Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7778 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 7778 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18148-2023 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2927/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/07/2023 R.G.N. 907/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Oggetto
R.G.N. 18148/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 28/01/2025
CC
Con sentenza n. 2927 del 2023 la Corte di Appello di Roma ha respinto il reclamo promosso da NOME COGNOME confermando il rigetto della impugnativa del licenziamento per giusta causa, intimato alla odierna ricorrente sulla base di contestazione che addebitava alla COGNOME , addetta all’Ufficio Stampa External Relation Officer, di avere inviato ‘per conoscenza’ a d una giornalista di una rivista on line interamente focalizzato su gioielli e orologi di alta gamma, con la quale la società RAGIONE_SOCIALE intratteneva rapporti di collaborazione, una mail destinata alla propria responsabile, nella quale esprimeva valutazioni offensive nei confronti della detta giornalista.
La Corte territoriale, nell’esaminare il gravame della lavoratrice, ha, per quanto qui rileva, evidenziato che la condotta contestata rivestiva una particolare gravità ai sensi dell’art. 2119 c.c., sia in considerazione della importanza che nelle strategie aziendali rivestiva la collaborazione con la giornalista e con la relativa rivista, che concerneva il settore dei gioielli e orologi di lusso , sia perché la condotta era stata posta in essere senza quel complesso di cautele e attenzioni richieste dal ruolo rivestito dalla COGNOME ed era idonea a pregiudicare l’immagine e gli interessi aziendali ; la sanzione risultava pertanto rispettosa del principio di proporzionalità, tenuto conto della posizione della dipendente all’interno dell’organizzazione aziendale e del ruolo dalla stessa rivestito nelle relazioni esterne con i media.
La Corte ha pure escluso la violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare, in quanto la società, con la lettera di licenziamento, si era limitata a prendere posizione sulle difese della lavoratrice espresse nelle giustificazioni del 7 ottobre 2020, senza modificare il fatto contestato ed ha ritenuto legittimo il mancato accoglimento
dell’istanza istruttoria formulata dalla reclamante, non risultando necessaria l’acquisizione di ulteriori prove testimoniali, essendo sufficiente la documentazione prodotta per accertare la condotta addebitata.
Avverso tale decisione, la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, cui ha resistito la RAGIONE_SOCIALE con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380-bis.1 c.p.c.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
4.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970, dell’art. 1 della legge n. 604 del 1966 e dell’art. 2119 c.c.
Avrebbe errato la sentenza impugnata non rilevando la carenza di specificità della contestazione disciplinare secondo quanto desumibile dalla lettera di contestazione del 2 ottobre 2020 che non specificava le violazioni o gli inadempimenti attribuiti alla ricorrente, segnatamente non contestando l’elemento soggettivo (ossia l’intenzionalità della condotta, necessaria per la giusta causa di licenziamento), non evidenziava il danno causato (che resterebbe nella prospettazione difensiva comunque irrilevante ai fini della valutazione disciplinare).
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare, in relazione all’art. 7 della legge n. 300 del 1970.
La ricorrente deduce che la lettera di licenziamento del 15 ottobre 2020 aveva introdotto fatti nuovi e diversi rispetto a
quelli indicati nella contestazione disciplinare del 2 ottobre 2020, modificandone la portata e incidendo sul diritto di difesa. (In particolare, si duole la ricorrente che la lettera di licenziamento avesse fatto riferimento a una seconda email inviata alla giornalista, nella quale la ricorrente avrebbe cercato di giustificarsi, spiegando che il contenuto della prima email non riguardava la giornalista in questione, ma altra persona, circostanza non presente nella lettera di contestazione).
4.3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 7 della legge n. 300 del 1970 e all’art. 2119 Cod. Civ.
Censura, in particolare, la sentenza impugnata per omessa motivazione sulla dedotta carenza di specificità della contestazione disciplinare, nonché sulla nullità del licenziamento per violazione del principio di immutabilità.
La Corte d’Appello avrebbe, infatti, totalmente omesso di esaminare l’eccezione della ricorrente, limitandosi a dare per presupposta la correttezza della contestazione e trascurando il fatto che la lettera di licenziamento aveva introdotto fatti ed elementi estranei, diversi, nuovi ed ulteriori rispetto a quelli oggetto della lettera di contestazione disciplinare.
4.4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 per mancata affissione del codice disciplinare.
Avrebbe errato la corte non tenendo conto del fatto che il datore di lavoro non aveva provato la affissione del codice disciplinare all’interno delle sede in bacheca, in luogo accessibile a tutti ex art. 7 della legge n. 300 del 1970, circostanza rilevante nel caso di specie poiché il licenziamento non concerneva una
violazione di disposizioni inderogabili di legge, né una fattispecie penalmente rilevanti.
4.5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente censura la violazione degli artt. 1455, 2106, 2119 c.c. e dell’art. 18 St. Lav. degli artt. 1455, 2106 2119 Cod. Civ., nonché degli artt. 1362 e segg. Cod. Civ. in relazione agli artt. 233, 238 e 242 del c.c.n.l. per i dipendenti aziende del terziario distribuzione e servizi applicato da Bulgari S.p.A. per manifesta sproporzione della sanzione espulsiva.
Avrebbe errato la corte considerando il licenziamento legittimo nonostante le norme collettive riportate prevedessero per infrazioni analoghe una sanzione conservativa e non espulsiva; denunzia quindi la errata sussunzione della condotta nell’ambito di quelle punibili con il recesso per giusta causa, così omettendo di valutare la reale incidenza pregiudizievole della sua condotta. 4.6. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. per ultrapetizione.
Censura, in particolare, la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ampliato il contenuto dell’addebito disciplinare, affermando che la condotta contestata alla sig.ra COGNOME fosse ‘diffamatoria e offensiva dell’immagine di un terzo’, mentre tale elemento non sarebbe stato mai menzionato nella contestazione disciplinare.
Deduce, inoltre, l’omessa pronuncia su elementi probatori che dimostravano l’inesistenza di danno per l’azienda, come provato dalla prosecuzione dei rapporti professionali dell’azienda sia con la rivista che con la giornalista coinvolta.
5.- Il primo motivo di ricorso è inammissibile. La questione della presunta carenza di specificità della contestazione disciplinare, con particolare riferimento all’omessa indicazione dei profili di
inadempimento e alla mancata contestazione dell’elemento soggettivo di gravità dell’illecito, non risulta affrontata dalla sentenza impugnata. Pertanto, onde evitare una valutazione di novità della questione costituiva onere della parte ricorrente dimostrare, in coerenza con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che tale questione aveva costituito oggetto di allegazione e deduzione specificando l’atto dal quale ciò risultava ( Cass. n. 20694/2018, Cass. n. 15430/2018, Cass. n. 23675/2013), come non avvenuto.
In ogni caso, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la specificità della contestazione disciplinare ai sensi dell’art. 7 Statuto dei Lavoratori deve riferirsi al fatto materiale e non alla sua qualificazione giuridica, che è rimessa all’inter pretazione del giudice (Cass. 16190/2002, Cass. n. 10761/1997; Cass. n. 10154/2017). Nel caso in esame, la contestazione disciplinare del 2 ottobre 2020 riportava dettagliatamente il comportamento addebitato alla lavoratrice, individuando chiaramente i dati essenziali della condotta contestata, così da consentire all’incolpata un’adeguata difesa.
6. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile. La Corte d’Appello ha esaminato e rigettato l’eccezione di violazione del principio di immutabilità della contestazione, evidenziando che la lettera di licenziamento non ha introdotto elementi nuovi, ma si è limitata a rispondere alle giustificazioni presentate dalla lavoratrice nella missiva del 7 ottobre 2020.
La giurisprudenza di questa Corte afferma che il principio di immutabilità della contestazione è violato solo quando il datore di lavoro introduce circostanze di fatto nuove, idonee a determinare una modifica dell’imputazione disciplinare originaria (Cass. n. 8293/2019; Cass. n. 11540/2020). Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha correttamente escluso tale ipotesi, ritenendo che il licenziamento sia stato irrogato
esclusivamente sulla base del contenuto della mail inviata alla giornalista e non su elementi ulteriori o diversi.
Il terzo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza. Parte ricorrente, secondo quanto già evidenziato, non ha dimostrato, mediante integrale trascrizione degli atti rilevanti, che la questione relativa alla carenza di specificità della contestazione disciplinare era stata effettivamente dedotta nei gradi di merito. In ogni caso, come già osservato, la Corte d’Appello ha esaminato e motivato adeguatamente sulla questione, escludendo che vi fosse una modifica degli addebiti disciplinari.
Il quarto motivo è inammissibile perché introduce un novum non dedotto nei precedenti gradi di giudizio. La presunta mancata affissione del codice disciplinare non risulta oggetto di specifica censura in sede di reclamo.
Inoltre, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la preventiva affissione del codice disciplinare è necessaria solo per le sanzioni disciplinari che derivano dalla violazione di norme contrattuali interne, mentre non è richiesta per comportamenti contrari a principi generali di correttezza e buona fede, come quelli che integrano la giusta causa di licenziamento (Cass. n. 18169/2010). Nel caso di specie, il comportamento addebitato alla lavoratrice -consistente nell’invio di una mail offensiva nei confronti di una giornalista di un’importante rivista di settorein rapporti di collaborazione con la Bulgari s.p.a. -è stato ritenuto dalla Corte d’Appello idoneo a compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, a prescindere dalla tipizzazione nel codice disciplinare aziendale.
Il quinto motivo di ricorso è infondato. La ricorrente contesta la valutazione della Corte d’Appello in ordine alla gravità del comportamento e alla proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alle previsioni del CCNL. In primo luogo,
parte ricorrente non chiarisce l’errore del giudice di merito in relazione al parametro valoriale utilizzato al fine della verifica della sussistenza della giusta causa, come viceversa necessario in relazione alla dedotta violazione dell’art. 2119 c.c. ( Cass. 17321/2020, Cass. n. 3282/2020). In secondo luogo, in relazione alle previsioni collettive che contemplano fattispecie di rilievo disciplinare punite con sanzione conservativa, correttamente la Corte di merito ha escluso la sussumibilità della condotta ascritta alla COGNOME in tali ipotesi. Invero nello specifico non si è in presenza di un esecuzione negligente del lavoro affidato -come previsto dalla norma collettiva – bensì di una condotta che risulta estranea all’ambito propriamente attinente alla esecuzione della prestazione lavorativa ma attiene a condotta con esso solo occasionalmente connessa seppure tenuta nell’ambito del contesto lavorativo . Di tale condotta è stata sottolineata sia la potenziale lesività per gli interessi aziendali e per le relative strategie commerciali e di comunicazione della società sia, sotto il profilo soggettivo, il fatto che la lavoratrice ha agito in assenza delle necessarie cautele ed attenzioni richieste dal ruolo rivestito. La relativa valutazione giustifica pienamente la riconduzione della concreta fattispecie all’ambito dell’art. 2119 c.c. dovendo ulteriormente osservarsi che, in ogni caso, questa Corte ha affermato che la tipizzazione delle sanzioni disciplinari nel contratto collettivo non è vincolante, poiché il giudice può sempre valutare la gravità della condotta alla luce della clausola generale di giusta causa (Cass. n. 27004/2018; Cass. n. 14321/2017). Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha ritenuto che il comportamento della lavoratrice -in ragione del suo ruolo di PR for RAGIONE_SOCIALE, che le avrebbe imposto una particolare cautela e correttezza- e della necessità di mantenere rapporti corretti e istituzionali con
la stampa -fosse idoneo a compromettere definitivamente il rapporto fiduciario, giustificando il licenziamento.
Il sesto motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza. Quanto al prim,o si rileva che la denunzia di violazione dell’art. 112 c.p.c. per ultrapetizione è configurabile solo qualora il giudice, alterando gli elementi obiettivi dell’azione emetta un provvedimento diverso da quello richiesto oppure attribuisca un bene della vita diverso da quello oggetto di contesa ( Cass. n. 644/2025, Cass. n. 8048/2019). Nello specifico non è ravvisabile tale situazione in quanto la Corte di merito si è limitata a qualificare il fatto contestato in conformità dei termini delineati dalla lettera di contestazione la cui interpretazione, alla luce di quanto sopra osservato, non risulta validamente censurata dalla odierna ricorrente. Tale l’interpretazione della lettera di contestazione disciplinare da parte della Corte d’Appello , peraltro non risulta arbitraria o illogica, essendosi la stessa limitata a evidenziare gli effetti dannosi.
In relazione alla mancata ammissione dei mezzi istruttori articolati la sentenza impugnata ha motivato, con affermazione non validamente censurata, e comunque coerente con le caratteristiche dell’illecito ascritto (invio di una mail) che non era necessario dare ingresso alla prova orale attesa la natura documentale dell’accertamento.
Infine una violazione dell’art. 115 c.p.c. è configurabile solo nel caso in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al fuori del caso in cui gli è riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (Cass. ss.uu. 20867/2020, Cass n. . 4699/2018), come non avvenuto, mentre il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestati è devoluto al giudice di merito ( v. tra le altre, Cass.
107/2024, Cass. n. 26010/2018) ed è sindacabile in sede di legittimità solo per di apparenza di motivazione o per il vizio di cui all’art. 360, comma 1 n 5 c.p.c., vizi entrambi neppure formalmente prospettati .
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, il ricorso deve essere rigettato.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, al versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 28 gennaio