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Licenziamento orale: quando la revoca è inefficace

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’azienda contro la sentenza che aveva annullato la revoca di un licenziamento orale. La decisione si fonda sul fatto che l’azienda non ha impugnato uno dei due motivi autonomi della sentenza d’appello: la mancata prova della comunicazione della revoca alla lavoratrice. Questo caso sottolinea l’inefficacia totale del licenziamento orale e i requisiti formali per la sua eventuale revoca.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento orale: la Cassazione chiarisce i limiti della revoca

Il licenziamento orale rappresenta una delle violazioni più gravi delle norme a tutela del lavoratore, essendo per legge totalmente inefficace. Ma cosa accade se il datore di lavoro, resosi conto dell’errore, tenta di revocare tale licenziamento? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo scenario, sottolineando l’importanza del rispetto delle procedure e dei principi di diritto.

I fatti di causa

Una società aveva intimato un licenziamento orale a una propria dipendente. Successivamente, ha tentato di revocare tale recesso. La Corte d’Appello, riformando parzialmente la decisione di primo grado, ha dichiarato l’illegittimità della revoca del licenziamento. Di conseguenza, ha accertato l’inefficacia del licenziamento stesso e ha condannato l’azienda a ripristinare il rapporto di lavoro (con un orario di 20 ore settimanali) e a corrispondere alla lavoratrice le retribuzioni maturate dalla data del recesso fino alla sua effettiva riammissione in servizio.

La questione del licenziamento orale e le motivazioni della Corte d’Appello

La Corte d’Appello aveva basato la sua decisione su due distinte e autonome ragioni giuridiche, le cosiddette rationes decidendi:

1. L’impossibilità di revocare un atto inefficace: Secondo i giudici di merito, un licenziamento orale è un atto talmente viziato da essere considerato giuridicamente inesistente. Di conseguenza, non sarebbe logicamente possibile revocare qualcosa che, per il diritto, non ha mai prodotto effetti.
2. La mancata prova della comunicazione: Anche ammettendo, in via ipotetica, che la revoca fosse possibile, l’azienda non aveva fornito la prova che tale revoca fosse stata effettivamente comunicata alla lavoratrice. La comunicazione era stata inviata tramite PEC solo al difensore della dipendente, un atto ritenuto non sufficiente a dimostrare la ricezione da parte della diretta interessata.

La decisione della Corte di Cassazione e il principio delle plurime ‘rationes decidendi’

L’azienda ha presentato ricorso in Cassazione, contestando esclusivamente il primo punto, ovvero sostenendo che la revoca prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori dovesse applicarsi anche in caso di licenziamento orale. Tuttavia, non ha mosso alcuna censura riguardo al secondo punto, quello relativo alla mancata prova della comunicazione.

Questa omissione si è rivelata fatale. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il principio applicato è consolidato: se una sentenza si basa su più ragioni autonome, ciascuna delle quali è di per sé sufficiente a sorreggerla, chi impugna ha l’onere di contestarle tutte. Se anche una sola di queste ragioni non viene contestata, essa rimane valida e la sentenza impugnata resta in piedi, rendendo inutile l’analisi delle altre censure.

le motivazioni

La Suprema Corte ha spiegato che il ricorso dell’azienda era inammissibile per difetto di interesse. Anche se la Corte avesse accolto la tesi dell’azienda sulla possibilità di revocare un licenziamento orale, la decisione della Corte d’Appello sarebbe rimasta comunque valida grazie alla seconda, non contestata, ratio decidendi: la mancata prova della comunicazione della revoca alla lavoratrice. L’accoglimento del ricorso, quindi, non avrebbe cambiato l’esito finale della controversia. La Corte ha ribadito che la seconda motivazione (la prova della comunicazione) era di per sé idonea a sorreggere l’accoglimento della domanda della lavoratrice e, non essendo stata specificamente impugnata, aveva acquisito carattere definitivo.

le conclusioni

L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni pratiche. Per i datori di lavoro, è un monito sulla gravità e l’inefficacia radicale del licenziamento orale: non è un atto che può essere semplicemente “sanato” a posteriori con una revoca, soprattutto se questa non segue un percorso formale e provato di comunicazione diretta al lavoratore. Per gli avvocati e le parti processuali, ribadisce un fondamentale principio tecnico: quando si impugna una sentenza, è cruciale analizzare e contestare tutte le autonome fondamenta giuridiche della decisione avversaria. Trascurarne anche solo una può portare all’inammissibilità del ricorso, chiudendo di fatto ogni possibilità di revisione della sentenza.

Un licenziamento comunicato solo verbalmente è valido?
No, un licenziamento orale è giuridicamente inefficace, cioè non produce alcun effetto legale. Per la legge, è come se non fosse mai stato intimato.

Perché il ricorso dell’azienda è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
Perché l’azienda ha contestato solo una delle due ragioni autonome su cui si fondava la sentenza d’appello. La seconda ragione, relativa alla mancata prova della comunicazione della revoca alla lavoratrice, non è stata impugnata e da sola era sufficiente a giustificare la decisione, rendendo inutile l’esame dell’altro motivo.

La comunicazione della revoca del licenziamento all’avvocato del lavoratore è sufficiente?
Dal provvedimento emerge che la comunicazione inviata solo tramite PEC all’avvocato non è stata ritenuta una prova sufficiente che la lavoratrice fosse stata effettivamente informata. La mancata prova della comunicazione diretta alla dipendente è stata una delle ragioni decisive per la conferma della sentenza d’appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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