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Licenziamento disciplinare: quando il danno non serve

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5091/2024, ha stabilito un importante principio in materia di licenziamento disciplinare. Un dipendente era stato licenziato per la sistematica violazione di procedure interne, pur in assenza di un danno economico diretto per l’azienda. La Corte ha chiarito che la condotta, se espone l’azienda a un rischio potenziale e lede il vincolo fiduciario, può giustificare il recesso anche senza un pregiudizio effettivo, ribaltando la decisione dei giudici di merito che richiedevano la prova del danno.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento Disciplinare: Anche Senza Danno Economico la Violazione è Grave

Il tema del licenziamento disciplinare è uno dei più delicati nel diritto del lavoro, poiché mette in gioco l’equilibrio tra il potere organizzativo del datore di lavoro e il diritto alla stabilità del posto del lavoratore. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 5091 del 26 febbraio 2024, ha fornito un chiarimento fondamentale: la sistematica violazione delle procedure aziendali può costituire una giusta causa di licenziamento anche in assenza di un danno economico diretto e provato, se la condotta espone l’azienda a un rischio potenziale.

I Fatti del Caso

Un dipendente di una grande società di servizi, con mansioni di operatore di sportello, veniva licenziato per motivi disciplinari. La contestazione riguardava una serie di operazioni effettuate senza utilizzare il sistema di gestione code previsto dalle procedure interne. Sebbene le singole operazioni fossero lecite (come l’apertura di libretti di risparmio), la loro esecuzione anomala e sistematica era stata considerata dall’azienda una grave violazione degli obblighi di servizio. Il lavoratore si difendeva sostenendo che tale condotta era conforme a una prassi aziendale consolidata e, pertanto, non illecita.

L’Iter Giudiziario nei Gradi di Merito

Il caso è passato attraverso i vari gradi di giudizio con esiti differenti. Inizialmente, il Tribunale aveva accolto l’impugnazione del lavoratore. Successivamente, in fase di opposizione, lo stesso Tribunale aveva dichiarato il licenziamento illegittimo per sproporzione, condannando l’azienda al pagamento di un’indennità risarcitoria. La Corte d’Appello aveva confermato questa decisione, ritenendo che la condotta del dipendente, pur essendo una violazione procedurale, fosse espressione di mera ‘faciloneria e approssimazione’ e non di un intento illecito. I giudici di secondo grado avevano sottolineato che, in assenza di un coinvolgimento in truffe o di un danno economico per l’azienda, la massima sanzione espulsiva era sproporzionata.

La Decisione della Cassazione e le Motivazioni sul licenziamento disciplinare

La Corte di Cassazione ha ribaltato la prospettiva. Analizzando i ricorsi di entrambe le parti, ha rigettato quello del lavoratore, il quale chiedeva l’applicazione di una sanzione conservativa. Secondo la Suprema Corte, la natura ‘plurima e sistematica’ delle violazioni conferiva alla condotta una gravità tale da escludere l’applicazione delle sanzioni più lievi, previste dalla contrattazione collettiva per mancanze ‘episodiche’.

Il punto cruciale della sentenza risiede nell’accoglimento parziale del ricorso dell’azienda. La Cassazione ha stabilito che la Corte d’Appello ha errato nel pretendere la prova di un ‘pregiudizio effettivo e reale’. Secondo gli Ermellini, per integrare l’illecito disciplinare previsto da specifiche clausole del contratto collettivo, è sufficiente l’esposizione dell’azienda a un pericolo derivante dalla condotta del dipendente. La nozione di ‘pregiudizio’ non si limita al danno patrimoniale, ma include anche ‘l’imminente pericolo per l’interesse dei soggetti coinvolti’. L’aver agito in modo sistematicamente irregolare, attestando implicitamente il rispetto di procedure che invece venivano violate, costituisce un comportamento grave che lede il vincolo fiduciario, a prescindere dalle conseguenze economiche immediate.

Conclusioni

Questa sentenza rafforza un principio fondamentale: nel valutare la legittimità di un licenziamento disciplinare, non si deve guardare solo al danno materiale causato, ma alla gravità intrinseca della condotta e alla sua capacità di minare la fiducia che è alla base del rapporto di lavoro. La violazione sistematica delle regole aziendali, anche se non produce perdite economiche, rappresenta un inadempimento significativo degli obblighi del lavoratore perché espone l’azienda a rischi potenziali (operativi, legali o di immagine) e dimostra un’inaffidabilità incompatibile con la prosecuzione del rapporto. La Cassazione ha quindi cassato la sentenza d’appello, rinviando la causa a un’altra sezione della stessa Corte per una nuova valutazione alla luce di questo importante principio di diritto.

È necessario un danno economico per giustificare un licenziamento disciplinare?
No, secondo la sentenza in esame non è sempre necessario provare un danno economico effettivo. La potenzialità lesiva della condotta del lavoratore e l’esposizione a un pericolo per l’azienda possono essere elementi sufficienti a giustificare il licenziamento, soprattutto se la contrattazione collettiva lo prevede.

Una violazione procedurale ripetuta nel tempo può essere considerata una giusta causa di licenziamento?
Sì. La Corte di Cassazione ha specificato che la pluralità e la sistematicità delle violazioni procedurali conferiscono alla condotta una gravità particolare, che può essere ritenuta tale da ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia e quindi giustificare il licenziamento.

Cosa si intende per ‘pregiudizio’ in un contesto di illecito disciplinare secondo la Cassazione?
La nozione di pregiudizio non si limita al solo danno patrimoniale già verificatosi. Include anche il concetto di ‘imminente pericolo’ per gli interessi dell’azienda, dei suoi clienti o di terzi. Una condotta che espone l’azienda a rischi futuri costituisce un pregiudizio rilevante ai fini disciplinari.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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