Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3971 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 3971 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1975-2024 proposto da:
ASL TA – AZIENDA SANITARIA RAGIONE_SOCIALE DI TARANTO, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo STUDIO PLACIDI, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Oggetto
Licenziamenti dimissioni pubblico
impiego
R.G.N. 1975/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 08/01/2025
CC
avverso la sentenza n. 456/2023 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 09/11/2023 R.G.N. 69/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
Attolino NOME, addetto come necroforo presso l’Ospedale di Castellaneta (TA), veniva licenziato per giusta causa il 9.03.2021 per avere, fuori dall’orario di servizio e in quel di Taranto, aggredito nel corso di una lite un suo conoscente recandogli lesioni con un colpo d’arma da fuoco, fatto per cui aveva patteggiato la pena di tre anni di reclusione;
il Tribunale di Taranto, adito dal lavoratore, aveva ritenuto legittimo il licenziamento perché era stato compromesso il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, anche in considerazione del fatto che la condotta era indice di pericolosità nei confronti dell’utenza dell’ospedale, ma la Corte d’appello di Lecce -Taranto, con sentenza n. 456 del 9.11.2023, andando di diverso avviso, accoglieva il gravame del lavoratore, condannando la ASL alle spese di lite;
nello specifico, la Corte territoriale muoveva dal rilievo che il ricorrente «è un necroforo che cura il trasporto dei cadaveri all’interno dell’ospedale e li prepara nella sala mortuaria prima che vengano esposti al pubblico», sicché non emergeva un nesso logico e consequenziale tra l’episodio «isolato e occasionale» per cui egli aveva patteggiato e scaturito nell’ambito di una conflittuale relazione personale con il titolare di un’agenzia funebre concorrente
rispetto a quella della stessa famiglia COGNOME, e il timore dell’ASL che egli non fosse più affidabile per l’esecuzione futura della sua prestazione lavorativa ovvero che egli potesse ricadere, a breve, in altra condotta aggressiva nei confronti di terzi, avendo escluso lo stesso GIP dinanzi al quale l’COGNOME aveva patteggiato la pericolosità attuale del soggetto e il rischio di reiterazione del reato»;
in definitiva, il fatto era privo di rilievo disciplinare talché andava disposta la reintegra nel posto di lavoro;
avverso tale sentenza ricorre per cassazione la ASL di Taranto affidando le proprie difese a quattro motivi, cui si oppone con controricorso, assistito da memoria, il lavoratore.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo si denuncia (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione degli art. 414, 416, 420 e 437 cod. proc. civ., per aver la Corte territoriale acquisito ex officio documenti relativi al processo penale ormai concluso che avrebbe dovuto produrre per tempo lo stesso ricorrente, il quale era incorso in decadenze che non potevano essere superate con l’esercizio dei poteri officiosi del giudice;
con il secondo mezzo (art. 360 nn. 3-4 cod. proc. civ.) si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ., dell’art. 55 d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 41 Cost., per non aver il giudice d’appello valutato il comportamento tenuto da l dipendente come idoneo a recidere il vincolo fiduciario; la ASL, lungi dal fare una valutazione aprioristica del fatto, aveva, nel l’intimare il licenziamento, soppesato la gravità della condotta nei suoi riflessi
sul versante lavorativo, giungendo a una prognosi di compromissione del vincolo fiduciario;
si lamenta violazione dell’art. 111 Cost. per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione che «stride con le risultanze processuali» e fa riferimento, sminuendo ingiustificatamente la condotta di rilievo penale, come tale rientrante nell’art. 10 punto 11 lett. e) del codice disciplinare , e sottovalutando grossolanamente la pericolosità del reo, a una lite episodica per strada e, insieme, a tensioni che da tempo agitavano i soggetti entrati in conflitto; si richiama, infine, la sentenza di primo grado che ben focalizzava come la condotta penalmente rilevante extra-lavorativa avesse sicura incidenza sul rapporto di lavoro;
con il terzo mezzo si deduce (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.) violazione o falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost., per motivazione solo apparente e dunque carente, insufficiente o comunque contraddittoria; la motivazione, secondo la ricorrente, sarebbe «ampia ma del tutto sganciata dai fatti di causa»;
con il quarto, ed ultimo, motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., avendo la Corte territoriale pronunziato la condanna alle spese senza considerare la qualità di ente pubblico della soccombente, la complessità della questione, decisa con alterni esiti nei giudizi di merito, e la regolarità del procedimento disciplinare, circostanze che avrebbero dovuto indurre a compensare integralmente le spese di primo e secondo grado;
il primo e il terzo motivo sono, seppur per ragioni diverse, inammissibili;
lo è il primo per l’irrituale tecnica di formulazione perché, pur deducendo un preteso error in procedendo , tuttavia non riferisce una conseguente nullità della sentenza (come invece sarebbe stato doveroso: cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 17931/2013);
la censura sembra oltretutto prescindere dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte affermato che, nel rito del lavoro, l’esercizio dei poteri istruttori del giudice può essere utilizzato a prescindere dalla maturazione di preclusioni probatorie in capo alle parti, vedendo quali suoi presupposti la ricorrenza di una “semiplena probatio” e l’individuazione “ex actis” di una pista probatoria (Cass., Sez. L, 26597 del 23/11/2020; Cass., Sez. 3, n. 17683 del 25/08/2020), cosa di cui il giudice d’appello dà diffusamente conto evidenziando che l’acquisizione documentale del fascicolo Gip e del lo stesso PM si era resa necessaria «per comprendere in quale ambito si fosse inserita la condotta violenta» (p. 2 sentenza);
l’inammissibilità del terzo motivo consegue al fatto che il vizio di motivazione è configurabile, invero, nella sola ipotesi (Cass., SU, n. 8053/2014) in cui la motivazione o manchi del tutto -nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero esista formalmente come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum ; esula, invece, dal
vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito;
quest’ultima è l’ipotesi (inammissibilmente) denunciata nella fattispecie, avendo la ricorrente dedotto che la motivazione sarebbe, a suo dire, «ampia ma del tutto sganciata dai fatti di causa»;
il secondo motivo, che lamenta l’erronea esclusione della giusta causa di licenziamento nel comportamento extralavorativo tenuto dal dipendente, in quanto eccedente per gravità gli standards conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale, è invece fondato;
corretta appare innanzi tutto la denuncia del vizio alla stregua di violazione di legge: ed infatti, la giusta causa è una nozione che la legge (allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo) configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette “clausole elastiche”) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama: sicché, tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge (Cass. 15 aprile 2016, n. 7568; Cass. 24 marzo 2015, n. 5878; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 4 maggio 2005, n. 9266);
in specifico riferimento all’integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito, la contestazione del giudizio valutativo operato in quella sede non si deve limitare a una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenere, come appunto nel caso di specie, una specifica denuncia di incoerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. 15 aprile 2016, n. 7568; Cass. 24 marzo 2015, n. 5878; Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095);
a questo riguardo, è noto come, secondo indirizzo ormai consolidato di questa Corte, il concetto di giusta causa non si limiti all’inadempimento tanto grave da giustificare la risoluzione immediata del rapporto di lavoro, ma si estenda anche a condotte extralavorative che, tenute al di fuori dell’azienda e dell’orario di lavoro e non direttamente riguardanti l’esecuzione della prestazione lavorativa, nondimeno possano essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti (da ultimo: Cass. 18 agosto 2016, n. 17166);
infatti, anche condotte concernenti la vita privata del lavoratore possono in concreto risultare idonee a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, allorquando abbiano un riflesso, sia pure soltanto potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto compromettendo le aspettative d’un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività; parimenti, comportamenti extralavorativi imputabili al lavoratore possono colpire interessi del datore di lavoro: il lavoratore è tenuto, infatti, non solo a fornire la
prestazione richiesta, ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o comprometterne il rapporto fiduciario (Cass. 19 gennaio 2015, n. 776; Cass. 31 luglio 2015, n. 16268);
nondimeno, è pur sempre necessario che si tratti di comportamenti che, per la loro gravità, siano suscettibili di scuotere irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro perché idonei, per le concrete modalità con cui si manifestano, ad arrecare un pregiudizio, anche non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali (Cass. 18 settembre 2012, n. 15654): in particolare, quando siano contrari alle norme dell’etica comune e del comune vivere civile (Cass. 1° dicembre 2014, n. 25380);
la sussistenza di una giusta causa di licenziamento va accertata, quindi, in relazione sia alla gravità dei fatti addebitati al lavoratore (desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi nonché dall’intensità dell’elemento intenzionale), sia alla proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta: per la quale ultima rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza (Cass. 16 ottobre 2015, n. 21017; Cass. 4 marzo 2013, n. 5280; Cass. 13 febbraio 2012, n. 2013);
in relazione ad esso, la Corte territoriale ha ritenuto che la ASL abbia disatteso l’onere, indubbiamente a suo carico, di allegazione e dimostrazione delle fattuali ricadute del fatto illecito del dipendente sulla prestazione lavorativa, evidenziando che si tratterebbe di «un fatto isolato, occasionale» non idoneo «a generare discredito all’azienda sanitaria» e ad incidere sulla «correttezza e affidabilità» della futura condotta di un lavoratore non aduso «a reazioni scomposte e inappropriate di fronte a veneti stressanti» (così pp. 5-6 della sentenza) e con precedenti penali solo per reati contro il patrimonio (furto, danneggiamento, invasione di edifici) e non anche contro la persona (salvo la risalente condanna per rissa del 1996);
ebbene, essa non ha valutato come, invece, la specifica illustrazione del fatto in sé («fatto di violenza commesso in strada, di indubitabile gravità, anche se fortunosamente di poche conseguenze perché la vittima del reato è stata colpita solo di striscio dal proiettile esploso dal ricorrente riportando una escoriazione alla gamba», così la stessa corte salentina a p. 2 della sentenza), sussumibile nella previsione dell’art. 10 , comma 11 lett. e, del Codice disciplinare («La sanzione disciplina del licenziamento senza preavviso si applica per: …e) commissione di gravi fatti illeciti di rilevanza penale, ivi compresi quelli che possono dar luogo alla sospensione cautelare, fatto salvo quanto previsto dall’art. 11»), soddisfi pienamente l’onere datoriale di allegazione della sua incidenza irrimediabilmente lesiva del rapporto di fiducia lavorativo: in quanto di gravità tale, anche per il contesto opaco entro cui si collocava la condotta contestata ( id est , il delineato «rapporto
conflittuale e concorrenziale che da tempo la famiglia dell’COGNOME esercente un’attività di gestione di onoranze funebri aveva con la famiglia COGNOME, il cui componente era vittima del reato, p. 2 sentenza), da connotare la figura morale del lavoratore (Cass. 9 ottobre 2015, n. 20319), tanto più perché adibito a mansioni (necroforo) che, come riconosce lo stesso giudice d’appello (p. 6), implicano un contatto esterno (Cass. 23 agosto 2016, n. 17260) con parenti di soggetti deceduti e con esercenti di imprese di onoranze funebri;
e ad un siffatto onere di allegazione l’ASL ha adempiuto attraverso la puntuale deduzione della ricaduta negativa del fatto illecito (per cui il lavoratore aveva subito una condanna definitiva a pena patteggiata ex art. 444 cod. proc. pen. per i reati di detenzione e porto d’arma giocattolo resa idonea allo sparo e per lesioni dolose) sulla stessa affidabilità delle mansioni (di “necroforo’ implicanti l’adibizione alla composizione delle salme e richiedenti contatti con l’utenza) nel contesto civile e socia le di loro disimpegno per conto di un’azienda erogatrice di un servizio pubblico; e ciò secondo una corretta impostazione dei rapporti tra i consociati alla luce del principio di legalità e tenendo conto dello statuto particolare del dipendente pubblico;
dalle superiori argomentazioni discende allora, coerente, l’accoglimento del secondo motivo di ricorso, con la cassazione della sentenza impugnata e con rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità – donde l’assorbimento del quarto motivo di ricorso -, alla Corte d’appello di Lecce, dovendosi ritenere, in continuità con Cass., Sez. L, n. 24023 del 2016, che l’onere di
allegazione dell’incidenza, irrimediabilmente lesiva del vincolo fiduciario, del comportamento extralavorativo del dipendente sul rapporto di lavoro sia da ritenersi assolto dal datore con la specifica deduzione del fatto in sé, quando esso abbia un riflesso, anche soltanto potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto compromettendo le aspettative d’un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività, di gravità tale, per contrarietà alle norme dell’etica e del vivere civile comuni, da connotare la figura morale del lavoratore, tanto più se adibito a mansioni che comportano un contatto con utenti.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il secondo motivo, dichiara inammissibili il primo e il terzo ed assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione