Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26049 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 26049 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/09/2025
SENTENZA
sul ricorso 24362-2024 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE FOGGIA, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1126/2024 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 19/07/2024 R.G.N. 1080/2023; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/05/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME
R.G.N. 24362/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 06/05/2025
PU
udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La professoressa NOME COGNOME aveva svolto docenze (supplenze) a tempo determinato part time in qualità di esperta madrelingua inglese nella scuola pubblica di Istruzione secondaria di II grado, a far data dall’anno 1997 e, come CEL (collaboratore esperto linguistico), presso l’Università di Foggia dall’anno 2009 con contratti di lavoro di diritto privato.
In data 14 settembre 2015, a seguito della immissione in ruolo in qualità di docente alle dipendenze del Ministero dell’Istruzione per l’insegnamento di conversazione in lingua straniera (Inglese), la ricorrente sottoscriveva regolare contratto e veniva assegnata presso il liceo scientifico ‘EINDIRIZZO‘ di Guidonia (Roma). Contestualmente (il 14.09.2015) la ricorrente chiedeva di essere collocata in aspettativa, per motivi personali, dall’Amministrazione pubblica scolastica e allegava che: a) nell’anno sc olastico 2016/2017 svolgeva docenze part time per n. 6 ore settimanali c/o l’Istituto magistrale NOME di Cagnano Varano; b) nell’anno scolastico 2017/2018 svolgeva docenze part time per n. 6 ore settimanali c/o l’Istituto INDIRIZZO di Foggia; c) nell’anno scolastico 2018/2019 svolgeva docenze part time per c/o l’Istituto INDIRIZZO di Bari, continuando il servizio con lo stesso orario a tempo parziale e presso lo stesso Istituto scolastico di titolarità negli anni 2019/2020, 2020/2021 e 2021/2022 fino alle dimissioni comunicate via pec in data 05.10.2021; d) i redditi del servizio part time della ricorrente presso l’Amministrazione scolastica negli anni 2018, 2019, 2020 e 2021 sono attestati anche dall’estratto contributivo INPS. In definitiva, gli incarichi a tempo determinato presso l’Università di Foggia in qualità di CEL
(collaboratore esperto linguistico) si sono susseguiti con diverse proroghe o selezioni dal 16.10.2009 fino al 31.08.2018. Nell’ultima domanda di partecipazione alla selezione ‘Sel.1/2014’ indetta dall’Università di Foggia, la ricorrente aveva espressamente indicato nel curriculum vitae e nella dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (ex art. T.U. 445/2000) di ‘aver insegnato nella scuola pubblica di istruzione secondaria di II grado dall’a.s. 1997/98 all’a.s. 2013. All’esito della citata procedu ra, veniva stipulato contratto con decorrenza 01.04.2014 / 30.09.2015, successivamente prorogato di altri 18 mesi.
In data 01.09.2018, a seguito di procedura di stabilizzazione ex D. Lgs. 75/2017, la ricorrente veniva assunta a tempo indeterminato, con contratto part time di 500 ore annuali. In data 30 settembre 2021 l’Università di Foggia comunicava alla dott.ssa COGNOME formale contestazione di addebito disciplinare, con contestuale convocazione per il contraddittorio a sua difesa per il giorno 16 novembre 2021 presso l’Ufficio per i procedimenti disciplinari. Conseguentemente, in data 05.10.2021 la prof.ssa COGNOME i comunicava a mezzo PEC all’Istituto Scolastico ‘C. Poerio’ di Foggia la risoluzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato in essere con decorrenza dal 01.09.2021. Tale dichiarazione era regolarmente acquisita e registrata al numero di protocollo del suddetto Istituto al nr.12465.
Con decreto del direttore generale dell’Università di Foggia (n. 954/2021 Prot. n. 57835-VII/13) del 30.11.2021 veniva irrogata alla prof.ssa COGNOME la sanzione disciplinare del licenziamento per giusta causa senza preavviso richiamando le risultanze dell ‘UPD.
La Prof.ssa COGNOME impugnava il licenziamento con ricorso al Tribunale di Foggia che, con sentenza n.1068/2023 rigettava la domanda, compensando le spese.
La Prof.ssa COGNOME proponeva appello, evidenziando l’insussistenza di incompatibilità, anche avuto riguardo a quanto deciso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 22497/2022 ed a quanto previsto dal disposto dell’art. 53 del D.lgs. n. 165/2001 in tema di incompatibilità, cumulo d’impieghi ed incarichi dei dipendenti pubblici, e che non sussisteva alcuna dichiarazione mendace, non essendo tenuta la ricorrente a richiedere alcuna autorizzazione, né a comunicare alcunché, svolgendo solo due ore settimanali di lavoro part time presso la scuola. Oltretutto, il Tribunale di Foggia – con sentenza n.3493/2022, giudice Dott. COGNOME – su un caso identico riguardante una Collaboratrice Esperta Linguistica (che aveva subito analogo provvedimento di espulsione per presunta incompatibilità con altro incarico di pubblico impiego scolastico) risolveva la controversia in senso favorevole alla lavoratrice.
Con sentenza n. 1126/2024 pubblicata il 19.07.2024, la Corte d’Appello di Bari respingeva il gravame, condannando la ricorrente alle spese di lite.
La Corte territoriale, disattendendo le censure della ricorrente, riteneva che ‘parte appellante non ha censurato la sentenza nella parte in cui ha respinto la domanda risarcitoria articolata sub c) delle conclusioni del ricorso ed avente ad oggetto il riconoscimento delle differenze retributive relative al periodo 16.10.2009 al 31.08.2018. In ragione di tanto e a fronte della mancata riproposizione della relativa domanda, la decisione resa sul punto dal Tribunale deve ritenersi cristallizzata’. Nel merit o, la Corte d’Appello osservava che ‘dall’esame degli atti di causa, emerge indubitabile che il decreto del 30.11.2021, lungi dal
configurare un provvedimento di decadenza dall’impiego, così come previsto dall’art. 63 del DPR n. 3/1957, costituisce, per forma e contenuto, un licenziamento per giusta causa, ritualmente irrogato alla lavoratrice ai sensi dell’art. 55 quater del D.lgs. n. 165/2001, all’esito di un procedimento disciplinare’. Conclusivamente, la Corte di Bari, nel confermare la sentenza di prime cure, riteneva che ‘non colgono nel segno i profili di doglianza concernenti la mancata pronuncia, da parte del Tribunale, in ordine alla (pur contestata) violazione del divieto di cumulo di impieghi pubblici, derivando tale opzione dalla rituale applicazione alla fattispecie del principio per cui, nell’ipotesi di licenziamento per giusta causa intimato a fronte di più condotte in adempienti, anche l’accertamento della fondatezza di uno degli addebiti può essere idoneo a giustificare la massima sanzione espulsiva.’.
La Corte territoriale riteneva dirimente il fatto che in occasione della stipula del contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato del 29 agosto 2018 con l’Università di Foggia la Puglisi già docente di ruolo presso la scuola pubblica sin dal 2015 ha espressamente dichiarato di non avere altri rapporti di impiego pubblico o privato e che con la dichiarazione sostitutiva di certificazione resa proprio ai sensi dell’articolo 45 del D.P.R. n. 445/2000 la stessa ha ribadito ha riprova dell’intenzionalità del comportamento di non prestare servizio presso altre amministrazioni pubbliche eludendo peraltro la successiva opzione presente nel prestampato contenente la dichiarazione di prestare servizio presso altra amministrazione. Ad avviso della Corte distrettuale, pertanto andava confermata la sentenza di primo grado nella parte in cui ha qualificato la condotta della docente come grave ed intenzionale attesa l’infedele dichiarazione resa ai fini o in occasione dell’instaurazione
del rapporto di lavoro che ha consentito alla stessa di beneficiare della procedura di stabilizzazione destinata ai soli lavoratori precari.
La Corte di appello inoltre riteneva priva di pregio la deduzione concernente l’asserita impossibilità per l’ufficio procedimenti disciplinari di pervenire all’accertamento dei fatti illeciti penalmente rilevanti prima di una sentenza di condanna passata in cosa giudicata. A riguardo La Corte rilevava come la normativa di cui al decreto legislativo numero 188 del 2021 non incida in alcun modo sull’esercizio nell’ambito dei rapporti di lavoro dei poteri disciplinari di cui all’articolo 2106 cod civ essendo noto che la valutazione della gravità disciplinare di una condotta ha natura autonoma e distinta rispetto alla valutazione della relativa rilevanza penale, citando a riguardo numerosi precedenti della Corte di Cassazione.
In ordine alla richiesta di pagamento della retribuzione per il mese di novembre 2021 la Corte riteneva infondata la domanda atteso che il pagamento è da ritenersi subordinato ad una specifica attestazione dell’attività espletata dalla docente secondo le modalità definite dal direttore del Centro; ed in tal senso rilevano anche la previsione contrattuale secondo cui per ogni ora di attività non svolta si avrà una riduzione di 1/500 della retribuzione complessiva ed il contenuto del cedolino del 12 dicembre 2021 in cui è presente uno specifico conteggio in base alle ore espletate nei precedenti mesi da maggio a ottobre previo conguaglio con le assenze. Conseguentemente nulla sarebbe dovuto alla COGNOME non avendo la stessa provveduta da testare l’attività lavorativa svolta nel corso dell’anno 2021 mediante la compilazione della sottoscrizione del registro delle attività così come prevedeva l’articolo quattro del contratto di lavoro.
La prof.ssa COGNOME ricorre infine per cassazione, affidando le proprie difese a due motivi, cui resiste con controricorso l’amministrazione.
La Procura generale chiede nelle sue conclusioni il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta ‘Violazione per mancata applicazione dell’art.53 comma 6 del d.lgs. 165/2001, dell’art. 23 bis D.Lgs. 165/2001, dell’art. 18 della legge 4 novembre 2010 n. 183, interpretati alla luce dell’art.9 comma 1 della direttiva 201 9/1152/UE e dell’art.8 commi 1, 2 e 4 del D.lgs. n.104/2022, alla luce della sentenza n.22497/2022 della Cassazione, nonchè violazione per falsa applicazione dell’art.20 comma 1 del d.lgs. n.75/2017, dell’art. 55 -quater, comma 1, lett. d) del D.lgs. n. 165 /2001, dell’art.483 c.p. e dell’art.2119 c.c., in combinato disposto con gli artt.112 e 116 c.p.c., anche in relazione alla violazione dell’art.4 comma 1 della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, come recepito d all’art.2 comma 1 d.lgs. n.188/2021 -In riferimento all’art.360 comma 1 n.3) c.p.c.’.
La ricorrente si duole che la Corte del merito abbia ignorato quanto disposto dall’art.53 comma 6 del D.lgs. n.165/2001, norma che l’Università di Foggia ha sempre ignorato anche nel procedimento disciplinare, basato essenzialmente, a differenza di quanto sembra ritenere la Corte di appello di Bari, proprio sulla incompatibilità tra i due rapporti di lavoro pubblico.
Con il secondo motivo ci si duole della ‘Violazione dell’art.36 della Costituzione e dell’art.2094 c.c., nonché
dell’art. 14 CCNL, in combinato disposto agli artt.112 e 116 c.p.c., in riferimento all’art.360 comma 1 n.3) c.p.c.’.
La ricorrente lamenta che la Corte di Appello non ha, erroneamente, rilevato che l’Università non ha considerato che, durante il periodo da settembre a novembre 2021, il rapporto di lavoro a tempo indeterminato come CEL fosse ancora in corso con diritto alla piena retribuzione e che abbia svolto le ore di didattica previste, tanto è vero che, seppure tardivamente, ha corrisposto le mensilità di settembre e ottobre 2021, rifiutandosi di pagare la mensilità di novembre 2021 con motivi risibili rispetto alla normativa di tutela del lavoratore e di diritto alla giusta retribuzione ai sensi degli artt.36 della Costituzione e 2094 c.c. La Corte di Appello, inoltre, ha erroneamente ritenuto che l’erogazione dello stipendio fosse subordinata ad una specifica attes tazione dell’attività espletata dalla docente, secondo le modalità definite dal Direttore del Centro, perché l’Università non ha mai negato che le prestazioni fossero state svolte, essendo peraltro il registro delle attività nella esclusiva disponibilità d ell’Università a causa del licenziamento della ricorrente e dal momento che tale registro non è stato mai esibito in giudizio.
3. Con il primo motivo, la ricorrente contesta alla Corte territoriale di aver ritenuto la irrilevanza, ai fini della statuita illegittimità licenziamento, della compatibilità tra due rapporti di lavoro subordinato con due pubbliche amministrazioni, di cui uno con il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (ora MIM) con part time di sole 2 ore settimanali (quindi inferiore al 50% dell’orario normale di lavoro dei docenti MIM) e uno a tempo ‘pieno’ con l’Università di Foggia di 500 ore all’anno, ed a vrebbe invece ritenuto erroneamente che, senza la falsa dichiarazione, la
docente non sarebbe stata stabilizzata a tempo indeterminato presso l’Università.
Il motivo è inammissibile non confrontandosi col decisum. In particolare, la censura non si rapporta con la sentenza impugnata, laddove la stessa ha ritenuto dirimente la falsità dichiarativa reiterata.
Orbene, il ricorso per cassazione deve contenere, invero, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass., 25/02/2004, n. 3741; Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009, n. 18421; Cass. 24/02/2020, n. 4905). In particolare è necessario che venga contestata specificamente, a pena di inammissibilità, la «ratio decidendi» posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n. 19989).
La Corte territoriale ha accertato che il licenziamento per giusta causa si fonda, esclusivamente, sull’accertamento della ‘falsità dichiarativa commessa all’atto dell’instaurazione del rapporto a tempo indeterminato’, per cui la pronuncia ha ritenuto irrilevante la verifica della insussistenza, nel caso di specie, di ipotesi di incompatibilità passibili di sanzione espulsiva essendo assorbente il fatto che, contrariamente al vero, la docente ha affermato, all’atto della stipula, ‘di non avere altri rapport i di impiego pubblico o privato’ ed ha ribadito, con la dichiarazione sostitutiva di certificazione, di ‘non prestare servizio presso altre amministrazioni pubbliche’.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che, per il periodo settembre/novembre 2021, non avesse diritto alla retribuzione.
Anche tale censura è inammissibile.
La sentenza impugnata ha infatti rigettato la specifica domanda della lavoratrice perché la stessa non ha provato lo svolgimento, in quel periodo, dell’attività lavorativa. La censura in quanto volta a contestare tale valutazione di merito è inammissibile nella presente sede di legittimità. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente costituita delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 6 maggio 2025.
Il Giudice estensore NOME COGNOME
La Presidente NOME COGNOME