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Licenziamento giusta causa: condotta extralavorativa

Un dipendente pubblico, agendo nel suo ruolo secondario di giudice onorario, ha commesso un abuso d’ufficio ai danni del suo stesso datore di lavoro, un Comune. A seguito della condanna penale definitiva, l’ente ha riattivato il procedimento disciplinare e lo ha licenziato. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa, stabilendo che anche una condotta extralavorativa, se mina irrimediabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro, costituisce un valido motivo per la risoluzione del rapporto. La sentenza chiarisce anche le regole sulla sospensione e riattivazione dei procedimenti disciplinari nel pubblico impiego.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento giusta causa: la condotta extralavorativa contro il datore è decisiva

Il licenziamento per giusta causa rappresenta la sanzione più grave nel rapporto di lavoro, ma cosa accade se la condotta illecita del dipendente avviene al di fuori del suo incarico principale? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7267/2024, ha fornito importanti chiarimenti, confermando la legittimità del licenziamento di un dipendente comunale che, agendo come giudice onorario, aveva commesso un abuso d’ufficio proprio ai danni del Comune.

I fatti del caso: da dipendente comunale a giudice onorario

La vicenda riguarda un dipendente di un Comune, licenziato nell’aprile 2019 al termine di un procedimento disciplinare. Tale procedimento era stato sospeso in attesa della conclusione di un processo penale a suo carico per il reato di abuso d’ufficio. L’illecito era stato commesso dal dipendente non nelle sue vesti di impiegato comunale, ma nell’esercizio delle sue funzioni di giudice onorario presso un Tribunale.

In particolare, assegnatario di una causa in cui il suo stesso datore di lavoro era parte, invece di astenersi, aveva approfittato della sua posizione per svolgere indagini non pertinenti sulla regolarità degli incarichi legali conferiti dal Comune. Una volta divenuta definitiva la condanna penale, il Comune ha riavviato il procedimento disciplinare, culminato nel licenziamento.

Il licenziamento per giusta causa e la gestione del procedimento

Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, sostenendo diverse violazioni procedurali e di merito. Tra le principali doglianze, contestava la legittimità della sospensione del procedimento disciplinare e i termini per la sua riattivazione. Sosteneva, inoltre, che la sua condotta, essendo “extralavorativa”, non potesse ledere il rapporto fiduciario e giustificare una sanzione così grave.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto le sue richieste, confermando la validità del licenziamento. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La decisione della Cassazione sul licenziamento per giusta causa

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso del lavoratore, confermando la decisione dei giudici di merito e fornendo principi chiari su diversi aspetti della materia disciplinare nel pubblico impiego.

La discrezionalità della P.A. nella sospensione del procedimento

La Corte ha ribadito che la Pubblica Amministrazione gode di un’ampia facoltà discrezionale nel decidere se sospendere il procedimento disciplinare in pendenza di un processo penale per i medesimi fatti. Questa scelta può essere fatta sia nell’interesse dell’amministrazione, per acquisire tutte le prove del processo penale, sia nell’interesse del lavoratore, per beneficiare di un’eventuale assoluzione. La sola pendenza del processo penale è sufficiente a giustificare la sospensione.

La decorrenza dei termini per la riattivazione

Un punto cruciale riguardava il momento da cui far partire il termine perentorio per riattivare il procedimento disciplinare. La Cassazione ha stabilito che il dies a quo è l’effettiva comunicazione della sentenza penale da parte della cancelleria del giudice all’amministrazione. Non è sufficiente una conoscenza informale o la semplice scadenza del termine che la cancelleria ha per effettuare la comunicazione. Questo garantisce certezza e stabilità ai termini procedurali.

La rilevanza della condotta “extralavorativa”

Il motivo centrale del ricorso è stato respinto con fermezza. La Corte ha chiarito che, sebbene l’abuso d’ufficio sia stato commesso nell’esercizio di un’altra funzione pubblica, l’illecito era stato perpetrato in danno del proprio datore di lavoro. Questo fatto impedisce di qualificare la condotta come meramente extralavorativa e la collega direttamente al rapporto di lavoro. L’abuso della funzione giurisdizionale per danneggiare l’immagine e la reputazione del Comune ha causato una lesione irreversibile del rapporto fiduciario, elemento essenziale del rapporto di lavoro.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la propria decisione sottolineando che il giudice di merito ha correttamente effettuato una “autonoma valutazione” dei fatti accertati in sede penale, rapportandoli ai doveri derivanti dal contratto di lavoro. Non si è trattato di una mera trasposizione della sentenza penale, ma di un’analisi specifica della condotta alla luce delle nozioni civilistiche di “giusta causa” (art. 2119 c.c.) e di “obbligo di fedeltà” (art. 2105 c.c.). La gravità del comportamento, che ha visto il dipendente “mosso da sentimenti di rancore” strumentalizzare una funzione pubblica contro il proprio datore di lavoro, è stata ritenuta tale da non consentire la prosecuzione del rapporto, rendendo la sanzione del licenziamento proporzionata.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza n. 7267/2024 consolida un principio fondamentale: una condotta extralavorativa è rilevante ai fini disciplinari quando, per le sue modalità e il suo oggetto, incide direttamente sul rapporto di lavoro, minando in modo irreparabile la fiducia che il datore di lavoro deve riporre nel proprio dipendente. Il datore di lavoro pubblico ha inoltre ampia discrezionalità nel gestire la tempistica del procedimento disciplinare in relazione a un processo penale, con termini certi che decorrono solo da comunicazioni formali.

Quando una condotta extralavorativa può giustificare un licenziamento per giusta causa?
Quando tale condotta, sebbene tenuta al di fuori della prestazione lavorativa, è commessa in danno del datore di lavoro e lede in modo irreversibile il rapporto fiduciario, elemento essenziale del rapporto di lavoro stesso.

Da quando decorre il termine per riattivare un procedimento disciplinare sospeso in attesa di una sentenza penale?
Il termine decorre solo dall’effettiva e formale comunicazione della sentenza penale definitiva da parte della cancelleria del giudice all’amministrazione datrice di lavoro, e non da una conoscenza acquisita in altro modo.

L’amministrazione pubblica è obbligata a sospendere il procedimento disciplinare se c’è un processo penale per gli stessi fatti?
No, la sentenza conferma che l’amministrazione ha un’ampia facoltà discrezionale. Può scegliere se sospendere il procedimento in attesa dell’esito penale o se procedere autonomamente, in base a una valutazione dei propri interessi e di quelli del lavoratore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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