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Licenziamento per falsa dichiarazione: il caso deciso

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di un licenziamento per falsa dichiarazione inflitto da un’università a una docente. La lavoratrice, al momento dell’assunzione a tempo indeterminato, aveva dichiarato di non avere altri rapporti di lavoro, pur essendo già dipendente di ruolo, seppur part-time, presso una scuola pubblica. I giudici hanno stabilito che la mendace dichiarazione iniziale costituisce una grave violazione del vincolo fiduciario, tale da giustificare la massima sanzione espulsiva, a prescindere dalla successiva verifica sull’effettiva incompatibilità tra i due impieghi.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento per Falsa Dichiarazione: La Cassazione Conferma la Massima Sanzione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale nel diritto del lavoro pubblico: la lealtà e la correttezza nella fase di instaurazione del rapporto sono essenziali. Il caso in esame riguarda un licenziamento per falsa dichiarazione, inflitto a una docente universitaria che aveva omesso di comunicare un preesistente rapporto di lavoro con un’altra amministrazione pubblica. La decisione sottolinea come la menzogna iniziale mini irrimediabilmente il vincolo di fiducia, rendendo legittima la sanzione espulsiva.

I Fatti del Caso: un Doppio Incarico non Dichiarato

La vicenda ha come protagonista una professoressa che, dopo anni di supplenze e collaborazioni a tempo determinato sia nella scuola secondaria che come collaboratrice esperta linguistica (CEL) presso un ateneo, ottiene un’immissione in ruolo presso il Ministero dell’Istruzione. Successivamente, partecipa a una procedura di stabilizzazione presso l’Università, venendo assunta a tempo indeterminato con un contratto part-time di 500 ore annuali.

Al momento della stipula del contratto con l’ateneo, la docente dichiara espressamente di non avere altri rapporti di impiego pubblico o privato. L’Università, una volta scoperta la preesistenza del rapporto di lavoro di ruolo con la scuola pubblica, avvia un procedimento disciplinare che si conclude con il licenziamento per giusta causa. La motivazione principale non è l’eventuale incompatibilità tra i due impieghi, ma la deliberata falsità della dichiarazione resa al momento dell’assunzione.

Il Percorso Giudiziario e la Decisione della Corte

La docente impugna il licenziamento, sostenendo l’insussistenza di una reale incompatibilità, dato il numero esiguo di ore svolte presso la scuola, e l’assenza di un obbligo di comunicazione o autorizzazione. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello, tuttavia, respingono le sue doglianze. I giudici di merito ritengono che il punto cruciale non sia la compatibilità degli incarichi, ma la grave violazione del dovere di lealtà e correttezza, concretizzatasi nella dichiarazione mendace. Tale condotta, secondo le corti, ha leso in modo insanabile il vincolo fiduciario che deve intercorrere tra datore di lavoro e dipendente.

Le motivazioni della Cassazione sul licenziamento per falsa dichiarazione

La Corte di Cassazione, investita della questione, dichiara il ricorso della lavoratrice inammissibile, confermando la decisione dei giudici d’appello. La Suprema Corte chiarisce che il motivo del licenziamento non risiede nella violazione del divieto di cumulo di impieghi, ma esclusivamente nella “falsità dichiarativa commessa all’atto dell’instaurazione del rapporto a tempo indeterminato”.

I giudici hanno qualificato la condotta della docente come grave e intenzionale. La falsa dichiarazione, infatti, non solo ha viziato l’inizio del rapporto di lavoro, ma ha anche permesso alla lavoratrice di beneficiare di una procedura di stabilizzazione destinata ai soli lavoratori precari. La Corte ha ritenuto che la dichiarazione reiterata di non prestare servizio presso altre amministrazioni pubbliche fosse una prova dell’intenzionalità del comportamento, finalizzato a eludere le norme e a ottenere un vantaggio indebito.
Di conseguenza, la Cassazione ha considerato irrilevante la questione dell’incompatibilità materiale tra i due impieghi, poiché il fatto assorbente e decisivo era la menzogna iniziale, che di per sé costituisce un inadempimento talmente grave da giustificare il licenziamento per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c.

Le conclusioni: la Lesione del Vincolo Fiduciario è Decisiva

La sentenza riafferma con forza che la correttezza e la buona fede sono pilastri fondamentali del rapporto di lavoro, sin dalla sua fase costitutiva. Un dipendente che mente al proprio datore di lavoro su circostanze rilevanti al momento dell’assunzione, come l’esistenza di altri rapporti di impiego, commette una violazione che lede direttamente il nucleo fiduciario del contratto. Il licenziamento per falsa dichiarazione risulta, in questi casi, una sanzione proporzionata e legittima, poiché la condotta del lavoratore dimostra un’inaffidabilità tale da non consentire la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto.

È legittimo il licenziamento per falsa dichiarazione su altri impieghi, anche se i lavori sono compatibili?
Sì. Secondo la sentenza, il licenziamento è legittimo perché si fonda sulla falsità della dichiarazione al momento dell’assunzione, che costituisce una grave violazione del vincolo di fiducia, a prescindere dal fatto che i due impieghi fossero o meno materialmente compatibili.

Perché la Corte ha considerato la dichiarazione della docente come una grave violazione?
La Corte ha ritenuto la violazione grave e intenzionale perché la docente ha dichiarato il falso per beneficiare di una procedura di stabilizzazione riservata ai lavoratori precari, e ha ribadito la falsa dichiarazione in più occasioni, dimostrando la volontà di eludere le norme per ottenere un’assunzione a tempo indeterminato.

La docente aveva diritto alla retribuzione per il periodo lavorato prima del licenziamento?
No. La Corte ha rigettato anche la domanda di pagamento della retribuzione per l’ultimo mese, poiché la lavoratrice non ha provato, secondo le modalità previste dal contratto (come la compilazione del registro delle attività), di aver effettivamente svolto la prestazione lavorativa in quel periodo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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