Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13620 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 13620 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso 15333-2024 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
REGIONE CAMPANIA, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME – controricorrente – avverso la sentenza n. 333/2024 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 05/02/2024 R.G.N. 2240/2023;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME
R.G.N. 15333/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 02/04/2025
PU
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Napoli ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Avellino che aveva accertato la legittimità del licenziamento senza preavviso intimato dalla Regione Campania all’appellante con atto del 25 marzo 2022.
La Corte distrettuale ha premesso che alla COGNOME era stata contestata la condotta tipizzata dall’art. 55 quater lett. a) del d.lgs. n. 165/2001 perché nell’arco di 5 giorni del mese di maggio 2018 si era assentata dal servizio per 5 ore e 39 minuti a fronte di 50 ore vidimate ed inoltre in quattro occasioni aveva attestato falsamente la presenza di una collega, utilizzandone il badge , mentre in altre due aveva affidato alla stessa la sua carta elettronica affinché effettuasse la falsa registrazione. I fatti erano stati accertati dalla polizia giudiziaria, nella specie la Guardia di Finanza, ed erano stati oggetto di procedimento penale, sfociato nel decreto di archiviazione emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Avellino, con il quale era stata fatta applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., sul rilievo che l’offesa fosse di particolare tenuità , tenuto conto delle modalità della condotta e dell’esiguità del danno, valutate ai sensi dell’art. 133 cod. pen.
Il giudice d’appello, per quel che in questa sede rileva, ha ritenuto infondata l’eccezione di tardività della contestazione disciplinare e, richiamata giurisprudenza di questa Corte sulla necessità che, ai fini del decorso dei termini, la notizia di in frazione abbia contenuto tale da consentire l’avvio del procedimento con la formulazione di una valida contestazione, ha escluso che il decreto di sequestro probatorio del 3 settembre 2018 e la richiesta di proroga delle indagini preliminari contenessero una specifica descrizione
delle condotte addebitabili a ciascuno degli indagati. Ha evidenziato al riguardo che l’Ufficio per i procedimenti disciplinari aveva avuto piena conoscenza dei fatti solo a seguito dell’acquisizione di tutti gli atti contenuti nel fascicolo penale, avvenuta il 9 novembre 2021, e rispetto a detto termine aveva tempestivamente esercitato l’azione disciplinare.
4. La Corte distrettuale ha, poi, ritenuto proporzionata alla gravità dei fatti la sanzione espulsiva e ha rilevato, in premessa, che il decreto di archiviazione emesso dal giudice penale non ha alcuna autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare, sicché il giudice civile investito dell’impugnazione può liberamente valutare la condotta e la sua gravità, e ciò anche nell’ipotesi in cui in sede penale l’offesa sia stata ritenuta di particolare tenuità. Ha escluso la dedotta disparità di trattamento rispetto ad altro dipendente al quale era stata irrogata la sanzione conservativa e ha rilevato che in quel caso l’amministrazione aveva desunto la minore gravità della condotta dalla circostanza che non vi era stato accordo fraudolento con altri colleghi di lavoro in merito all’utilizzo del badge . Ha aggiunto che la COGNOME nel mese di maggio 2018 era stata in servizio per soli 7 giorni, nei quali aveva ripetutamente posto in essere la condotta illecita, sicché l’oggettiva gravità, valutata unitamente alla reiterazione ed alla piena consapevolezza e volontarietà della condotta medesima, giustificava la sanzione espulsiva in quanto idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario e non scriminata dalle condizioni di salute del congiunto, perché dalla documentazione prodotta emergeva che i ricoveri ospedalieri del padre della COGNOME risalivano ad un periodo successivo a quello nel quale i fatti si erano verificati. 4. Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso sulla base di due motivi, illustrati da
memoria, ai quali ha opposto difese con controricorso la Regione Campania.
5. L’Ufficio della Procura Generale ha depositato conclusioni scritte, ulteriormente illustrate nel corso della discussione orale, ed ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300/1970 e dell’art. 24 Cost. e censura il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto infondata l’eccezione di tardività della contestazione e del procedimento disciplinare. La ricorrente ribadisce che l’amministrazione aveva avuto contezza dei fatti attraverso la notifica del decreto di sequestro probatorio ed anche a seguito della comunicazione degli ulteriori atti che, a partire dall’anno 2018, erano stati adottati dalla Procura di Avellino in relazione alle indagini preliminari compiute nel procedimento n. 1946/2018.
La seconda critica, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., addebita alla Corte territoriale di essere incorsa nella violazione degli artt. 55 ter e 55 quater del d.lgs. n. 165/2001. La ricorrente fa leva sul decreto di archiviazione, adottato ex art. 131 bis cod. pen. in considerazione della particolare tenuità del fatto, e poi argomenta sulla mancanza di intenzionalità della condotta, in realtà giustificata dal «proprio stato psicofisico in considerazione delle condizioni cliniche del padre». Richiama giurisprudenza di questa Corte formatasi sull’interpretazione dell’art. 55 quater e sostiene che andava valutato, per escludere la proporzionalità della sanzione, anche il CCNL per il personale del comparto enti locali, che sanziona con la
sospensione dal servizio l’assenza ingiustificata e l’arbitrario abbandono del posto di lavoro.
3. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato nella parte in cui invoca l’applicazione dell’art. 7 della legge n. 300/1970 ed è inammissibile per il resto.
A partire dal d.lgs. n. 150/2009, che ha interamente riscritto le originarie disposizioni del d.lgs. n. 165/2001, l’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro pubblico è disciplinato dagli artt. 55 e seguenti del richiamato decreto, che non contengono più il rinvio all’art. 7 dello Statuto , in passato disposto dal comma 2 dell’art. 55.
I termini per l’esercizio e per la conclusione del procedimento disciplinare sono espressamente indicati dall’art. 55 bis , che individua in modo certo ed oggettivo il dies a quo e fa decorrere quello per la contestazione dal momento in cui l’U.P.D. ha acquisito la piena conoscenza dei fatti di rilievo disciplinare.
Va rammentato al riguardo che questa Corte ha costantemente ribadito il principio, enunciato da Cass. n. 20733 del 2015, secondo cui, all’esito della riformulazione dell’art. 55 del d.lgs. n. 165 del 2001, non assumono alcun rilievo comunicazioni pervenute ad articolazioni dell’amministrazione di appartenenza diverse dall’UPD e dalla struttura alla quale l’incolpato è assegnato. Infatti, la scansione del procedimento stesso e la decadenza dall’azione disciplinare richiedono necessariamente un’individuazione non equivoca del dies a quo , impossibile ove si ritenesse di agganciarlo ad una qualsiasi notizia pervenuta a qualunque ufficio dell’amministrazione.
E’ stato rimarcato che le esigenze di certezza sono poste a tutela di entrambe le parti del rapporto perché, se, da un lato, occorre evitare che il dipendente pubblico possa rimanere esposto senza limiti temporali all’iniziativa disciplinare,
dall’altro occorre anche assicurare il buon andamento della pubblica amministrazione, che risulterebbe vulnerato da un’interpretazione che lasciasse nel vago il dies a quo del procedimento, rimettendolo – in ipotesi – anche a notizie informali o pervenute ad uffici privi di competenza quanto alla materia disciplinare e con i quali il dipendente non abbia alcuna relazione diretta (cfr. in motivazione fra le tante Cass. n. 20730/2022, Cass. n. 16842/2019 nonché Cass. n. 8943/2023 che, richiamati detti principi, li ha estesi al dies a quo per la riattivazione del procedimento disciplinare sospeso).
3.1. È altresì consolidato l’orientamento secondo cui la decorrenza del termine di decadenza di cui all’art. 55 bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001 presuppone l’acquisizione di una notizia ‘qualificata’ e idonea a supportare l’apertura del procedimento disciplinare con la formulazione della contestazione (cfr. fra le più recenti Cass. n. 18362/2023 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione), sicché il termine medesimo non può decorrere a fronte di una notizia che non consenta la formulazione dell’incolpazione e richieda accertamenti di carattere preliminare volti ad acquisire i dati necessari per circostanziare l’addebito (cfr. Cass. n. 35061/2023 ed i richiami ivi contenuti). Ciò perché, come è stato pure osservato, un fatto è rilevante sul piano disciplinare soltanto se corredato da elementi narrativi e conoscitivi sufficientemente articolati, dettagliati e circostanziati in quanto « è a tutela dello stesso lavoratore evitare che vengano promosse iniziative disciplinari ancora prive di sufficienti dati conoscitivi; né risponde ad un’esigenza di economia ed efficienza dell’agire amministrativo l’apertura di procedimenti disciplinari in assenza di significativi elementi di riscontro della responsabilità» (Cass. n. 33236/2022).
3.2. Il richiamato orientamento, che si è formato nella vigenza dell’art. 55 bis d.lgs. n. 165/2001 nel testo formulato dal d.lgs. n. 150/2009, non ha perso attualità all’esito della riformulazione operata dall’art. 15 del d.lgs. n. 75 del 25 maggio 2017 (applicabile ratione temporis alla fattispecie nella quale si discute di fatti verificatisi in epoca successiva alla novella normativa). Il legislatore, infatti, oltre a ribadire che il termine per l’avvio del procedimento disciplinare decorre dal momento in cui l’UPD riceve la segnalazione, ha aggiunto «ovvero dal momento in cui abbia altrimenti avuto piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare», in luogo dell’originaria formulazione che valorizzava la «data nella quale l’ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell’infrazione». In tal modo è stata avallata l’interpretazione alla quale questa Corte era già pervenuta quanto al significato da attribuire al termine «notizia», perché la «piena conoscenza» che, secondo il testo vigente fa decorrere i termini del procedimento, è solo quella che consente l’immediato avvio dello stesso e si realizza allorquando l’amministrazione è posta in condizione di formulare una contestazione specifica quanto al fatto, al suo autore ed alle modalità di realizzazione della condotta.
3.3. Dai richiamati principi non si è discostata la Corte territoriale la quale, come si è evidenziato nello storico di lite, ha accertato, esaminando la documentazione in atti, che solo in data 9 novembre 2021 l’U.P.D. aveva avuto contezza dei fatti nei termini sopra precisati, perché né il decreto di sequestro probatorio né la richiesta di proroga delle indagini preliminari contenevano la descrizione delle condotte addebitabili agli indagati, limitandosi ad un generico richiamo alla notizia di reato, alla indicazione della norma incriminatrice, alla elencazione dei dipendenti sottoposti ad indagini.
Il ricorso, infondato nella parte in cui denuncia la violazione dell’art. 7 della legge n. 300/1970 senza confrontarsi con la disciplina dettata dal d.lgs. n. 165/2001, nel testo applicabile ratione temporis , è inammissibile lì dove contesta l’accertamento di merito compiuto dalla Corte territoriale e sollecita, quanto al contenuto del decreto di sequestro e degli atti comunicati nel corso delle indagini preliminari, una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimità.
Parimenti infondato, ed in parte inammissibile, è il secondo motivo.
Da tempo questa Corte, nell’interpretare l’art. 55 quater, lett. a) del d.lgs. n. 165/2001, ha affermato che la condotta di rilievo disciplinare non richiede un’attività materiale di alterazione o manomissione del sistema di rilevamento delle presenze in servizio, purché la condotta sia oggettivamente idonea ad indurre in errore il datore di lavoro, sicché anche l’allontanamento dall’ufficio, non accompagnato dalla necessaria timbratura, integra una modalità fraudolenta, diretta a rappresentare una situazione apparente diversa da quella reale ( Cass. n. 17367/2016 e Cass. n. 25750/2016).
La disposizione normativa è stata, inoltre, interpretata alla luce dello sfavore manifestato dalla giurisprudenza costituzionale rispetto agli automatismi espulsivi e, pertanto, si è valorizzato il richiamo testuale all’art. 2106 cod. civ. per limitare l’imperatività assoluta al rapporto fra legge e contratto collettivo e per affermare che l’esercizio del potere datoriale resta comunque sindacabile da parte del giudice quanto alla necessaria proporzionalità della sanzione espulsiva (si rimanda alla giurisprudenza richiamata da Corte Cost. n. 123/2020 che, valorizzando questa interpretazione costituzionalmente orientata, ha dichiarato inammissibile la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 quater prospettata dal Tribunale di Vibo Valentia).
Dai richiamati principi non si è discostata la Corte territoriale la quale, dopo avere evidenziato che i fatti nella loro materialità non erano stati oggetto di specifica contestazione e, comunque, emergevano dalla «comparazione dei dati risultanti dal monitoraggio video e dai tabulati del sistema informatico di rilevamento delle presenze», ha valorizzato, ai fini del giudizio di proporzionalità, la reiterazione della condotta (replicata 5 volte in 7 giorni lavorativi), la durata dell’assenza ( su 50 ore lavorative 5 ore e 39 minuti risultavano falsamente attestati), l’accordo fraudolento intervenuto con la collega (che aveva utilizzato il badge in sua vece e che aveva richiesto il medesimo ‘favore’ alla COGNOME), l’assenza di circostanze che fossero idonee a scriminare il comportamento o che giustificassero l’allontanamento ed è pervenuta a ritenere gravemente leso il vincolo fiduciario, anche in ragione della piena intenzionalità della condotta.
Il giudice d’appello, quindi, non si è limitato a valorizzare la tipizzazione normativa, peraltro indicativa del particolare disvalore della condotta di falsa attestazione della presenza in servizio, se commessa dal dipendente pubblico che, in adempimento di specifici obblighi imposti dalla Carta Costituzionale ( artt. 54 e 98 Cost.), è tenuto al rispetto dei «doveri di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico» ( art. 54, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001).
Ha effettuato, infatti, una valutazione in concreto della condotta, nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi, pervenendo a ritenere leso il vincolo fiduciario e facendo corretta applicazione del principio secondo cui il licenziamento può essere legittimamente intimato per giusta causa allorquando
la condotta del lavoratore rivesta il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto ed in particolare della fiducia che il datore di lavoro, pubblico o privato, deve poter riporre nel futuro corretto adempimento delle obbligazioni che da quel rapporto scaturiscono.
4.1. La correttezza delle conclusioni alle quali il giudice del merito è pervenuto non può essere messa in dubbio facendo leva sul decreto di archiviazione emesso ex art. 131 bis cod. pen. dal G.I.P. presso il Tribunale di Avellino, che ha ritenuto l’offesa penale di particolare tenuità.
Costituisce ormai ius receptum l’orientamento secondo cui, in ragione dell’autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale, affinché l’esito di quest’ultimo possa impedire l’irrogazione della sanzione è necessario che sia stata esclusa dalla sentenza definitiva di assoluzione la materialità delle condotte e non la sola rilevanza penale delle stesse e che l’esclusione abbia ampiezza tale da non lasciare residuare elementi fattuali, ricompresi nell’originaria contestazione, che possano avere un’autonoma rilevanza disciplinare (si rimanda a Cass. n. 19514/2024 ed ai precedenti ivi richiamati in motivazione).
L’orientamento citato, inerente agli effetti del giudicato penale, a maggior ragione impedisce che possa essere ostativo all’irrogazione della sanzione il decreto di archiviazione, che non è equiparabile alla sentenza di assoluzione e, pertanto, non ha autorità di cosa giudicata nel procedimento disciplinare (cfr. fra le tante Cass. S.U. n. 14551/2017).
Si deve, poi, aggiungere che la regola di giudizio che presiede alla valutazione della gravità dell’offesa penale non è coincidente con quella applicabile al giudizio di proporzionalità della sanzione disciplinare, perché l’apprezzamento della condotta nei profili oggettivi e
soggettivi in un caso è finalizzato a valutare la lesione del bene tutelato dalla fattispecie incriminatrice, nell’altro ad accertare l’incidenza sui doveri che derivano dal rapporto di impiego e sul vincolo fiduciario, costituente elemento essenziale del rapporto di lavoro.
4.2. Parimenti è da escludere che possano essere invocate nella fattispecie le previsioni, peraltro neppure specificamente indicate, della contrattazione collettiva che, secondo la ricorrente, sanzionerebbero con la sospensione dal servizio l’assenza ingiustificata e l’arbitrario abbandono del posto di lavoro.
Il codice disciplinare che la COGNOME invoca è quello dettato dall’art. 3 del CCNL 11 aprile 2008 che, con riferimento alle fattispecie tipizzate dall’art. 55 quater del d.lgs. n. 165/2001, non è più applicabile dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2009, perché sostituito automaticamente dalla diversa previsione normativa della sanzione espulsiva, ai sensi dell’art. 55 comma 1 del decreto legislativo citato, che richiama, quanto al rapporto fra legge e contrattazione collettiva, gli artt. 1339 e 1419, secondo comma, cod. civ.
La contrattazione intervenuta dopo il periodo di ‘blocco’ ha preso atto del mutato contesto normativo ed infatti l’art. 59 del CCNL 21 maggio 2018 ha previsto espressamente al comma 9, n. 2, lett. a), la sanzione del licenziamento senza preavviso per « le ipotesi considerate nell’art. 55-quater, comma 1, lett. a), d), e) ed f) del D.Lgs. n. 165/2001».
4.3. Per il resto il motivo di ricorso si risolve in una critica all’accertamento di fatto ed è, in quanto tale, inammissibile. Per consolidato orientamento di questa Corte, infatti, la proporzionalità della sanzione disciplinare è determinata dal giudice del merito, che è tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, valutando ogni aspetto concreto della vicenda, con giudizio che, se sorretto da
adeguata e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità (Cass. n. 26010/2018; Cass. n. 179122023; Cass. n. 107/2024), fermo restando, per gli illeciti disciplinari nel pubblico impiego privatizzato, il potere/dovere del giudice del merito di rimodulare la sanzione, riconosciuto ai sensi dell’art. 63, comma 2 bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 sempre che ne ricorrano i presupposti (vedi, per tutte: Cass. n. 10236/2023).
In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agi accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, il 2 aprile 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME