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Licenziamento disciplinare: quando inizia il termine?

Un dipendente pubblico impugna il proprio licenziamento disciplinare, sostenendo che l’azione dell’ente fosse tardiva. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che il termine per avviare il procedimento decorre solo dalla piena conoscenza dei fatti, e non da una semplice comunicazione riguardante una misura cautelare a carico del lavoratore.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento Disciplinare: la Piena Conoscenza dei Fatti Determina l’Avvio dei Termini

Nel contesto del diritto del lavoro, e in particolare nel pubblico impiego, il rispetto dei termini per l’avvio di un procedimento è un elemento cruciale per la validità del licenziamento disciplinare. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento su quale sia il momento esatto in cui il datore di lavoro acquisisce una conoscenza dei fatti tale da far scattare il cronometro per la contestazione. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.

I Fatti di Causa

Un dipendente di un ente comunale veniva licenziato per motivi disciplinari a seguito della riapertura di un procedimento, precedentemente sospeso in attesa della conclusione di un processo penale a suo carico. Quest’ultimo si era concluso con una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, ma aveva comunque accertato la responsabilità penale del lavoratore per i fatti contestati.

Il dipendente ha impugnato il licenziamento, sostenendo che l’azione disciplinare del Comune fosse tardiva. A suo avviso, l’ente era a conoscenza dei fatti fin dal 2006, data in cui aveva ricevuto una comunicazione dalla Procura della Repubblica. Tale comunicazione, secondo il ricorrente, doveva essere considerata il dies a quo, ovvero il giorno di partenza per il calcolo dei termini per la contestazione disciplinare. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto questa tesi, portando il caso dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Questione del Termine per il Licenziamento Disciplinare

Il cuore della controversia legale risiede nell’interpretazione del concetto di ‘conoscenza dei fatti’ da parte del datore di lavoro. Il ricorrente sosteneva che la comunicazione inviata dall’Ufficio Requirente nel 2006 fosse sufficiente a integrare la piena conoscenza dei fatti di rilievo disciplinare, facendo così scattare i termini previsti dal contratto collettivo per avviare l’azione.

Di contro, l’amministrazione comunale e i giudici di merito avevano ritenuto che tale comunicazione non fosse idonea. Si trattava, infatti, di una mera notifica dell’applicazione di una misura cautelare in carcere a carico del dipendente, con la sola indicazione delle norme violate, ma senza una descrizione dettagliata dei fatti specifici ascritti.

L’Argomentazione del Ricorrente

Il lavoratore, nel suo ricorso in Cassazione, denunciava la violazione e falsa applicazione delle norme contrattuali (art. 24 CCNL 22.1.2004) e di legge (art. 129, comma 3 bis, d.lgs. n. 271/1989), imputando alla Corte d’Appello di aver erroneamente valutato l’idoneità di quella prima informativa a costituire piena conoscenza dei fatti.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno chiarito che il motivo sollevato dal ricorrente non rappresentava una critica a un errore di diritto, ma si risolveva in una ‘mera confutazione’ della valutazione dei fatti e delle prove operata dalla Corte territoriale.

La Corte ha sottolineato che l’apprezzamento del materiale istruttorio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. In questo caso, la valutazione secondo cui la comunicazione del 2006 non forniva una ‘piena contezza dei fatti ascritti al ricorrente e della loro rilevanza disciplinare’ è stata ritenuta plausibile e ben fondata. La comunicazione si limitava a informare della misura cautelare coercitiva, senza entrare nel dettaglio delle condotte contestate. Di conseguenza, non poteva essere considerata come il dies a quo per l’azione disciplinare.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di licenziamento disciplinare: per far decorrere i termini perentori della contestazione, non è sufficiente una conoscenza generica o parziale dei fatti, ma è necessaria una conoscenza precisa e completa della condotta del lavoratore. Una semplice comunicazione relativa a un’indagine penale o a una misura cautelare, priva dei dettagli fattuali, non è sufficiente a far scattare l’obbligo per il datore di lavoro di agire. Questa decisione rafforza la garanzia di un corretto esercizio del potere disciplinare, che deve fondarsi su informazioni concrete e dettagliate, a tutela di entrambe le parti del rapporto di lavoro.

Da quale momento decorre il termine per avviare un procedimento disciplinare?
Secondo questa ordinanza, il termine decorre dal momento in cui il datore di lavoro acquisisce una conoscenza piena, precisa e completa dei fatti che hanno rilevanza disciplinare, e non da quando riceve un’informazione generica o parziale.

Una comunicazione della Procura su una misura cautelare è sufficiente a far partire i termini per il licenziamento disciplinare?
No. La Corte ha stabilito che una mera comunicazione riguardante l’applicazione di una misura cautelare a un dipendente, che si limiti a indicare le norme violate senza descrivere i fatti specifici, non è sufficiente a costituire la ‘piena contezza’ richiesta per avviare il conteggio dei termini per la contestazione disciplinare.

Perché il ricorso del dipendente è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, secondo la Corte di Cassazione, non sollevava una vera questione di violazione di legge, ma si limitava a contestare la valutazione delle prove fatta dal giudice di merito. Tale valutazione è un’attività discrezionale del giudice dei gradi inferiori e non può essere riesaminata in sede di legittimità, a meno di vizi logici o giuridici che in questo caso non sono stati riscontrati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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