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Licenziamento motivo oggettivo: la Cassazione decide

Una lavoratrice veniva licenziata per giustificato motivo oggettivo. La Cassazione, in linea con una precedente sentenza della Corte Costituzionale, ha stabilito che la violazione dell’obbligo di repêchage da parte del datore di lavoro comporta la reintegrazione nel posto di lavoro, eliminando la necessità di dimostrare che l’insussistenza del motivo fosse ‘manifesta’. La sentenza rafforza quindi la tutela del lavoratore nel licenziamento motivo oggettivo.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento motivo oggettivo: la Cassazione cancella il requisito della ‘manifesta’ insussistenza

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha stabilito un principio cruciale in materia di licenziamento motivo oggettivo, allineandosi a una precedente pronuncia della Corte Costituzionale. Viene chiarito che, qualora il datore di lavoro violi l’obbligo di repêchage, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, senza che sia più necessario dimostrare una ‘manifesta’ insussistenza del fatto. Questa decisione segna un punto di svolta per la tutela dei lavoratori.

I Fatti del Caso

Una lavoratrice veniva licenziata da un’importante società di logistica per giustificato motivo oggettivo, a seguito di un processo di riorganizzazione aziendale volto a una gestione più economica ed efficiente. Nonostante la legittimità della ragione economica addotta dall’azienda, emergeva che, poco dopo il licenziamento, la società aveva assunto un’altra figura con una qualifica equivalente per un progetto di internalizzazione dei servizi. La lavoratrice impugnava il licenziamento, sostenendo che l’azienda non avesse adempiuto correttamente all’obbligo di repêchage, ovvero non avesse verificato la possibilità di ricollocarla in altre posizioni disponibili.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dichiarato illegittimo il licenziamento, riconoscendo la violazione dell’obbligo di repêchage. Tuttavia, avevano applicato solo la tutela indennitaria (un risarcimento economico) e non quella reintegratoria. La loro decisione si basava sulla distinzione, all’epoca vigente, prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori: la reintegrazione era concessa solo se l’insussistenza del fatto (in questo caso, l’impossibilità di ricollocazione) fosse stata ‘manifesta’, cioè palese ed evidente. I giudici di merito avevano ritenuto che, pur essendoci una violazione, questa non raggiungesse il livello di ‘manifesta’ evidenza richiesto per la reintegrazione.

L’intervento della Cassazione e l’impatto della Corte Costituzionale sul licenziamento motivo oggettivo

La lavoratrice ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la violazione dell’obbligo di repêchage fosse così chiara da meritare la reintegrazione. La Suprema Corte ha accolto il suo ricorso, basando la propria decisione su un cambiamento normativo fondamentale introdotto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 125 del 2022.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha spiegato che la sentenza della Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della parola ‘manifesta’ contenuta nell’art. 18, settimo comma, della Legge 300/1970. La Corte Costituzionale aveva infatti ritenuto tale requisito ‘intrinsecamente irragionevole’ e privo di un fondamento solido, poiché legava la gravità della sanzione non al disvalore del licenziamento, ma alla maggiore o minore facilità con cui l’illegittimità poteva essere accertata in giudizio.

Di conseguenza, la Cassazione ha affermato che, oggi, per ottenere la tutela reintegratoria attenuata (prevista dal comma 4 dell’art. 18) è sufficiente accertare la ‘semplice insussistenza del fatto’ posto a base del recesso datoriale. Questo principio si applica a entrambi i presupposti del licenziamento per motivo oggettivo: sia le ragioni economiche e organizzative, sia l’impossibilità di ricollocare il lavoratore. Pertanto, una volta provata la violazione dell’obbligo di repêchage, non è più richiesta alcuna valutazione sulla sua ‘manifesta’ evidenza. Il ricorso incidentale dell’azienda, che contestava la valutazione delle prove da parte dei giudici di merito, è stato dichiarato inammissibile, poiché tale riesame non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della Corte d’Appello e ha rinviato il caso ad un’altra sezione della stessa Corte per una nuova decisione. Il nuovo giudice dovrà attenersi al principio secondo cui l’accertata violazione dell’obbligo di repêchage è di per sé sufficiente a giustificare l’applicazione della tutela reintegratoria. Questa ordinanza rafforza notevolmente la posizione del lavoratore nei casi di licenziamento motivo oggettivo, assicurando che il licenziamento sia sempre l’extrema ratio e non il frutto di una scelta arbitraria.

Cosa succede se un datore di lavoro non rispetta l’obbligo di repêchage in un licenziamento per motivo oggettivo?
In base a questa ordinanza, se viene accertata la violazione dell’obbligo di repêchage, il licenziamento è illegittimo e il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno.

È ancora necessario dimostrare che l’insussistenza del motivo di licenziamento sia ‘manifesta’ per ottenere la reintegra?
No. La Corte di Cassazione, seguendo la sentenza della Corte Costituzionale n. 125/2022, ha eliminato il requisito della ‘manifesta’ insussistenza. Oggi è sufficiente la semplice prova che il fatto posto a base del licenziamento (inclusa l’impossibilità di ricollocazione) non sussiste per applicare la tutela reintegratoria.

Qual era la difesa dell’azienda nel ricorso incidentale e perché è stata respinta?
L’azienda sosteneva che i giudici d’appello avessero erroneamente valutato le prove, confondendo le posizioni lavorative della dipendente licenziata e del nuovo assunto. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la Corte di Cassazione non può riesaminare nel merito la valutazione delle prove effettuata dai giudici dei gradi precedenti, ma si limita a un controllo di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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