Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13688 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13688 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19167-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso gli indirizzi PEC degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 181/2023 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 19/07/2023 R.G.N. 16/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Licenziamento individuale
R.G.N. 19167/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 18/02/2025
CC
RILEVATO CHE
Con la lettera del 27 giugno 2017 la RAGIONE_SOCIALE comunicava a NOME COGNOME il proprio recesso dal contratto di agenzia con decorrenza dal 30.6.2017, salvo il periodo di preavviso di cinque mesi a partire dal 1° luglio 2017, con esonero per l ‘agente dallo svolgimento di ulteriori prestazioni in tale periodo, per la seguente causale: ‘E’ in atto un processo di revisione del territorio e riorganizzazione della rete Agenti. Ciò comporta la riassegnazione e ristrutturazione delle aree attualmente esistenti e la cancellazione delle coperture ridondanti. Nell’ambito di tale processo, dobbiamo comunicarle la chiusura del rapporto di agenzia con Lei in essere, con decorrenza dal 30.6.2017′ .
Impugnato tale recesso da NOME COGNOME qualificato come licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’adito Tribunale di Gela, in sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; annullava il licenziamento intimato a NOME COGNOME dalla società in data 27.6.2017 e, per l’effetto, condannava quest’ultima alla immedia ta reintegrazione del lavoratore e al pagamento, in suo favore, di una indennità risarcitoria nella misura di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, pari ad euro 4.150,65 mensili, oltre accessori.
La Corte di appello di Caltanissetta, con la sentenza n. 181/2023, in parziale riforma della gravata pronuncia, dichiarava che l’importo complessivo dell’indennità risarcitoria dovuta a NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 18 co. 4 legge n. 300 del 1970, e ra da quantificarsi in euro 38.963,34 (al netto euro 30.001,77) già corrisposti dalla società all’avente diritto.
I giudici di seconde cure rilevavano che: a) era condivisibile la tesi del Tribunale che aveva attribuito, nel rapporto concretamente estrinsecatosi tra le parti, alla causa propria di Informatore Scientifico e di Illustratore pubblicitario di prodotti farmaceutici commercializzati dalla società mandante, prevalenza (rispetto a quello di agenzia), con successiva qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato non
per le caratteristiche intrinseche dello stesso, ma attraverso l’applicazione della disciplina del D.lgs. n. 276/2003, applicabile ratione temporis al rapporto contrattuale tra le parti; b) nessun processo di riorganizzazione aziendale, tale da giustificare il licenziamento, era in corso alle due date di intimazione del 27.6.2017 e di efficacia (1.7.2017), di talché essa riorganizzazione fu la conseguenza e non la ragione del recesso e, in ogni caso, si trattò di una riorganizzazione basata sulla produttività dei lavoratori, il che escludeva a maggior ragione il giustificato motivo oggettivo; c) erano, quindi, corretti l’annullamento del provvedimento di recesso e la applicazione della tutela reale per insussistenza del fatto; d) andava, altresì, condivisa la conclusione del primo giudice che, ai fini del calcolo della indennità risarcitoria ex art. 18 co. 4 legge n. 300 del 1970, aveva adottato, per la sua determinazione, un metodo di conteggio costituito dalla sommatoria delle provvigioni percepite negli ultimi dodici mesi del rapporto con divisione per dodici onde ricavare il dato medio; e) andava riconosciuto l’aliunde perceptum con detrazione del relativo importo e determinazione della somma dovuta lorda in euro 38.963,34 già di fatto corrisposta dalla società.
Avverso la sentenza di secondo grado la RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi cui resisteva con controricorso NOME COGNOME che depositava memoria.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, degli artt. 1742 e 1748 cc, per avere errato la Corte territoriale nell’avere escluso, nel caso di specie, la genuinità del contratto di agenzia sottoscritto inter-partes .
Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 cc, dell’art. 41 Cost. e dell’art. 3 legge n. 604/1966, per avere la Corte distrettuale erroneamente elevato a requisito di legittimità del recesso per
giustificato motivo oggettivo due requisiti non previsti dalla legge, ovvero l’attualità e l’esistenza dell’opportunità di svolgere la riorganizzazione aziendale alla data del recesso in vista della futura fusione per incorporazione della RAGIONE_SOCIALE nella RAGIONE_SOCIALE così sindacando un progetto o comunque una scelta datoriale di sopprimere in un dato momento la posizione lavorativa del Giudice.
Con il terzo motivo si eccepisce la nullità della sentenza, ex art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per motivazione contraddittoria, ovvero apparente, per impossibilità di ricavare la logicità del ragionamento del Giudicante nonché la violazione e falsa applicazione di legge ex art. 1 co. 1 n. 3 cpc, degli artt. 2118 cc e 3 legge n. 604/1966, per essere stato erroneamente affermato che il recesso trovava la sua giustificazione in finalità espulsive legate alla persona del lavoratore.
Con il quarto motivo si obietta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, dell’art. 36 Cost., dell’art. 2099 cc e dell’art. 18 legge n. 300/1970, per avere errato la Corte territoriale nell’avere determinato la retribuzione globale d i fatto nella media delle provvigioni di agenzia fatturate dal Giudice negli ultimi mesi di rapporto e non invece, facendo riferimento alle retribuzioni minime previste dal CCNL di categoria applicabile al rapporto convertito.
Il primo motivo non è fondato.
Questa Corte si è già pronunciata (Cass. n. 26891/2024) sulla questione, oggetto delle doglianze, proprio con riferimento ad altro dipendente della stessa società, oggi ricorrente, precisando, con argomentazioni che questo Collegio condivide pienamente, che occorre ribadire che l’attività del propagandista di medicinali (definito anche propagandista scientifico o informatore medico-scientifico), che può svolgersi sia nell’ambito del rapporto di lavoro autonomo che in quello del rapporto di lavoro subordinato, consiste nel persuadere la potenziale clientela dell’opportunità dell’acquisto, informandola del prodotto e delle sue caratteristiche, ma senza promuovere (se non in via del tutto marginale) la conclusione di contratti. Dall’anzidetta
attività differisce quella dell’agente, il quale, nell’ambito di un’obbligazione non di mezzi ma di risultato, deve altresì pervenire alla promozione della conclusione dei contratti, essendo a questi direttamente connesso e commisurato il proprio compenso (Cass. 19 agosto 1992, n. 9676; Cass. 16 aprile 2021, n. 10158);
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato la ricorrenza di un rapporto di informazione medica scientifica, diverso da quello di agente, per la limitata possibilità di vendita dei dispositivi medici, da parte degli informatori, che si riduceva in sostanza a due prodotti a fronte di un ben più nutrito elenco di farmaci, nonché alle partecipazioni periodiche cui erano tenuti gli ISF che vertevano sulle visite ai medici e non sulle vendite quali agenti e, infine, sulla valutazione della loro attività incentrata essenzialmente sulla verifica delle modalità operative delineate dall’Azienda per la rete degli ISF e degli obiettivi di mercato con essa perseguiti: ciò sulla base delle risultanze istruttorie acquisite e valutate dal Tribunale (richiamate nella gravata sentenza) e con un accertamento di merito svolto con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc nuova formulazione e, pertanto, insindacabile in questa sede.
Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, sono anche essi infondati.
Preliminarmente va fugato ogni dubbio sulla natura contraddittoria della gravata sentenza, per essere stato ivi affermato che forse il licenziamento fu adottato, in realtà, per giustificato motivo soggettivo determinato da scarso rendimento.
Si è trattato, infatti, di una argomentazione ad abundantiam resa dalla Corte territoriale rispetto al nucleo centrale dell’impianto decisorio riguardante la rilevata insussistenza della ragione produttiva e riorganizzativa posta a base del recesso, di talché va ribadito il principio secondo cui, in sede di legittimità, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte “ad abundantiam” o costituenti “obiter dicta” sono inammissibili per difetto di interesse, poiché esse, in
quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione (cfr. Cass. n. 1770/2025).
Quanto alle altre doglianze va ricordato che il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge n. 604 del 1966 è determinato dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore. Ai fini della legittimità dello stesso, sul datore di lavoro incombe la prova della concreta riferibilità del licenziamento a iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo organizzativo sussistenti all’epoca della comunicazione del licenziamento, e della impossibilità di utilizzare il lavoratore in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita, in relazione al concreto contenuto professionale dell’attività cui il lavoratore stesso era precedentemente adibito. L’accertamento di tali presupposti costituisce valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata (cfr. per tutte, Cass. n.14815/2005).
La sentenza impugnata, nel caso di specie, in un contesto di cd. ‘doppia conforme’, ha ampiamente esaminato i fatti controversi ed ha accertato che le asserite ristrutturazioni non erano sussistenti e che le chiusure delle zone cui erano addetti i lavoratori licenziati erano state poi affidate ad altri dipendenti, pseudo-agenti, senza mai indicare il criterio di scelta utilizzato, di talché la redistribuzione delle zone doveva considerarsi l’effetto e non la causa dei licenziamenti.
Non si verte, pertanto, in ipotesi di sindacato, da parte dei giudici, sulle scelte imprenditoriali del datore di lavoro riguardanti la congruità e l’opportunità dei progetti scelti, ma di accertamento di fatto svolto sulle reali motivazioni poste a base del licenziamento e sulla mancata osservanza dell’obbligo di repêchage cui era tenuto la società che avrebbe dovuto provare perché doveva essere soppressa proprio l’area di assegnazione del Giudice e perché questi non avrebbe potuto essere ricollocato altrove: il tutto in una situazione in cui la fusione della RAGIONE_SOCIALE con la RAGIONE_SOCIALE fu successiva al disposto licenziamento e, quindi, non poteva giustificare il recesso.
La Corte distrettuale ha, quindi, correttamente ritenuto integrata una ipotesi di insussistenza del fatto a fronte della assenza di elementi probatori relativi alla sussistenza della ragione organizzativa posta a base del licenziamento e dunque del presupposto che – unitamente all’obbligo del repêchage – integra il giustificato motivo oggettivo.
Pure il quarto motivo di ricorso, infine, non è fondato.
Il regime sanzionatorio previsto dall’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970 come novellato dalla legge n. 92 del 2012 (applicabile al caso in esame ratione temporis in considerazione della data di assunzione del Giudice) rinvia, quale parametro di riferimento per la determinazione dell’indennità risarcitoria, “all’ultima retribuzione globale di fatto”.
Secondo orientamento consolidato di questa Corte (seppur maturato sulla versione della norma precedente la novella del 2012), la retribuzione globale di fatto deve essere commisurata a quella che il lavoratore avrebbe percepito se avesse lavorato (Cass. n. 15066 del 2015), dovendosi comprendere nel relativo parametro non soltanto la retribuzione base ma anche ogni compenso di carattere continuativo che si ricolleghi alle particolari modalità della prestazione in atto al momento del licenziamento, in quanto, altrimenti verrebbero ad essere addossate al lavoratore le conseguenze negative di un illecito altrui (Cass. n. 19956 del 2009).
Il testo novellato dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 è suscettibile di identica interpretazione, dovendosi ritenere il riferimento all’ “ultima” retribuzione quale rinvio al rapporto di lavoro come cristallizzato al momento del licenziamento.
Nell’ambito di un rapporto di lavoro, convertito in uno di natura subordinata con la qualifica di Informatore Scientifico Farmaceutico, ma formalmente disciplinato quale contratto di agenzia il cui corrispettivo veniva determinato con il sistema delle provvigioni, il calcolo adottato dai giudici del merito che hanno determinato la ultima retribuzione globale di fatto procedendo alla sommatoria delle provvigioni percepite negli ultimi dodici mesi del rapporto e divisione
per dodici onde ricavare il dato medio, è coerente con le statuizioni di questa Corte dirette ad affermare che la funzione del risarcimento ex art. 18 della legge nr. 300 del 1970 è, sostanzialmente, quella di ripristinare lo status quo ante , attraverso la corresponsione al lavoratore di quanto (e non più di quanto) avrebbe percepito se non vi fosse stata l’illegittima estromissione, di fatto, dall’azienda (così identificando il contenuto concreto dell’obbligazione di pagamento dell’indennità risarcitoria ex art. 18 cit. in ragione della effettiva situazione economica che il lavoratore aveva al momento del licenziamento illegittimo: Cass. in motivazione nr. 10307 del 2002).
Non appare condivisibile, invece, la soluzione prospettata dalla ricorrente di fare riferimento ai cd. minimi contrattuali previsti dal CCNL applicabile a seguito della avvenuta conversione del rapporto con applicazione del principio degli eventuali maggiori importi ricevuti, perché tale criterio appare confacente in relazione ad una eventuale determinazione di differenze retributive (e in questo senso sono i precedenti di questa Corte), ma non quando, come nel caso di specie, deve procedersi alla individuazione di un parametro per quantificare la indennità risarcitoria ex art. 18 co. 4 legge n. 300/1970 che, come detto, per giurisprudenza costante di legittimità mira a risarcire le conseguenze retributive e contributive del danno da mancato adempimento e va commisurata alla retribuzione percepita dal lavoratore presso l’ultimo datore di lavoroutilizzatore.
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 febbraio 2025