Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22333 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 22333 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15201-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME;
– intimato – avverso la sentenza n. 217/2023 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 19/05/2023 R.G.N. 107/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Torino respingeva l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE
Oggetto
Licenziamento per giusta
causa
R.G.N. 15201/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 18/06/2025
CC
contro
la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 40/2023 che: – aveva condannato detta società a pagare al ricorrente COGNOME NOME € 9.550,49 lordi (a titolo di differenze retributive); – aveva annullato il licenziamento per giusta causa intimato il 26.10.2020 ed aveva condannato la convenuta a pagare al ricorrente un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R. per 12 mensilità, dedotto quanto percepito dal ricorrente per lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché (avendo il la voratore optato per l’indennità sostitutiva della reintegrazione) un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale giudicava infondato il primo motivo d’impugnazione, con il quale l’allora appellante sosteneva che il Tribunale avesse erroneamente interpretato i fatti di causa, per non aver tenuto in considerazione che la domenica l’appellato giocava a calcio e per essersi basato su messaggi Whatsapp, confusi ed irrilevanti sotto il profilo dell’orario di lavoro, richiamati peraltro genericamente nella motivazione.
La Corte, quindi, riferiva il secondo motivo d’appello a mezzo del quale la società sosteneva la legittimità del licenziamento, in quanto l’appellato non si era presentato al lavoro per due giorni consecutivi, domenica 25.10.2020 e lunedì 26.10.2020, senza giustificato motivo: secondo la prospettazione dell’appellante, non avendo ottenuto di assentarsi dal lavoro il 25.10.2020 per partecipare ad una partita di calcio, l’appellato aveva successivamente comunicato di doversi assentare per un malore della madre e non si era presentato al lavoro neppure il giorno successivo; riferiva,
altresì, che con il terzo motivo, connesso al precedente, l’appellante sosteneva che la sentenza di primo grado, pur avendo ritenuto correttamente che il licenziamento fosse stato intimato in forma scritta e non oralmente, contraddittoriamente aveva applicato la sanzione prevista per il licenziamento orale, e che avesse in tal modo violato il principio di proporzionalità e ragionevolezza, condannando il datore di lavoro a pagare una somma totale di € 37.889,39 per un rapporto di lavoro durato soltanto quattro mesi, per di più a fronte delle già evidenziate ridotte dimensioni dell’impresa.
La Corte territoriale considerava infondati anche detti due motivi, che esaminava congiuntamente.
Avverso tale decisione la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
L’intimato non ha svolto alcuna attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce: ‘Errata e/o carente motivazione circa la mancata dimostrazione del numero dei dipendenti inferiore a 15’;
Con il secondo motivo deduce: ‘Errata motivazione circa la mancata corrispondenza degli stipendi al lavoratore attesa la richiesta della ctu contabile, atta a dimostrare l’esatta corrispondenza degli stipendi erogati’.
Con il terzo motivo denuncia: ‘Errata applicazione della legge n. 300/1970 in particolare in relazione all’art. 7 atteso il mancato accoglimento della richiesta di ctu contabile’.
Con il quarto motivo deduce: ‘Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi nazionali di lavoro’.
Il primo motivo è inammissibile.
Rileva il Collegio che tale censura, anche nel suo svolgimento, non specifica sia il mezzo di ricorso ex art. 360, comma primo, c.p.c. cui essa dovrebbe essere ricondotta, sia le norme che sarebbero state violate.
Inoltre, la censura neppure precisa la parte di motivazione ‘circa la mancata dimostrazione del numero dei dipendenti inferiore a n. 15’, che la ricorrente giudica ‘Errata e/o carente’.
6.1. In ogni caso, la ricorrente non si confronta con la precipua motivazione resa dalla Corte distrettuale appunto circa le ‘dimensioni dell’impresa’ (cfr. pagg. 8 -9 della sua sentenza).
6.2. Nota del resto il Collegio che, a fronte dell’anomalia motivazionale che la ricorrente del tutto genericamente denuncia nella rubrica del motivo in esame, nello sviluppo dello stesso (cfr. facciate 10-11 del ricorso, che consta di fogli non numerati), la stessa assume ‘Che la compagine lavorativa della RAGIONE_SOCIALE fosse ben al disotto dei 15 dipendenti, è un fatto certo ed incontrovertibile per tutta una serie di motivi’.
Dunque, la ricorrente in realtà in tale censura contrappone un proprio accertamento probatorio a quello operato dai giudici di secondo grado in merito al numero dei dipendenti occupati dalla società all’epoca dei fatti.
Parimenti inammissibili sono il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati (la
stessa ricorrente ne propone uno sviluppo unitario: cfr. facciate 11-12 del ricorso).
Valgono, infatti, considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione al primo motivo.
8.1. Anche in questo caso, infatti, le due censure non sono ricondotte dalla parte ad una delle ipotesi di cui all’art. 360, comma primo, c.p.c., né la ricorrente individua precisamente le parti di motivazione oggetto di tali due motivi.
8.2. Nella rubrica del terzo motivo, inoltre, è dedotta una ‘errata applicazione’ dell’art. 7 l. n. 300/1970, ma la ricorrente neanche nello svolgimento comune del secondo e del terzo motivo deduce sotto quale profilo e perché giudichi violato o falsamente applicato da parte della Corte di merito tale articolo di legge (che contiene numerose e distinte previsioni).
La ricorrente, piuttosto, nei due motivi ora in esame si duole essenzialmente del mancato accoglimento di una propria richiesta di C.T.U. contabile, ma, a tacer d’altro, tali motivi difettano entrambi di autosufficienza, non avendo la ricorrente richiamato il punto delle proprie difese in cui avrebbe avanzato tale richiesta istruttoria e in che termini; peraltro, tale richiesta (cui non si fa alcun cenno nell’impugnata sentenza) neanche è riferita nella sommaria esposizione dei fatti di causa (cfr. facciate 2-9 del ricorso).
Nel comune svolgimento del secondo e del terzo motivo vengono accennate critiche anche alle statuizioni della Corte distrettuale circa il licenziamento del lavoratore.
Le stesse statuizioni sul licenziamento, peraltro, formano oggetto soprattutto del quarto motivo pure, tuttavia, inammissibile.
11.1. Tale ultimo motivo, in base alle indicazioni fornite in rubrica, può essere ricondotto all’ipotesi di violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi nazionali di lavoro di cui all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c.
Tuttavia, anche nello sviluppo di tale censura (cfr. facciate 12-19 del ricorso), nel quale non si fa il benché minimo cenno a norme di un qualsiasi CCNL, la ricorrente neppure deduce quali norme di diritto opini violate dalla Corte territoriale e perché.
In sintesi, la Corte d’appello, nella sua diffusa motivazione circa tutte le questioni relative al licenziamento (cfr. pagg. 7-11 della sua motivazione), ha ritenuto: a) che non fosse dimostrato che la società occupasse meno di 15 dipendenti; b) che il licenziamento, come già concluso dal Tribunale, fosse illegittimo per violazione dell’art. 7 l. n. 300/1970, in quanto il datore di lavoro non aveva previamente contestato l’addebito al lavoratore, né gli aveva consentito di presentare le proprie giustificazioni, ma aveva provveduto direttamente al licenziamento; c) che, in considerazione della data di assunzione del lavoratore, era applicabile non l’art. 18 l. n. 300/1970, ma l’art. 3, comma 2, d.lgs. n. 23/2015; d) che la totale mancanza di contestazione impediva di individuare un fatto materiale che si assumesse commesso dal lavoratore e che, pertanto, il fatto materiale doveva ritenersi insussistente; e) che tale radicale vizio del licenziamento era assorbente e quindi era irrilevante se il lavoratore si fosse davvero assentato o meno in modo ingiustificato il 25 e il 26 ottobre 2020.
Ebbene, rispetto alla motivazione resa dalla Corte territoriale così sintetizzata, le considerazioni svolte dalla ricorrente s’incentrano su accertamenti fattuali diversi da quelli operati dai giudici di merito.
Invero, la ricorrente assume, per un verso, che il lavoratore avrebbe per facta concludentia accettato il licenziamento e, per altro verso, che una contestazione da parte della legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE vi sarebbe comunque stata, in tal senso facendo riferimento a ‘vari messaggi in chat’ non meglio specificati, asseritamente ‘prodotti in atti’.
Trattasi, peraltro, di tesi che, per quello che risulta dall’intera sentenza impugnata, neanche erano state proposte nei motivi d’appello esaminati dalla Corte territoriale.
Nulla dev’essere disposto quanto alle spese, perché l’intimato non ha svolto alcuna attività difensiva.
Nondimeno la ricorrente è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.