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Licenziamento motivo oggettivo: quando spetta il reintegro

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6221/2025, ha stabilito che in caso di licenziamento per motivo oggettivo basato su una ragione organizzativa risultata inesistente, la tutela applicabile è quella del reintegro nel posto di lavoro, e non solo un’indennità economica. La decisione segue la sentenza n. 128/2024 della Corte Costituzionale, che ha modificato il regime sanzionatorio del Jobs Act. La Corte ha cassato la sentenza d’appello che aveva concesso solo un risarcimento, rinviando il caso per una nuova valutazione alla luce del nuovo principio.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento motivo oggettivo: quando spetta il reintegro e non solo l’indennità

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale del diritto del lavoro: le conseguenze di un licenziamento motivo oggettivo quando la ragione addotta dal datore di lavoro si rivela completamente inesistente. Sulla scia di una storica sentenza della Corte Costituzionale, i giudici supremi hanno chiarito che, in questi casi, la tutela per i lavoratori assunti con il Jobs Act non è più solo economica, ma deve prevedere il reintegro nel posto di lavoro. Analizziamo questa importante decisione.

I fatti di causa

Il caso riguarda una lavoratrice, responsabile delle prenotazioni in una nota catena alberghiera, licenziata per giustificato motivo oggettivo. La motivazione ufficiale fornita dall’azienda era una ‘riorganizzazione aziendale finalizzata a ottenere una maggiore efficienza ed economicità di gestione’. La lavoratrice, insieme ad altri colleghi facenti parte dello staff di un dirigente a sua volta licenziato, ha impugnato il provvedimento.

La Corte d’Appello, pur riconoscendo l’illegittimità del licenziamento per mancata prova della reale esistenza della riorganizzazione, aveva applicato la tutela prevista dall’art. 3 del D.Lgs. 23/2015 (Jobs Act), condannando la società al solo pagamento di un’indennità risarcitoria. I giudici di secondo grado avevano inoltre escluso la natura ritorsiva del recesso, ritenendo che fosse legato a una generica valutazione negativa sull’operato del dirigente e del suo team, e non a una vendetta illegittima.

L’analisi della Corte di Cassazione e il licenziamento motivo oggettivo

La lavoratrice ha presentato ricorso in Cassazione basato su tre motivi. La Corte ha rigettato il primo motivo, relativo al presunto carattere ritorsivo del licenziamento. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: la semplice mancanza di una giusta causa o di un giustificato motivo non è sufficiente, da sola, a dimostrare che il licenziamento sia una ritorsione. Per provare l’intento ritorsivo, è necessario fornire ulteriori elementi concreti che dimostrino che la vera e unica ragione del recesso sia stata una reazione illegittima del datore di lavoro a un diritto esercitato dal dipendente. L’accertamento di tali fatti, hanno ricordato i giudici, è compito esclusivo dei tribunali di merito e non può essere rivalutato in sede di legittimità.

L’impatto della Corte Costituzionale sul licenziamento motivo oggettivo

Il punto di svolta del giudizio è rappresentato dall’accoglimento del terzo motivo di ricorso. La Corte di Cassazione ha preso atto di un fondamentale cambiamento normativo intervenuto nel corso del giudizio: la sentenza della Corte Costituzionale n. 128 del 2024. Questa pronuncia ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 23/2015, nella parte in cui non prevedeva la tutela reintegratoria nel caso in cui il fatto posto a base del licenziamento motivo oggettivo risultasse insussistente.

Secondo la Cassazione, le sentenze della Corte Costituzionale hanno efficacia immediata sui giudizi in corso. Pertanto, la regola applicabile al caso non era più quella che prevedeva un mero indennizzo, ma la nuova regola, risultante dalla sentenza della Consulta, che impone il reintegro del lavoratore quando il motivo organizzativo del licenziamento è palesemente falso o inesistente.

Le motivazioni della decisione

La motivazione centrale della Corte di Cassazione risiede nell’applicazione del principio dello ‘ius superveniens’, ovvero del diritto sopravvenuto. La declaratoria di incostituzionalità di una norma di legge fa sì che essa cessi di avere efficacia dal giorno successivo alla sua pubblicazione. Di conseguenza, i giudici sono tenuti ad applicare la nuova disciplina, come modificata dalla Corte Costituzionale, a tutte le controversie non ancora definite con sentenza passata in giudicato.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva deciso basandosi su una norma che, successivamente, è stata dichiarata parzialmente incostituzionale. La Cassazione, quindi, non ha potuto fare altro che cassare la sentenza impugnata e rinviare la causa a un’altra sezione della Corte d’Appello di Roma. Il nuovo giudice dovrà riesaminare il caso e applicare la sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro, come ora previsto per l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento motivo oggettivo.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida gli effetti della storica sentenza della Corte Costituzionale n. 128/2024, rafforzando significativamente la tutela dei lavoratori assunti con il contratto a tutele crescenti. La decisione chiarisce che non c’è spazio per licenziamenti basati su ragioni organizzative pretestuose o non veritiere. Quando un’azienda adduce una riorganizzazione che poi si rivela inesistente, la conseguenza non può essere un semplice costo monetario, ma deve essere il ripristino del rapporto di lavoro. Si tratta di un monito per le imprese a gestire i processi di riorganizzazione con trasparenza e a basare i licenziamenti economici su ragioni effettive e dimostrabili, pena la sanzione più severa prevista dall’ordinamento.

Cosa succede se il motivo oggettivo di un licenziamento si rivela inesistente?
A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 128/2024, se il fatto posto alla base di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo risulta insussistente, la tutela prevista per il lavoratore è quella del reintegro nel posto di lavoro, e non più solo un’indennità economica.

Un licenziamento illegittimo è automaticamente considerato ritorsivo?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che la sola illegittimità del licenziamento (per mancanza di giustificato motivo) non è sufficiente per presumerne la natura ritorsiva. Il lavoratore deve provare, anche tramite presunzioni, che l’unica e determinante ragione del licenziamento è stata una vendetta o una rappresaglia del datore di lavoro.

Qual è l’effetto di una sentenza della Corte Costituzionale su un processo in corso?
Una sentenza della Corte Costituzionale che dichiara l’incostituzionalità di una norma ha effetto immediato sui giudizi in corso. La norma dichiarata incostituzionale cessa di avere efficacia e i giudici devono applicare la nuova disciplina risultante dalla pronuncia della Consulta al caso che stanno decidendo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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