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Licenziamento illegittimo per attività in malattia

Un lavoratore, in malattia per due infortuni sul lavoro, viene licenziato dopo che un investigatore privato lo filma mentre svolge attività agricole. Il Tribunale ha dichiarato il licenziamento illegittimo. Una CTU ha accertato che le attività non pregiudicavano la guarigione. Inoltre, il controllo investigativo è stato ritenuto illegittimo perché avviato senza un fondato sospetto di illecito. Il lavoratore ha ottenuto la reintegrazione e il risarcimento del danno.

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Pubblicato il 5 febbraio 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento illegittimo: no a investigatori privati senza fondato sospetto

Il licenziamento illegittimo è un tema centrale nel diritto del lavoro, specialmente quando un dipendente viene accusato di svolgere attività incompatibili con lo stato di malattia. Una recente sentenza del Tribunale di Pescara ha chiarito due principi fondamentali: l’illegittimità dei controlli investigativi in assenza di un ‘fondato sospetto’ e la necessità di una prova concreta che l’attività extra-lavorativa pregiudichi la guarigione. Analizziamo questo caso che si è concluso con la reintegrazione del lavoratore.

I Fatti del Caso

Un dipendente, assente dal lavoro a causa di due distinti infortuni (un trauma distorsivo al piede e un trauma contusivo alla coscia), è stato messo sotto sorveglianza da un’agenzia investigativa su incarico del datore di lavoro. Le indagini hanno documentato il lavoratore mentre compiva diverse attività agricole, come guidare un trattore, raccogliere peperoni e olive, e delimitare un’area di lavoro. Sulla base di queste prove, l’azienda ha avviato un procedimento disciplinare e ha licenziato il dipendente, sostenendo che tali attività fossero incompatibili con la malattia e potessero ritardarne la guarigione, violando così i doveri di correttezza e buona fede.

La questione del licenziamento illegittimo e dei controlli difensivi

Il primo punto affrontato dal Tribunale riguarda la legittimità stessa dell’investigazione privata. La giurisprudenza consolidata stabilisce che i cosiddetti ‘controlli difensivi’ sono ammessi solo se finalizzati a tutelare il patrimonio aziendale o a prevenire comportamenti illeciti. Tuttavia, una condizione imprescindibile è la presenza di un ‘fondato sospetto’ che deve preesistere all’avvio del controllo. Il datore di lavoro ha l’onere di allegare e provare le specifiche circostanze che hanno generato tale sospetto.
Nel caso di specie, il lavoratore aveva regolarmente denunciato gli infortuni, che erano stati accertati e seguiti dall’ente previdenziale. Non vi era alcun elemento concreto che potesse far dubitare della veridicità della malattia. Pertanto, il Tribunale ha ritenuto l’utilizzo dell’investigazione privata un’iniziativa arbitraria e, di conseguenza, illegittima, rendendo inutilizzabili le prove raccolte.

L’Analisi della CTU: Attività non dannosa per la salute

Anche entrando nel merito della questione, il licenziamento è stato giudicato infondato. Il giudice ha disposto una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) medico-legale per valutare se le attività svolte dal lavoratore avessero potuto effettivamente compromettere il suo recupero.
Le conclusioni del perito sono state nette: le attività extra-lavorative contestate erano pienamente compatibili con gli infortuni. Il medico ha specificato che le lesioni erano di lieve entità, che le attività erano state di breve durata e che non erano tali da pregiudicare o ritardare la guarigione. Anzi, il recupero è stato definito ‘repentino e senza necessità di fisioterapia’. La CTU ha quindi escluso, anche con una valutazione ‘ex ante’, che il comportamento del lavoratore potesse rappresentare un rischio per la sua salute.

Le Motivazioni della Decisione

Sulla base di questi elementi, il Tribunale ha dichiarato il licenziamento illegittimo per ‘insussistenza del fatto contestato’. Il comportamento addebitato al lavoratore (aver svolto un’attività incompatibile con la malattia) non costituiva un illecito disciplinare, poiché la perizia medica aveva dimostrato l’assenza di qualsiasi pregiudizio per la guarigione.
La sentenza ribadisce che il licenziamento rappresenta una ‘extrema ratio’, una misura da adottare solo in presenza di situazioni di gravità tale da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro. In questo caso, mancando totalmente il presupposto dell’inadempimento, la sanzione espulsiva è risultata sproporzionata e illegittima.

Le Conclusioni

In conclusione, il giudice ha annullato il licenziamento e, in applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, ha ordinato al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel suo posto di lavoro. Inoltre, l’azienda è stata condannata al pagamento di un’indennità risarcitoria pari alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegrazione (con un limite massimo di dodici mensilità), oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Questa decisione sottolinea l’importanza di basare un licenziamento su fatti concreti e provati, e non su semplici supposizioni, riaffermando le tutele previste per i lavoratori.

Un datore di lavoro può sempre usare un investigatore privato per controllare un dipendente in malattia?
No. Secondo la sentenza, è possibile solo in presenza di un ‘fondato sospetto’ preesistente circa la commissione di un illecito da parte del lavoratore. In assenza di tale sospetto, l’attività investigativa è illegittima.

Svolgere un’attività extra-lavorativa durante la malattia giustifica sempre il licenziamento?
No. La sentenza chiarisce che il licenziamento è giustificato solo se l’attività esterna è tale da pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio. Se una perizia medica accerta che l’attività è compatibile con la patologia e non ne ritarda il recupero, il licenziamento è illegittimo.

Cosa accade se un licenziamento viene dichiarato illegittimo per ‘insussistenza del fatto contestato’?
In questo caso, come stabilito dalla sentenza in base all’art. 18 della L. 300/1970, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, oltre al pagamento di un’indennità risarcitoria e al versamento dei contributi previdenziali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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