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Licenziamento età pensionabile: diritto a continuare

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24917/2025, ha stabilito che il licenziamento per età pensionabile è illegittimo se il lavoratore ha espresso la volontà di proseguire l’attività lavorativa. Il caso riguardava un conducente di un’azienda di trasporti, licenziato al raggiungimento dei 62 anni, età prevista per la pensione di vecchiaia anticipata nel suo settore. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, ribadendo che la facoltà del dipendente di optare per la continuazione del rapporto di lavoro prevale sulla mera maturazione dei requisiti pensionistici anticipati, configurando un diritto soggettivo che non richiede il consenso del datore di lavoro.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento età pensionabile: il diritto del lavoratore a proseguire

Il raggiungimento dei requisiti per la pensione non sempre coincide con la fine del rapporto di lavoro. Un’importante ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale a tutela dei lavoratori, chiarendo i confini del cosiddetto licenziamento per età pensionabile. In questo articolo, analizzeremo il caso di un conducente di mezzi pubblici e la decisione della Suprema Corte che ha confermato il suo diritto a rimanere in servizio nonostante avesse maturato i requisiti per la pensione anticipata, avendo egli espresso la volontà di continuare a lavorare.

I fatti di causa: il licenziamento del conducente

Un lavoratore, dipendente di un’azienda di trasporto pubblico, nel dicembre 2021 comunicava alla propria azienda l’intenzione di proseguire il rapporto di lavoro anche dopo il compimento dei 62 anni. Tale età, per la sua categoria, rappresentava il requisito anagrafico per accedere alla pensione di vecchiaia anticipata. Nonostante questa chiara manifestazione di volontà, l’azienda, con una nota del febbraio 2022, gli comunicava la sua collocazione in quiescenza d’ufficio a partire dal 30 giugno 2022.

Il lavoratore impugnava il licenziamento. Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello dichiaravano il recesso illegittimo, ordinando la reintegra del dipendente e il risarcimento del danno. Secondo i giudici di merito, il lavoratore aveva il diritto di scegliere di continuare a lavorare per incrementare la propria posizione contributiva, e l’azienda non poteva imporre il pensionamento.

Il licenziamento per età pensionabile e la decisione della Cassazione

L’azienda di trasporti ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il limite di età di 62 anni per il personale viaggiante fosse fissato per legge e costituisse un regime speciale a tutela della sicurezza. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso, confermando le sentenze precedenti e consolidando un orientamento giurisprudenziale di grande rilevanza.

Il diritto del lavoratore a proseguire il rapporto

La Corte ha chiarito che il solo raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia (e non per altre forme di pensionamento come quella di anzianità o anticipata) consente al datore di lavoro il recesso libero (cosiddetto ad nutum). Tuttavia, la legge offre al lavoratore la facoltà di optare per la prosecuzione del rapporto di lavoro. Nel caso specifico, il conducente, avendo raggiunto i requisiti per una pensione anticipata, aveva manifestato tempestivamente e formalmente la volontà di non andare in pensione, esercitando un suo diritto.

Questa facoltà, riconosciuta anche agli autoferrotranvieri, serve a evitare disparità di trattamento e a consentire al lavoratore di raggiungere una maggiore anzianità contributiva. Pertanto, di fronte alla scelta del dipendente, il datore di lavoro non è libero di risolvere il rapporto.

La distinzione tra due diversi sistemi normativi

L’azienda ricorrente ha invocato una sentenza delle Sezioni Unite (n. 17589/2015) che, a suo dire, sosterrebbe la necessità del consenso del datore di lavoro per la prosecuzione. La Cassazione ha respinto questa interpretazione, spiegando che esistono due sistemi distinti e non incompatibili:
1. L’opzione per la prosecuzione: È una facoltà del lavoratore, indipendente dalla volontà del datore, per incrementare l’anzianità contributiva fino all’età massima consentita.
2. L’incentivo alla prosecuzione fino a 70 anni: Previsto dalla riforma “Monti-Fornero”, questo sistema postula il consenso di entrambe le parti ed è finalizzato a beneficiare di coefficienti di trasformazione più vantaggiosi.

Il caso in esame rientra nel primo sistema, dove la volontà del lavoratore è sufficiente a impedire il licenziamento.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione fonda la sua decisione su un’interpretazione sistematica delle norme in materia pensionistica e di lavoro. La motivazione centrale risiede nel principio che la stabilità del posto di lavoro non può essere compromessa dalla semplice maturazione dei requisiti per una pensione anticipata. Il lavoratore che si trova in questa situazione non può essere privato della facoltà di continuare a lavorare per migliorare la propria pensione futura, una facoltà concessa ad altri lavoratori. La volontà del lavoratore, espressa formalmente, diventa quindi un elemento che blocca il potere di recesso del datore di lavoro. La Corte sottolinea che solo il raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia ordinaria (e non anticipata) segna il confine oltre il quale il rapporto di lavoro può essere risolto liberamente dal datore, sempre che il lavoratore non abbia esercitato la sua opzione per rimanere.

Le conclusioni

L’ordinanza conferma un importante baluardo a difesa dei lavoratori prossimi alla pensione. Il datore di lavoro non può imporre un pensionamento anticipato se il dipendente manifesta la volontà di proseguire l’attività lavorativa. Questa decisione chiarisce che il diritto di opzione del lavoratore è un diritto soggettivo che prevale, rendendo illegittimo il licenziamento basato unicamente sul raggiungimento dei requisiti per la pensione anticipata. La sentenza offre quindi maggiore sicurezza ai lavoratori, consentendo loro di pianificare con più serenità il proprio futuro previdenziale senza temere un’interruzione forzata del rapporto di lavoro.

Un datore di lavoro può licenziare un dipendente che ha raggiunto i requisiti per la pensione anticipata?
No, se il lavoratore ha comunicato formalmente e tempestivamente la propria volontà di proseguire il rapporto di lavoro, il licenziamento basato solo sul raggiungimento dei requisiti per la pensione anticipata è illegittimo. Il potere di recesso libero del datore sorge solo al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia ordinaria.

Il diritto del lavoratore a continuare a lavorare necessita del consenso del datore di lavoro?
No. La facoltà di optare per la prosecuzione del rapporto di lavoro, per incrementare la propria anzianità contributiva, è un diritto del lavoratore che non richiede il consenso del datore di lavoro. Diverso è il caso dell’incentivo alla prosecuzione fino a 70 anni previsto dalla legge Fornero, che invece richiede un accordo tra le parti.

Perché la Corte ha stabilito che questo principio si applica anche al personale dei trasporti pubblici?
La Corte ha ritenuto che negare questa facoltà al personale viaggiante dei trasporti pubblici creerebbe una disparità di trattamento ingiustificata rispetto agli altri lavoratori dipendenti. Pertanto, anche questa categoria ha il diritto di scegliere di continuare a lavorare per migliorare la propria posizione pensionistica, nonostante abbia raggiunto l’età per il pensionamento anticipato specifico del settore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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