, tutte le deposizioni testimoniali) ha sottolineato che ‘ le prove fornite dal datore di lavoro sulla sussistenza dell’episodio del giorno 11 marzo 2020, posto a base del licenziamento, sono state molteplici, univoche e concordanti ‘, essendo stato dimostrato il passaggio al di là della recinzione di confine dell’area aziendale di materiale COGNOME, e che in azienda vigeva la regola secondo
cui ogni prelievo di materiale di scarto da parte dei dipendenti doveva essere proceduto da richiesta scritta, a sua volta da autorizzare con la sottoscrizione da parte della direzione aziendale e da parte del capo reparto; da un punto di vista soggettivo, i giudici del merito hanno evidenziato la modalità della condotta del lavoratore, che ha operato lontano dai cancelli aziendali, in orario di servizio (anziché a fine turno, come prescritto nella circolare aziendale), con una gestualità compatibile con un peso non irrilevante delle latte di materiale, oltre al fatto che lo stesso lavoratore ha ammesso di aver prelevato, in occasioni precedenti, materiale (a suo dire di scarto) e tenuto conto della qualifica (di capo reparto produzione) rivestita.
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. La società ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato, illustrato da memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso principale, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 5, violazione degli artt. 5 della legge n. 604 del 1966, 2697 e 2729 c.c. nonché omesso esame di un fatto decisivo avendo, la Corte di appello valutato (tra le varie deposizioni raccolte) la dichiarazione del teste Checchè, a differenza del giudice di primo grado che non l’aveva ritenuta rilevante trattandosi di testimonianza de relato; e, invero, tale deposizione deve ritenersi priva di riscontri; inoltre, il giudice di appello ha erroneamente ritenuto che si dovesse ricavare, dalle deposizioni dei testimoni Checché e Strati, che il lavoratore
avesse ammesso i fatti di cui alla data dell’11.3.2020, fondando, pertanto, la decisione su un fatto storico privo di precisione e di concordanza tra inferenza dal fatto noto a quello ignoto.
Con il secondo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 5, violazione degli artt. 5 della legge n. 604 del 1966, 2697 e 2729 c.c. nonché omesso esame di un fatto decisivo avendo, la Corte di appello omesso di valutare alcuni indizi (mancanza di discrepanze tra le annotazioni sul foglio di resa e il cedolino di carico; assenza di emergenze di furti in azienda).
Con il terzo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, c.c. violazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nonché degli artt. 2119 e 2106 c.c. e 40 del CCNL di settore avendo, la Corte di appello omesso di valutare, ai fini della legittimità e proporzionalità della sanzione espulsiva, l’assenza di precedenti disciplinari e l’esiguità del danno; inoltre, i fatti come ricostruiti non sono sussumibili (nella clausola collettiva che, in maniera esemplificativa, delinea le condotte punite con sanzione espulsiva, ossia) nell’art. 40 del CCNL applicato in quanto non vi è infrazione ‘ alla disciplina…nel lavoro’, non vi è grave nocumento né grave danno materiale all’azienda.
Con il quarto motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, c.c. violazione o falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 avendo, la Corte di appello, da una parte, ritenuta generica la contestazione disciplinare concernente il primo episodio (quello del 9.3.2020) e, dall’altra, errato nello scindere i due episodi che dovevano ritenersi un unico coacervo.
Il ricorso incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n.3, violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970, avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto generica la contestazione disciplinare relativa al primo episodio (prelievo di materiale effettuato dal lavoratore in data 9.3.2020) che concerneva la dichiarazione dello stesso COGNOME durante il colloquio con il suo superiore lo stesso 9.3.2020, di aver in precedenza già commesso furti di materiale aziendale.
Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale sono inammissibili.
6.1. Le doglianze adombrano, nella loro essenza, un più appagante coordinamento dei riscontri probatori acquisiti e si risolvono nell’unilaterale contrapposizione di un diverso inquadramento dei dati di fatto, esaminati in modo parziale e atomistico, e nella reiterazione di rilievi già disattesi dalla Corte d’appello, con motivato e plausibile apprezzamento.
6.2. Spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge ‘ (cfr., da ultimo, Cass., 2 maggio 2024, n. 11718; nello stesso senso, Cass., 27 gennaio 2022, n. 2356; Cass., 13 gennaio 2020, n. 331; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass. civ., sez. lav., 8 settembre 2015, n. 17774; Cass., 4 novembre 2013, n. 24679; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass., Sez. Lav., 7 febbraio 2004, n. 2357).
Il terzo motivo di ricorso non è fondato.
7.1. La Corte territoriale ha accertato -a fronte della nozione legale della giusta causa e del giustificato motivo -la sussistenza di una giusta causa di recesso ossia un di inadempimento grave, tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, di natura oggettiva e soggettiva, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo e assegnando rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva ove sono anche punite con il recesso ‘ azioni … oggettivamente considerate particolarmente gravi e delittuose a termini di legge…come il furto’ (la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dettata dall’art. 2119 c.c., cfr. Cass. n. 16784 del 2020; conf. Cass. n. 17231 del 2020; v. anche Cass. n. 1665 del 2022, Cass. n. 13865 del 2019, Cass. n. 2518 del 2023).
7.2. Nel caso in esame, la Corte d’appello ha condotto la sua valutazione in conformità ai principi di diritto richiamati ed ha ancorato la gravità della condotta e la connessa proporzionalità della sanzione espulsiva ad una duplice caratteristica: da un punto di vista oggettivo, la prova del prelievo, in data 11.3.2020, non autorizzato, di latte di materiale COGNOME, con modalità tali che rendevano esplicita la volontà di occultare la condotta; da un punto di vista soggettivo, l’ammissione, da parte del lavoratore, di aver già, precedentemente, prelevato, senza autorizzazione, medesimo
materiale, profilo, che -unitamente alla qualifica assegnata (che, inoltre, lo investiva anche della responsabilità di autorizzare gli altri dipendenti del reparto al prelievo di materiale) -evidenziava la ‘ intenzionale impermeabilità alla disciplina aziendale’, e, dunque, l’inaffidabilità del dipendente. 7.3. L’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito – ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento – non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard s, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale, denuncia che nel caso di specie non è stata proposta, essendosi limitato, il ricorrente, a censurare una erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, accertamento (degli elementi che integrano il parametro normativo e sue specificazioni e della loro attitudine a costituire giusta causa di licenziamento) che opera sul piano del giudizio di fatto ed è demandato al giudice di merito.
Il quarto motivo di ricorso non è fondato.
8.1. Questa Corte ha affermato che ‘in tema di licenziamento per giusta causa, quando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, pur dovendosi escludere che il giudice di merito possa esaminarli atomisticamente, attesa la necessaria considerazione della loro concatenazione ai fini della valutazione della gravità dei fatti, non occorre che l’esistenza della “causa” idonea a non consentire la prosecuzione del rapporto sia ravvisabile
esclusivamente nel complesso dei fatti ascritti, ben potendo il giudice – nell’ambito degli addebiti posti a fondamento del licenziamento dal datore di lavoro – individuare anche solo in alcuni o in uno di essi il comportamento che giustifica la sanzione espulsiva, se lo stesso presenti il carattere di gravità richiesto dall’art. 2119 cod. civ.’ (Cass. n. 2579 del 2009; nello stesso senso, Cass. n. 24574 del 2013, Cass. n. 113 del 2020).
Il ricorso incidentale è assorbito essendo stato espressamente condizionato all’accoglimento del ricorso principale.
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
La domanda di condanna ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod.proc.civ. va respinta, non essendo emersa la concreta presenza di malafede o colpa grave della parte soccombente (cfr. sui requisiti necessari per configurare detta responsabilità, da ultimo, Cass. n. 19948 del 2023).
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale , dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 25 febbraio