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Licenziamento giusta causa: abuso di potere legittima

Un dipendente, dopo un incidente, ha incaricato una ditta esterna per la bonifica, eccedendo i propri poteri. Inizialmente reintegrato dal Tribunale, la Corte d’Appello ha riformato la decisione, ritenendo legittimo il licenziamento per giusta causa. La Corte ha stabilito che agire senza poteri rappresenta una grave lesione del vincolo fiduciario che giustifica il recesso, a prescindere da un danno economico diretto per l’azienda.

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Pubblicato il 14 marzo 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento per giusta causa: quando l’abuso di potere lo rende legittimo

Il licenziamento per giusta causa rappresenta la sanzione più severa nel diritto del lavoro, applicabile quando un dipendente commette una violazione talmente grave da compromettere irrimediabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. Una recente sentenza della Corte d’Appello ha offerto un’importante chiarificazione su questo tema, stabilendo che un lavoratore che agisce come falsus procurator, ovvero senza i poteri per rappresentare l’azienda, può essere legittimamente licenziato, anche in assenza di un danno economico diretto.

I Fatti del Caso: Un Incarico Non Autorizzato

Il caso riguarda un dipendente con la qualifica di Capo Cantoniere che, a seguito di un incidente stradale, ha preso l’iniziativa di affidare a una società terza un incarico per la bonifica ambientale. Questa decisione è stata presa senza alcuna autorizzazione da parte del suo datore di lavoro e, secondo la ricostruzione della Corte, spendendo impropriamente il nome dell’azienda.

L’azienda, venuta a conoscenza dell’episodio quasi un anno dopo tramite una comunicazione della Polizia Stradale, ha avviato un procedimento disciplinare che si è concluso con il licenziamento del dipendente.

Il Percorso Giudiziario: Dal Tribunale alla Corte d’Appello

In prima istanza, il Tribunale aveva dato ragione al lavoratore, annullando il licenziamento e ordinandone la reintegrazione. Il giudice di primo grado aveva ritenuto che l’azione del dipendente, sebbene errata, fosse stata dettata da una presunta urgenza e non avesse causato un danno economico effettivo alla società.

La società datrice di lavoro ha però impugnato la decisione, portando il caso davanti alla Corte d’Appello. Quest’ultima ha ribaltato completamente il verdetto iniziale.

L’Analisi della Corte sul licenziamento per giusta causa

La Corte d’Appello ha condotto un’analisi molto più rigorosa dei fatti. In particolare, ha smontato la tesi difensiva del lavoratore basata sull’urgenza. Dall’istruttoria, infatti, non è emersa alcuna prova di uno sversamento di gasolio così grave da giustificare un intervento immediato e non autorizzato. I rapporti della Polizia Stradale e dei Vigili del Fuoco non menzionavano alcun pericolo ambientale, indicando anzi che il fondo stradale era ‘asciutto’ e che il carico del mezzo incidentato era costituito da prodotti alimentari.

La Corte ha quindi concluso che il comportamento del dipendente non era giustificato e configurava un grave abuso dei propri poteri, una condotta assimilabile a quella del falsus procurator.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha motivato la propria decisione sottolineando che il comportamento del lavoratore ha integrato una gravissima violazione degli obblighi di fedeltà, diligenza e lealtà. L’aver agito in nome e per conto dell’azienda senza averne i poteri, coinvolgendo terzi in rapporti contrattuali non autorizzati, costituisce di per sé una condotta di gravità tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, che è il fondamento del rapporto di lavoro.

I giudici hanno specificato che, ai fini del licenziamento per giusta causa, la sussistenza di un danno economico non è un requisito indispensabile. La gravità della condotta va valutata in relazione alla violazione degli obblighi contrattuali e alla lesione della fiducia. In questo caso, l’aver esorbitato dalle proprie mansioni in modo consapevole e non giustificato è stato ritenuto sufficiente a legittimare la sanzione espulsiva.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: l’abuso di potere e l’infedeltà del dipendente sono condotte che minano alla base il rapporto di lavoro. Per i lavoratori, la lezione è chiara: agire al di fuori delle proprie competenze e senza autorizzazione, anche con le migliori intenzioni, può avere conseguenze gravissime. È fondamentale attenersi alle procedure aziendali e informare sempre i superiori prima di prendere iniziative che possano vincolare l’azienda.

Per i datori di lavoro, la sentenza conferma che è possibile procedere con un licenziamento per giusta causa anche quando non sia dimostrabile un danno patrimoniale diretto, a condizione che la condotta del dipendente sia così grave da rompere in modo definitivo e insanabile il rapporto di fiducia.

È legittimo il licenziamento per giusta causa se un dipendente assegna un incarico a terzi senza autorizzazione?
Sì, la sentenza stabilisce che tale condotta è legittima. Agire in nome dell’azienda senza averne i poteri (falsus procurator) costituisce una grave violazione degli obblighi di fedeltà e lealtà, tale da rompere il vincolo fiduciario e giustificare il recesso dal rapporto di lavoro.

La mancanza di un danno economico per l’azienda può escludere la giusta causa di licenziamento?
No. La Corte ha chiarito che l’assenza di un danno economico diretto non è decisiva. La gravità della condotta va valutata in relazione alla violazione degli obblighi e alla lesione della fiducia. L’abuso di potere, di per sé, può essere sufficiente a legittimare il licenziamento.

Cosa deve dimostrare il lavoratore per giustificare un’azione non autorizzata compiuta in presunta urgenza?
Il lavoratore ha l’onere di provare concretamente l’esistenza della situazione di urgenza. Nel caso esaminato, il dipendente non è riuscito a dimostrare che vi fosse un pericolo ambientale imminente e grave tale da giustificare il suo intervento autonomo, poiché le prove documentali (rapporti di polizia) smentivano la sua versione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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