Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3880 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 3880 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/02/2024
SENTENZA
sul ricorso 26629-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
Oggetto
Licenziamento individuale
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 14/12/2023
PU
INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME, NOME COGNOME NOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 64/2020 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI SEZ. DIST. DI SASSARI, depositata il 11/08/2020 R.G.N. 156/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/12/2023 dalla Consigliera AVV_NOTAIO. NOME COGNOME; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIO. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per delega verbale AVV_NOTAIO; udito l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME NOME.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME e confermato la sentenza di primo grado che, al pari dell’ordinanza pronunciata all’esito della fase sommaria, aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento per giusta causa intimato al citato dipendente da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE) in data 23 febbraio 2018.
La Corte territoriale ha premesso: che con sentenza della Corte d’appello di Venezia (n. 627/2014) era stata dichiarata la nullità del termine apposto ai contratti stipulati tra le predette parti e dichiarato costituito un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con condanna della società datoriale a riammettere in servizio il lavoratore; che il 6.11.2014, dopo la lettura del dispositivo della Corte d’appello di Venezia, la società aveva invitato il COGNOME a riprendere servizio come assistente di volo per il giorno 19.11.2014; che con e-mail del 24.6.2015 il lavoratore aveva comunicato ‘le coordinate bancarie … per l’accredito delle n. 4 mensilità riconosciute…dalla sentenza della Corte d’appello di Venezia e della CIGS dalla data di reintegra nel posto di lavoro (19.11.2014)’; che in dat a 10.7.2015 la società aveva avvisato il COGNOME dell’avvenuto versamento delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno e di rimborso delle spese legali, aggiungendo che ‘al fine di procedere al ripristino del rapporto con la sua collocazione in CIGS, è necessario che lei ci faccia pervenire a stretto giro documentazione attestante l’inesistenza di altra occupazione a far data dal 19.11.2014 circostanza questa che, ove non dimostrata, renderebbe impossibile il ripristino del rapporto di lavoro’; che il 17.7.2015 il COGNOME, senza fornire la documentazione richiesta, aveva presentato domanda di aspettativa non retribuita, della durata massima consentita, per
sopraggiunti motivi personali; che il 13.10.2015 la società aveva risposto di non poter concedere l’aspettativa a causa del mancato ripristino del rapporto di lavoro e di aver appreso che il COGNOME risultava titolare di altro rapporto di lavoro a tempo indeterminato, della cui cessazione non aveva mai fornito documentazione; che aveva invitato il predetto a presentarsi presso la Direzione risorse umane di Olbia il 21.10.2015 con la documentazione richiesta per riprendere servizio; che seguivano telegrammi con cui il COGNOME comunicava l’impossibilità di presentarsi il 21.10.2015 ed anche nella data successivamente fissata (16.11.2015); che su richiesta della società del 24.11.2015, l’RAGIONE_SOCIALE ha comunicato, in data 31.12.2015, la condizione del COGNOME di lavoratore a tempo pieno e indeterminato dall’1.10.2005 alle dipendenze di terzi; che con lettera del 5.2.2016 la società ha contestato al COGNOME di avere ‘in assoluto dispregio degli obblighi che le fanno carico, tentato di celare l’esistenza di altro rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il chiaro intento di lucrare compensi e trattamenti che non le sono dovuti, tra i quali anche le indennità di sostegno al reddito poste a carico della collettività, e … percepito illegittimamente somme alle quali n on aveva diritto’; che con lettera dell’1.3.2016 la società ha intimato il licenziamento in tronco.
3. I giudici di appello hanno escluso la violazione del principio di tempestività della contestazione disciplinare; hanno accertato che il COGNOME aveva omesso di comunicare all’RAGIONE_SOCIALE, oltre che a RAGIONE_SOCIALE, l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso terzi; hanno rilevato che il predetto non aveva diritto ad alcun trattamento di integrazione salariale, che pure aveva richiesto con la mail del 24.6.2015; che una corretta informazione avrebbe consentito alla società di evitare di anticipare all’RAGIONE_SOCIALE il trattamento salariale integrativo; che il COGNOME ‘procrastinando consapevolmente il silenzio sull’esistenza di altro rapporto di lavoro subordinato … ha palesemente manifestato la volontà dolosa di cercare di trarre vantaggio dalla sua situazione senza curarsi del possibile danno che avrebbe potuto patire l’azienda, anche nei suoi rapporti con l’RAGIONE_SOCIALE; comportamento che è logicamente idoneo a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento della prestazione da pa rte del lavoratore’; che non aveva rilievo l’assenza di precedenti disciplinari, l’inesistenza di concorrenzialità tra le due prestazioni lavorative o, ancora, la mancata effettiva percezione del trattamento integrativo; che la condotta addebitata non è specificamente prevista dalla contrattazione collettiva tra quelle punibili con sanzione conservativa; che la stessa è idonea ad integrare la giusta causa di recesso.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME (ammesso al patrocinio a spese dello Stato) ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970, degli artt. 1175 e 1373 c.c. e dell’art. 28 del c.c.n.l. 2014 Trasporto Aereo, per avere la Corte d’appello escluso la tardività della contestazione disciplinare, sebbene intervenuta dopo almeno cento giorni dalla conoscenza formale di esistenza di un altro rapporto di lavoro.
Il motivo non è fondato.
In tema di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro, poiché il difetto di tempestività della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a pensare che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento, ritenendo l’addebito non grave o comunque non meritevole della massima sanzione (Cass. n. 19115 del 2013; Cass. n. 15649 del 2010; Cass. n. 19424 del 2005; Cass. n. 11100 del 2006). Il criterio dell’immediatezza, espressione del generale precetto di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto di lavoro, deve essere inteso in
senso relativo, dovendosi tenere conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale (Cass. n. 1248 del 2016; n. 15649 del 2010; Cass. n. 22066 del 2007; Cass. n. 19159 del 2006; Cass. n. 6228 del 2004; n. 1562 del 2003; Cass. n. 12141 del 2003). In particolare, la sentenza n. 1248 del 2016 ha confermato la decisione di appello che aveva giudicato ‘tempestiva una contestazione disci plinare intimata dopo il tempo ragionevolmente necessario per valutare la sistematicità e dolosità di un insieme di atti che, solo globalmente considerati, potevano costituire un’ipotesi di “abuso del diritto da parte del lavoratore il quale, allo scopo di esercitare una pressione diretta ad ottenere un trasferimento, operava continue istanze, ricorsi e domande’. Secondo la giurisprudenza già citata, la valutazione sulla tempestività della contestazione costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato.
La sentenza impugnata, in assoluta coerenza con tali principi, ha escluso la violazione del requisito di tempestività della contestazione disciplinare in base al rilievo che l’intervallo di tempo trascorso (complessivi cento giorni) era giustificato dal l’esigenza della società di verificare, tramite l’RAGIONE_SOCIALE, l’esistenza di un rapporto di lavoro del COGNOME presso terzi e la
natura di esso, al fine di valutarne la compatibilità o meno col regime di cassa integrazione. Tali accertamenti si erano resi necessari a causa del protratto comportamento omissivo e sfuggente del lavoratore. Non ricorre quindi la violazione di legge contestata e le residue censure attingono la ricostruzione in fatto operata dai giudici di merito, così collocandosi sul piano della inammissibilità.
Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per omesso esame di un fatto decisivo. Premesso che non aveva alcun obbligo, come dipendente di una società privata, di fornire notizie sul suo stato occupazionale, sia perché non riceveva alcun trattamento di integrazione salariale e sia perché non svolgeva attività in concorrenza con RAGIONE_SOCIALE, il COGNOME rileva che la Corte d’appello ha omesso di verificare la corrispondenza tra il fatto contestato e quello posto a base del licenziamento, la cui mancanza era stata dedotta in sede di reclamo, e di motivare sul punto.
Con il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 e della normativa contrattuale sulla corrispondenza tra fatto e sanzione. Assume che nella lettera di contestazione era stato addebitato al lavoratore di aver lucrato somme non dovute (le indennità di sostegno al reddito) e che il licenziamento era stato
poi intimato per una condotta derubricata a mero ‘tentativo’ di lucrare trattamenti e somme non dovute; che il licenziamento è stato intimato per un fatto diverso da quello contestato ed è, per tale ragione, nullo o inefficace.
Con il quarto motivo il ricorrente addebita alla sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970 e dell’art. 2106 c.c. Argomenta che il fatto contestato non sussiste in quanto non ha rilievo disciplinare; che egli non ha mai dichiarato di non svolgere un’altra attività lavorativa ma si è limitato a contestare il diritto di RAGIONE_SOCIALE di avere accesso ad informazioni sue personali; che la facoltà del lavoratore in cassa integrazione di svolgere attività lavorativa, di natura autonoma o subordinata, è riconosciuta dalla normativa e dalla giurisprudenza nonché dalla stessa circolare RAGIONE_SOCIALE n. 130/2010; che non possono trovare applicazione nei suoi confronti gli articoli 8, comma 5, del decreto-legge 86/1088 e 8, comma 3, d.lgs. 148/2015, in base ai quali il lavoratore decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale se non ha dato preventiva comunicazione all’RAGIONE_SOCIALE dello svolgimento di una nuova attività lavorativa, atteso che egli non ha mai percepito il citato trattamento.
Con il quinto motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli articoli 1, 4 e 35 Cost.
per avere la Corte giudicato legittimo il licenziamento del lavoratore che, in cassa integrazione a zero ore, ha svolto un’altra attività lavorativa per non pesare sulla collettività.
I motivi dal secondo al quinto possono essere trattati congiuntamente perché espongono censure connesse dal punto di vista logico.
È utile premettere che, con la sentenza della Corte d’appello di Venezia, era stato ripristinato in iure il rapporto di lavoro del COGNOME alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE ove era in corso il collocamento dei dipendenti in cassa integrazione guadagni straordinaria.
Deve ribadirsi, in diritto, che la collocazione in cassa integrazione straordinaria a zero ore determina la sospensione del rapporto di lavoro nei suoi principali obblighi sinallagmatici, concernenti la prestazione lavorativa e la retribuzione, sostituita dalla prescritta indennità a carico dell’RAGIONE_SOCIALE. Il rapporto di lavoro, continua, però, a produrre altri effetti ed obblighi, quali: la computabilità, ai sensi dell’art. 2120, terzo comma, cod. civ., nella retribuzione utile ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto, dell’equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro; il riconoscimento della valenza previdenziale del periodo di sospensione dal lavoro tramite l’istituto della contribuzione figurativa, calcolata sulla
base della retribuzione globale cui è riferita l’integrazione salariale; il mantenimento degli obblighi di fedeltà, correttezza e buona fede. La cassa integrazione guadagni straordinaria presuppone, infatti, la prospettiva della ripresa dell’attività lavorativa e il mantenimento a questo fine del rapporto di lavoro (v. Corte Cost. n. 256 del 2019; Corte Cost. n. 184 del 2000; Cass. n. Cass. 25838 del 2022; n. 4171 del 2002; da ultimo, v. Cass. n. 34750 del 2023 in motivazione). Tutto il regime della cassa integrazione mira proprio a consentire all’imprenditore di evitare il licenziamento collettivo, conservando -entro certi limiti temporali – il rapporto con i lavoratori non utilizzati, o utilizzati solo parzialmente, i quali beneficiano dell’integrazione salariale per il tempo non lavorato (v. Cass. n. 772 del 2005).
16. In base al disposto dell’art. 8, comma 4, del decreto-legge n. 86 del 1988, convertito dalla legge n. 160 del 1988, il lavoratore in cassa integrazione può svolgere attività di lavoro, autonomo o subordinato, presso altri datori di lavoro, a condizione che l’ente previdenziale sia preventivamente informato, e purché non si tratti di lavoro a tempo pieno e indeterminato, sussistendo, in tale ipotesi, una incompatibilità assoluta (v. Cass. n. 3116 del 2021, in motivazione; v. Corte Cost., sentenza n. 195 del 1995, secondo cui ‘il nuovo impiego a tempo pieno e senza prefissione di termine, alle dipendenze di un diverso datore di lavoro, comporta la risoluzione del
rapporto precedente e, quindi, (…) la perdita del diritto al trattamento di integrazione salariale per cessazione del rapporto di lavoro che ne costituiva il fondamento’; v. anche Circolare RAGIONE_SOCIALE n. 130 del 2010).
Risulta quindi errato in diritto l’assunto del lavoratore di potere legittimamente svolgere, in costanza del collocamento in c.i.g.s., attività lavorativa preso terzi sulla base di un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato e di non avere alcun obbligo di comunicazione al riguardo nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE e della società attuale controricorrente.
Né l’incompatibilità, normativamente posta, tra il rapporto sospeso per la cassa integrazione a zero ore e il concomitante rapporto a tempo pieno e indeterminato, può venir meno in base al dato fattuale della mancata effettiva percezione del trattamento di integrazione salariale
Da quanto detto discende, anzitutto, l’infondatezza del quinto motivo di ricorso.
Poste queste premesse in diritto, deve rilevarsi l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso poiché il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., ma in realtà pone la questione giuridica di violazione del principio di corrispondenza tra fatto contestato e fatto posto a base del licenziamento, che risulta estranea al
perimetro della disposizione citata, come delineato dalle S.U. di questa Corte con le sentenze n. 8053 e 8054 del 2014.
Il terzo motivo di ricorso censura la sentenza per violazione del principio di necessaria corrispondenza tra fatto contestato e fatto posto a base del licenziamento.
Questo motivo presenta profili di inammissibilità, non risultando trascritte, almeno nelle parti rilevanti, e neppure depositate in allegato al ricorso in esame le lettere di contestazione e di licenziamento; esso è, comunque, infondato.
Il principio di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione disciplinare, che vieta di infliggere un licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati, può ritenersi violato qualora il datore di lavoro alleghi, nel corso del giudizio, circostanze nuove che, in violazione del diritto di difesa, implicano una diversa valutazione dei fatti addebitati, salvo si tratti di circostanze confermative, in relazione alle quali il lavoratore possa agevolmente controdedurre, ovvero che non modifichino il quadro generale della contestazione (v. Cass. n. 8293 del 2019; n. 19023 del 2018; Cass. n. 26678 del 2017). La violazione del principio in esame non si verifica, invece, nel caso opposto in cui, a fronte della contestazione di plurime e autonome condotte di rilievo il disciplinare, che ‘anche singolarmente considerate’ costituiscono, secondo la
prospettazione datoriale, una gravissima violazione dei doveri di diligenza e fedeltà, il giudice prenda in esame solo alcune di esse, connotate da maggiore gravità, e le reputi esaustive ai fini della integrazione della giusta causa di recesso (v. Cass. n. 7712 del 2023 in motivazione), non ravvisandosi in tal caso alcuna compressione del diritto di difesa. Parimenti, è stata esclusa la violazione del principio in esame nell’ipotesi in cui ‘il datore di lavoro proceda a un diverso apprezzamento o a una diversa qualificazione del medesimo fatto, come accade nell’ipotesi di modifica dell’elemento soggettivo dell’illecito’ (Cass. n. 11540 del 2020).
Si è aggiunto che ‘la necessaria correlazione dell’addebito con la sanzione deve essere garantita e presidiata, in chiave di tutela dell’esigenza difensiva del lavoratore, anche in sede giudiziale, ove le condotte in contestazione sulle quali è incentrato l’esame del giudice di merito non devono nella sostanza fattuale differire da quelle poste a fondamento della sanzione espulsiva, pena lo sconfinamento dei poteri del giudice in ambito riservato alla scelta del datore di lavoro’ (Cass. n. 3079 del 2020; n. 10853 del 2019).
Nel caso di specie, in base al contenuto dei documenti come trascritti nella sentenza d’appello, era stato contestato al lavoratore di avere ‘tentato di celare l’esistenza di altro rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il chiaro intento di lucrare
compensi e trattamenti … non dovuti, tra i quali anche le indennità di sostegno al reddito poste a carico della collettività’ e di ‘avere percepito illegittimamente somme alle quali non aveva diritto’. Il licenziamento è stato intimato per avere, data ‘l’e sistenza di altro rapporto di lavoro a tempo indeterminato, da lei non risolto, continuato a porre in essere il comportamento contestatole, tentando di lucrare trattamenti e somme a lei non dovuti’.
26. La decisione di recesso è basata sulla condotta contestata, di omessa comunicazione del rapporto di lavoro presso terzi allo scopo di lucrare trattamenti non dovuti, risultando escluso il segmento relativo alla effettiva illegittima percezione di tali trattamenti, in adesione alle giustificazioni fornite sul punto dal lavoratore medesimo.
Tale ridimensionamento della condotta posta base a del licenziamento rispetto all’originaria contestazione trova conferma anche nell’accertamento giudiziale, in cui si dà atto della circostanza per cui il lavoratore non ha mai percepito il trattamento di integrazione salariale, sebbene ciò sia avvenuto ‘per ragioni non riconducibili alla sua condotta’, ma al contempo si mette in evidenza il concreto tentativo del predetto di ottenere tale trattamento, avendo egli nella e-mail del giugno 2015 inviato le coordinate bancarie per ‘l’accredito…della CIGS
dalla data di reintegro nel posto di lavoro (19.11.2014)’ (v. sentenza d’appello, pag. 8, terzo e quarto cpv.).
L’esclusione, dal fatto posto a base del recesso, di un segmento della condotta originariamente contestata, peraltro in adesione alle giustificazioni del dipendente e in modo da risultare l’addebito meno grave, non determina una modifica che possa incidere in modo negativo sul diritto di difesa, comprimendolo o deviandone l’esercizio, con conseguente esclusione della violazione di legge denunciata.
La valutazione dell’addebito ai fini della giusta causa di licenziamento è stata compiuta, dai giudici di appello, in relazione alla condotta posta a base del recesso. Nella sentenza si pone l’accento sul fatto di avere il COGNOME taciuto l’esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso terzi e tentato di ottenere il trattamento di integrazione salariale a cui non aveva diritto; di avere, in tal modo, tradito la fiducia nel corretto adempimento della prestazione e arrecato un danno all’a zienda costringendola ad accantonare le somme da anticipare all’RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorrente contesta il rilievo disciplinare della condotta e la proporzionalità della sanzione espulsiva sul duplice presupposto della legittimità dell’attività lavorativa svolta durante il periodo di c.i.g.s. e della mancata percezione del trattamento di integrazione salariale. Il primo profilo è infondato
in diritto, per le considerazioni esposte ai § 15-17, non rilevando in alcun modo il dato dello svolgimento presso la società terza (un istituto di credito) di attività non in concorrenza rispetto a quello di RAGIONE_SOCIALE. Il secondo profilo è estraneo alla condotta posta a base del licenziamento, concernente il tentativo di tale indebita percezione attuato per il tramite di dolose omissioni.
Per le ragioni fin qui esposte, il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
È in atti il decreto di ammissione del ricorrente ‘in via anticipata e provvisoria’ al patrocinio a spese dello Stato. Questa Corte ha chiarito che ‘l ‘attualità dell’ammissione o meno al patrocinio a spese dello Stato non rileva direttamente ai fini della pronuncia sui presupposti per il c.d. raddoppio del contributo unificato, atteso che tale pronuncia lascia impregiudicata la questione della debenza originaria del contributo in esame, con la conseguenza che il suo raddoppio non sarà consentito qualora venga accertato, nelle sedi competenti, che fin dall’inizio ne era escluso anche il pagamento ‘ (v. Cass. n. 11116 del 2020; Cass. S.U. n. 4315 del 2020). Si dà atto, quindi, della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi
dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr.
Cass. S.U. n. 4315 del 2020), se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso in Roma all’udienza del 14 dicembre 2023